La Camera dei Deputati di Washington ha deciso di aprire la procedura di incriminazione del Presidente Trump, il cosiddetto impeachment.
Personalmente non credo che porterà a nessun risultato concreto.
Ho addirittura il dubbio che possa favorire la riconferma di Trump che già sta assumendo mediaticamente il ruolo della vittima di una “caccia alle streghe” inventata dai democratici, di una clamorosa fake news manipolata dai suoi avversari “cattivi e cretini”.
Sì proprio una fake news, perché il Presidente americano, fin dall’inizio del suo mandato, ha considerato e dichiarato pubblicamente come “frottole” inventate, tutte quelle notizie non favorevoli alle sue iniziative o decisioni politiche o che comunque riguardavano la sua vita “non tanto collaterale” di imprenditore spregiudicato ed evasore fiscale seriale.
Anche il Kievgate, che ha convinto la Camera dei Deputati presieduta da Nancy Pelosi ad aprire la procedura di incriminazione del Presidente, Trump l’ha definito una fake news basata sul …niente, su una strumentalizzazione da parte dei democratici di una “normale” chiacchierata telefonica intercorsa con il presidente dell’Ucraina!
Prima di spiegarvi le ragioni che mi portano a considerare la decisione dei democratici un boomerang, cercherò di sintetizzare le principali regole del gioco della procedura prevista dalla Costituzione americana.
Teniamo conto che fino ad oggi, nei 230 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, sono state soltanto tre le procedure di impeachment, tra l’altro tutte e tre non completate.
La prima nel 1868 contro Andrew Johnson, la seconda nel 1974 contro Richard Nixon, la terza nel 1998-1999 nei confronti di Bill Clinton.
Soltanto Nixon fu costretto ad abbandonare la Casa Bianca non perché destituito dal Congresso, ma perché decise di dimettersi prima del verdetto finale.
Il testo costituzionale americano prevede che il Presidente, il Vice Presidente e altri membri dell’Amministrazione possano essere incriminati quando sospettati di “tradimento, corruzione o altri crimini e misfatti”. Il termine generico misfatti dovrebbe identificarsi secondo la giurisprudenza americana con il concetto di “abuso di potere”.
La procedura. Per prassi, le indagini preliminari le avvia la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. Nel caso di Trump stanno indagando, in realtà, sulle attività contestate al Presidente ben 6 Commissioni d’inchiesta: oltre a quella della Giustizia, quelle delle Finanze, degli Esteri, dei Servizi Segreti, del Controllo, delle Riforme e delle Spese. Le varie istruttorie pendenti hanno l’obiettivo di verificare se il Presidente sia colpevole anche di abuso di potere.
Uno degli oggetti peculiari e innovativi di questa fase istruttoria è costituito dal fatto che una delle Commissioni sta verificando se rappresenti una fattispecie di illecito una dichiarazione dei redditi falsa oppure una violazione del segreto di Stato il contenuto di un colloquio intervenuto tra Trump e Putin a porte chiuse, alla presenza soltanto dei traduttori. Una volta completato l’iter istruttorio con l’audizione dei testimoni e la raccolta dei documenti probatori, la Commissione Giustizia della Camera svolge il ruolo di “collettore” di tutto il materiale istruttorio e formula ufficialmente le accuse procedendo a una prima votazione se continuare o meno con la richiesta di impeachment alla luce del dossier raccolto.
In caso di votazione positiva, la richiesta va in aula.
La votazione alla Camera: il Congresso americano ha votato una risoluzione che formalizza le procedure di incriminazione del Presidente. Il documento è articolato in 8 pagine proprio per garantire la trasparenza e completezza delle investigazioni fatte e da farsi e prevede un percorso per i successivi approfondimenti investigativi. La vigilia del voto è stata infatti caratterizzata dalle pressioni dei Repubblicani che hanno accusato gli avversari democratici di aver condotto e di voler condurre interrogatori segreti, fuori legge. L’Amministrazione, nella persona del consigliere legale del Presidente Pat Cipollone, si è addirittura rifiutata formalmente di cooperare con le indagini proprio perché non legittimate dal voto in aula e non trasparenti e legalmente lecite.
Il ruolo del Senato: il vero processo a Trump si svolgerà nell’aula del Senato. E’ in quella sede infatti che, alla luce di tutto il materiale investigativo raccolto, i senatori dovranno decidere se Trump ha commesso degli atti di tradimento, di corruzione o di abuso di potere durante il suo mandato.
L’accusa sarà sostenuta dai membri della Camera dei Deputati mentre la difesa sarà svolta dai legali del Presidente.
Alla fine si voterà con una maggioranza qualificata di 2/3 dei senatori.
In base ad alcuni calcoli fatti da specialisti della procedura e profondi conoscitori del mondo della business community di Washington, serviranno almeno 20 voti di senatori repubblicani per poter concretizzare l’ipotesi della “rimozione forzata” del Presidente.
Vi ricordo che in tale scenario gli subentrerebbe immediatamente il Vice Presidente Mike Pence.
Da tenere presente un altro elemento: proprio il 5 di novembre si è aperto a Washington il processo contro Roger Stone, ex consigliere di Trump, arrestato a gennaio e poi rilasciato su cauzione nell’ambito dell’inchiesta Russiagate.
Avrebbe fatto da tramite tra il comitato elettorale di Trump, gli hacker russi e Wikileaks. Stone deve rispondere di intralcio alla giustizia, falsa testimonianza e corruzione di testimoni.
Chissà che proprio in queste ore, in quell’aula di Washington non vengano fuori “spiacevoli” novità a carico del Presidente.
Trump è, ad oggi, favorito, in misura diversa, nei confronti di tutti gli attuali candidati democratici: con Warren ha 8 punti di vantaggio (52% contro 44%), con Sanders 10 punti (53% contro 43%), con Buttigieg 1 punto (44% contro 43%), con Biden 10 punti (53% contro 43%).
Stiamo a vedere cosa succederà nei prossimi mesi, soprattutto durante il facilmente immaginabile battage pubblicitario e mediatico che ci sarà durante la fase istruttoria della procedura dell’impeachment.
Riccardo Rossotto