C’era una volta il triangolo del miracolo. Nei 20.000 km2 compresi tra i vertici di Genova, Torino e Milano, si è costruita l’industrializzazione italiana del secondo dopoguerra. Più del 40% del PIL tra il 1951 e 1971 si è formato qui, qui si è concentrato il capitale finanziario e produttivo del paese, qui è stata assorbita la gran parte di migrazione dal Mezzogiorno, qui si sono avute espressioni straordinarie in ricerca, innovazione e capitale umano. Questa è stata la matrice della modernità italiana. Poi, dalla metà degli anni ’70, il triangolo si è disarticolato, i vertici si sono allontanati seguendo traiettorie proprie, ciascuno con momenti alti e con fasi di crisi. Milano ha saputo in qualche modo mantenere fede al suo ruolo di traino del paese, Torino ha fatto tenuto la media italiana, piuttosto mediocre, delle performance economiche, Genova ha decisamente fermato il proprio passo, perdendo molta della sua industria. Le dinamiche più brillanti di crescita si sono spostate verso est con l’emergere di Veneto ed Emilia-Romagna. La geografia mobile dello sviluppo italiano si è fatta meno geometrica, più varia e in generale, non solo in Italia, si è fatto strada un modello più policentrico e cooperativo in cui i territori cercano la crescita sfruttando i reciproci vantaggi competitivi, meglio se collegati da infrastrutture efficienti.
Il 5 dicembre 2009 si inaugurava la tratta ad alta velocità tra Torino e Milano, 50 minuti di treno che avrebbero in pochi anni cambiato abitudini ed equilibri tra le due città. Quello che era un tempo considerato un viaggio, oggi è uno spostamento tra due aree che contano 5,6 milioni di abitanti il 9,3% del totale nazionale, valgono il 15% del PIL italiano, con primati nelle imprese, nell’export, nella sanità, ricerca e formazione. Tuttavia, la ferrovia ha collegato in modo veloce senza costruire, salvo limitate eccezioni, effettive collaborazioni metropolitane. Oggi chi viaggia abitualmente sulla linea percepisce climi nettamente diversi, forza e fiducia nel motore milanese, stanchezza e ripiegamento in quello torinese. L’Alta Velocità ha collegato ma senza unire, anzi.
Era difficile pensare che il treno veloce non avrebbe determinato effetti importanti sulle due città, e infatti qualcuno ci aveva pensato per tempo. Già nel 2002, su impulso di Enrico Salza e di Bruno Ermolli e delle due Camere di Commercio, un gruppo di ricercatori, guidati da Giuseppe Russo, studiò gli effetti che l’alta velocità avrebbe determinato sull’asse To-Mi. Il gruppo analizzò casi in Europa e negli Stati Uniti, gli effetti generati dai TGV tra Parigi, Lione e Marsiglia, e propose alcuni dossier su cui la collaborazione avrebbe dato valore aggiunto a tutti: alta formazione, fiere, sanità, cultura e arte contemporanea, export, infrastrutture. Si proponeva anche una governance tratta da esperienze estere di successo, leggera, aperta e di scopo, concepita per concretizzare e valutare gli effetti dell’alleanza. Esempi brillanti erano in Europa dove la regione compresa Saar, Lorena, Lussemburgo, Renania, Palatinato, Vallonia unisce 11 milioni di abitanti con tre lingue diverse. Lione Marsiglia con un’alleanza di successo nata proprio dall’alta velocità, o la New York Regional Plan Association che copre New York, New Jersey, Connecticut, progetta e influenza le istituzioni con i propri dossier partecipati. Su presupposti di open partnership si sono mosse città per ripensarsi dopo il declino industriale, Amburgo, Birmingham, Liverpool, Manchester, o città in piena salute come Amsterdam, Utrecht, Barcellona, Lione. Il matrimonio tra Torino e Milano era da celebrare perché non farlo sarebbe costato di più a tutti. Unite le città valevano l’economia di Singapore, separate avrebbero affrontato in solitudine una competizione intensa e di scala forse troppo grande.
Il matrimonio come sappiamo non c’è stato. Il nord-ovest sembra allontanarsi dalle regioni più competitive d’Europa. L’European Regional Competitive Index del 2016 indicava come luoghi più competitivi quelli in cui ci sono elevati livelli di coesione tra le istituzioni. Noi siamo progressivamente scesi tutti sotto la media europea, con la sola parziale eccezione della Lombardia, che però perde posizioni rispetto ai territori più forti d’Europa. Le nostre Regioni di punta sono lontane dai competitor cui guardiamo per confrontarci, Rhône Alpes, Baden Wὕrttenberg, Baviera.
“…avvertire il dovere civico di spendere le nostre energie su un progetto che varcasse l’orizzonte dell’immediato e del contingente”, cosi Ermolli e Salza introducevano nel 2004 la proposta di alleanza Torino Milano. Sembra passato un secolo, non quindici anni. Eppure, i temi e le opportunità, i rischi annessi, sono quelli. Come allora possiamo scegliere tra un languido soft landing generale, qualcuno scende prima, gli altri seguono, o un rilancio del treno dell’alleanza nella competizione tra i migliori. Chissà, forse non è troppo tardi per riprovarci.
Andrea Bairati