C’è una parolina magica al centro della propaganda del nostro Ministro degli Interni sulla riforma dell’istituto della legittima difesa. Finalmente, a suo avviso, disciplinata da una reale tutela per noi cittadini contro le continue violenze perpetrate ingiustamente nei nostri confronti.
La parolina è “Sempre”.
La rivoluzione “copernicana” della riforma tanto voluta dal nostro Vice Premier sta tutta in questo termine apparentemente semplice e marginale. In realtà, contenente un significato lessicale e giuridico preciso. “In ogni caso”, “a prescindere”…sempre!
Ricostruiamo, in sintesi, il razionale posto alla base di questo vecchio istituto giuridico, disciplinato in particolare dagli articoli 52 e 55 del Codice Penale.
Da quando gli esseri umani hanno deciso di uscire dalle caverne, governati dalla “legge del più forte”, dandosi delle regole comportamentali nuove per la loro convivenza pacifica e civile, uno dei capisaldi dell’innovazione è sempre stato la delega “a qualcuno” della gestione dell’ordine pubblico e dei poteri giudiziari di decidere chi fosse stato il responsabile di aver infranto le regole condivise.
Nel tempo poi questi principi si sono sviluppati nell’elaborazione filosofica e giuridica dello stato moderno, dando vita al riparto dei tre poteri autonomi e separati (legislativo, esecutivo e giudiziario) e concretizzandosi nell’attribuzione al potere esecutivo del Ministero degli Interni della gestione dell’ordine pubblico e alla magistratura del potere giudiziario.
Tutti gli ordinamenti hanno quindi severamente represso e sanzionato ogni forma di giustizia sommaria o privata, attribuendo soltanto allo stato il potere di gestire la giustizia e di tutelare l’incolumità dei cittadini e la repressione dei reati.
Pur essendo vietata e quindi sanzionata ogni forma di violenza, fisica e psicologica, contro le persone ed il loro patrimonio, l’ordinamento giuridico dello stato moderno, nato sull’Habeas corpus inglese, ha costruito l’istituto della legittima difesa. L’unico che autorizza un cittadino a reagire anche con la forza, nel caso di un attacco ingiusto alla sua persona o al suo patrimonio. Il cuore di questo istituto è sempre stato basato sulla proporzionalità tra l’attacco e la difesa, proprio al fine di evitare un ritorno ai tempi del Far-West.
La delega all’accertamento di tale proporzionalità tra la violenza minacciata o subita e la reazione della vittima, che può portare anche all’uccisione di un essere umano, costituisce una forma di autotutela ammessa nel caso in cui – dice la legge – insorga un pericolo imminente, per sé o per gli altri, da cui sia necessario difendersi e non ci sia la possibilità di rivolgersi all’autorità pubblica per ragioni di tempo e di luogo.
Tale accertamento deve essere svolto dalla magistratura che, caso per caso, deve verificare l’esistenza in concreto della causa di non punibilità della vittima che ha reagito al “pericolo imminente”.
In questa materia la Corte Costituzionale, nel 1987, ha già richiamato l’attenzione sull’importanza del libero convincimento del giudice.
Con la nuova norma, appena approvata dal Senato, il contenuto giuridico è cambiato. Con l’introduzione della parola magica “Sempre”, la legittima difesa è diventata assoluta. Sembrerebbe addirittura “a prescindere” dall’accertamento giudiziario. Una prima lettura, infatti, potrebbe far ritenere sempre sussistente, o addirittura presupposto, il rapporto di proporzionalità tra la difesa e l’offesa, al di là di un approfondito esame della fattispecie.
È stato dunque modificato l’articolo 52, abolendo proprio il principio della proporzionalità, e da oggi diventa possibile utilizzare un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo per la difesa legittima della propria o altrui incolumità o dei beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
Una seconda modifica, introdotta dalla nuova norma, riguarda l’articolo 55 che si occupava dell’eccesso colposo della legittima difesa. Proprio il caso in cui la reazione della vittima è legata a situazioni di tempo, luogo o persona: aggressioni notturne o persone anziane, ad esempio. In tali casi, ci si sente in pericolo e si reagisce d’istinto, in modo a volte eccessivo, rischiando così di passare dalla ragione al torto.
La riforma dell’articolo 55 prevede che la reazione della vittima che ha subito la violenza, anche se solo minacciata, non è punibile se ha agito in “stato di grave turbamento derivante dal pericolo in atto”.
Un rafforzativo dunque del principio che la difesa è sostanzialmente sempre legittima!
La nuova norma è stata definita da più parti e da autorevoli costituzionalisti inutile e a rischio incostituzionalità.
Inutile perché, comunque, l’accertamento giudiziario delle condotte poste in essere dall’aggressore e dalla parte offesa che ha reagito sarà necessario. Le formule generiche della nuova norma, infatti, dovranno essere adattate alla fattispecie concreta, caso per caso, dal giudice. E il libero convincimento del giudice, come ribadito dalla Corte Costituzionale, sarà sempre quindi decisivo.
Incostituzionale perché: “la Costituzione può consentire il sacrificio di un bene – ha dichiarato il professor Massimo Luciani, titolare della cattedra di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma – solo a condizione che lo si faccia quando non ci sono altre scelte e il bene che si vuole proteggere abbia lo stesso pregio di quello che si è costretti a sacrificare”.
Abrogato il principio di proporzionalità, la norma non impone più il necessario bilanciamento, caso per caso, tra gli interessi contrapposti nella singola fattispecie e quindi è a forte rischio di incostituzionalità.
Questo è il nuovo quadro normativo vigente.
Forse anche solo propagandistico, ma oggettivamente inutile (non si evitano infatti i rischi di istruttorie penali lunghe per accertare i fatti), probabilmente incostituzionale e sicuramente pericoloso (qualcuno potrebbe a torto sentirsi legittimato a sparare al primo rumore che sente a casa sua, durante la notte).
Lo spirito del tempo applaude a questa riforma.
I mali della giustizia italiana, che devono essere assolutamente affrontati e risolti, sono altri e riguardano, a nostro avviso, le risorse economiche dedicate al settore, la professionalità e produttività dei magistrati, il modello di autogoverno della magistratura.
Qui occorrerebbe, dopo 25 anni di “silenzi obbligati” da motivi politici, affrontare una seria e approfondita disamina delle cose da fare, delle iniziative, anche legislative, da intraprendere. Sempre nell’assoluto rispetto del ruolo e dell’indipendenza della magistratura, ovviamente, ma, anche nella doverosa, e mai tanto giustamente ribadita, necessità di destinare risorse economiche alle forze dell’ordine, per valorizzare il loro compito, senza obbligarle a sacrifici ingiusti o ad atti di eroismo, anche economico, non compatibili con uno stato di diritto moderno ed efficiente.
Questa sarebbe la vera riforma della giustizia da affrontare e rendere operativa. Una riforma soprattutto organizzativa, più che legislativa.
Riccardo Rossotto