Scampia non è molto diversa da come siamo abituati a vederla nelle serie tv: la stazione della metropolitana, le Vele, strade larghe, vuote, su cui sfrecciano motorini e auto con 3/4 uomini a bordo. “Sono armati”, mi sussurra la mia accompagnatrice.
Tutto intorno è tristezza, degrado abbandono, persino gli zombie, come vengono chiamati i tossici che si aggirano per le strade in cerca di una dose, se ne sono andati, a popolare le strade di Caivano.
Arrivando in Viale della Resistenza, che circonda il Parco Ciro Esposito, una delle pochissime aree verdi, ci si imbatte in alcune pietre preziose incastonate nel degrado: Chikù, un’associazione e un luogo di ristorazione nata nel 2002 dalla relazione tra le comunità rom e italiana del quartiere; il Centro sportivo Maddaloni, un Judo Club che promuove la costruzione di una società civile attraverso lo sport, la cultura e la legalità; il centro Hurtado, un centro di formazione culturale e professionale nato dalla comunità dei Padri Gesuiti all’inizio degli anni duemila, in cui sono sorti laboratori di cartotecnica, rilegatura e di sartoria.
È qui che vengo accompagnata, in un luogo in cui si nota la cura del particolare, la ricerca della bellezza, seppur semplice ed è qui che dovrò fare la formazione ai docenti che hanno accettato la sfida di insegnare a 16 ragazze di Scampia ciò che le loro mani hanno imparato negli anni: la sartoria.
Come prima cosa incontro le allieve, tutte nate e cresciute all’interno del quartiere, senza altri orizzonti, alcune di loro senza aver mai visto il mare, con difficoltà a parlare l’italiano.
All’inizio sono arroccate nel loro silenzio e diffidenza rispetto ad una donna che viene “da fuori, dal nord”, poi basta una domanda: “Che abito mi consigliereste tra quelli che avete disegnato” per iniziare un dialogo. Confesso che le prime proposte che mi fanno sono tutte un po’ “esagerate”, tra spacchi, lustrini, scollature, ma il dialogo continua, sebbene con qualche difficoltà ad utilizzare l’italiano. Sono storie di precarietà con voglia di riscatto, storie di “bulle” con il desiderio di avere un’altra possibilità, storie di fatiche con la scuola, spesso silenzi rispetto alle loro famiglie. Poi il racconto di quando la tutor, alcuni responsabili e docenti le hanno accompagnate sul lungomare di Napoli, la Gita, la scoperta di una città possibile, per prendere un gelato: la maggioranza di loro non c’era mai stata, non erano mai uscite da Scampia.
Incontro le docenti, tutte provenienti del quartiere, che hanno accettato la proposta fatta loro dall’ente di formazione E.I.T.D., di accompagnare queste ragazze nella scoperta di un lavoro, e durante la formazione sono come calamitate dalle parole che dico. Parlo loro di desiderio e di mancanza, come due forze in grado di far cambiare le persone, di metterle in moto, e infine di bellezza, la Bellezza che può cambiare il mondo di Dostoevskij. Non sono solo parole, sono esperienze ancorate alla realtà che ho visto e costruito in questi anni e le ripeto a loro, certa che possano costituire le fondamenta per un dialogo, un incontro.
Ora le 16 ragazzine sono tutte inserite in tirocinio o in percorsi di apprendistato in importanti realtà imprenditoriali del Napoletano, dove finalmente mettono le mani tra i tessuti e si confrontano con la realtà; come la ragazza inserita nell’atelier da sposa della Napoli ricca, oppure l’altra che è presso il Teatro San Carlo di Napoli, come aiuto costumista.
Una delle tante storie di successo e di riuscita di cui è ricca l’Italia, spesso taciute perché meno eclatanti di storie di divisioni e violenze.
Merita la pena ricordare come è stato possibile costruire tale percorso, tenendo presente che la formazione è una di quelle competenze esclusive delle Regioni e che la Regione Campania, negli anni, l’aveva totalmente eliminata dai suoi bilanci, presumendo che tutti i ragazzi dovessero frequentare percorsi di istruzione, senza valutare il continuo aumento della dispersione scolastica (in Campania tocca picchi che si avvicinano al 35% nei primi due anni delle scuole superiori….).
La sperimentazione nazionale del sistema duale (che prende spunto da quello tedesco, ma lo adatta al tessuto imprenditoriale italiano) nei percorsi di Istruzione e Formazione professionali regionali (IeFP), promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e introdotta tramite l’accordo del 24 settembre 2015 in Conferenza Stato Regioni, nasce proprio con l’obiettivo di rafforzare il raccordo tra il sistema educativo e quello imprenditoriale e di diffonderlo su tutto il territorio nazionale, comprese le regioni del Sud.
Con la sperimentazione del sistema duale viene potenziato il rapporto con le imprese, che diventano non solo luoghi di accoglienza degli alunni per esperienze di stage, ma veri e propri partner per la progettazione e realizzazione congiunta dei risultati formativi. L’idea pedagogica di fondo è che qualunque esperienza lavorativa possa offrire spunti sufficienti per raggiungere, attraverso l’accompagnamento di maestri per una riflessione critica, gli obiettivi formativi fissati dagli ordinamenti scolastici.
Insomma, le mani intelligenti, poste in situazioni lavorative, con l’accompagnamento di veri maestri, possono ottenere gli stessi risultati formativi che si potrebbero ottenere in classe.
In Germania è un sistema che funziona bene, da noi sta iniziando tra mille diffidenze e perplessità, soprattutto in alcune regioni.
Mi domando: ma perché una ragazza che nasce in Lombardia può accedere a percorsi di formazione professionale da anni, mentre una che nasce in Campania, se non fosse stata per una sperimentazione nazionale, ancora oggi non ne avrebbe accesso?
Perché dobbiamo continuare con le “sperimentazioni” senza mai giungere ad un percorso ordinamentale?
Il perdurare della mancanza di dialogo e di collaborazione tra il mondo dell’educazione e quello dell’impresa, resta uno dei fattori principali dei pessimi risultati del nostro paese in termini di tassi di occupazione, di disoccupazione giovanile, di scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, dei lunghi tempi necessari per la transizione dai sistemi educativi al lavoro, del miss match di competenze, etc.
Per dar stabilità ad una infrastrutturazione formativa che si sta rafforzando nel nostro paese occorre una normativa che preveda adeguate coperture finanziarie e che vengano migliorati i meccanismi di gestione, assai farraginosi nella fase di sperimentazione. Servono altresì azioni specifiche per il Sud. Anche questa esperienza del duale ha rivelato un eccessivo divario tra le diverse aree del paese, affrontabile solo con azioni di grande impatto, coordinate a livello nazionale, che possano diventare motori di sviluppo dei sistemi di formazione e di politiche attive in tutti i territori.
Istruzione, formazione, accompagnamento all’inserimento lavorativo, riqualificazione lungo tutto l’arco della vita, sono elementi essenziali di una piena cittadinanza, sono l’unica possibilità di vedere ricominciare un percorso di crescita e di sviluppo del nostro paese.
È questa la prima e più importante sfida, per non condannare l’Italia all’irrilevanza economia e distruggere i fondamenti della coesione sociale; è necessario un incontro tra educazione e impresa, tra generazioni diverse che si tramandano antichi saperi, è necessario sporcarsi le mani e incontrare anche le 16 ragazzine di Scampia.
Cristiana Poggio