Ore 5:30. Chissà se è notte ma quasi giorno o quasi giorno ma ancora notte. Annuso l’aria. Promettente giornata di pioggia. In ogni caso andrò dove voglio andare. Così, dopo aver guardato, curiosato, assaggiato e qualcosa comprato, arrivo in zona. È quasi ora di pranzo. La bella strada in mezzo alle vigne sale da Santo Stefano Belbo verso Valdivilla. Sulla sinistra il monumento alle Brigate Partigiane e al comandante Balbo. Poco più avanti il bivio che sulla destra porta a Castiglione Tinella.
Penso talvolta alla Contessa di Castiglione
Mi pare una figura enigmatica. Una serie sterminata di seduzioni catalogate nel diario con sigle convenzionali, ma resta l’impressione che l’amore sia mancato. Mi sovvengono immagini di lei. Una delle dame più belle d’Europa, civettuola – civettissima. Ma quello sguardo in tutti i ritratti ha come un’ombra. Al di là del bivio ecco La Piazzetta, destinazione di oggi. Ho pranzato in questa Trattoria la prima volta anni fa e mi sono subito trovato bene. Poi sono ritornato ancora e ancora. Un posto semplice, come piace a me. Atmosfera rilassata. Scelgo se posso un tavolo un po’ defilato con vista verso l’ingresso (sono cresciuto con i film western con Clint Eastwood). Come già scritto sulla città di Trento, non amo andare al ristorante. Quando capita cerco posti dove si mangi come nelle case in cui si mangia bene.
Il vino della casa è piacevole
A La Piazzetta il coperto è di pane leggero che potrebbe stare sospeso in aria, grissini buonissimi e il sabato goloso gnocco fritto. Il vino della casa è piacevole.
Un benvenuto davvero accogliente, come solo la semplicità può esserlo.
L’ultima volta avevo chiesto se “la brigata” della Piazzetta fosse disposta a raccontarmi qualcosa della sua storia. Ed eccomi qui. Dopo pranzo, a servizio esaurito, quando il locale si è svuotato siamo intorno ad un tavolo. La formazione: la signora Piera, sua figlia Lorenza, Umberto, figlio di Lorenza, e Nicoletta (una collaboratrice storica, in pratica quasi una persona di famiglia). La storia? Solida tradizione familiare di buona cucina. Hanno iniziato, raccontano, gestendo il bar del centro sportivo a Mango. Poi la struttura è stata ampliata con la cucina, e piano piano hanno iniziato a fare pranzo per i lavoratori. Poi le aperture nei giorni festivi e lo spazio per i bambini. Un punto di ritrovo per tranquille famiglie.
Il menù? Gira sui “fondamentali”
Alla scadenza del contratto fanno della crisi un’opportunità: Valdivilla, un pugno di chilometri più a nord. Microclima favorevole: anche nelle giornate più calde giù in valle, qui c’è un pelo d’aria. Il menù? Gira sui “fondamentali” con variazioni stagionali.
Piemontesissimo dall’antipasto al dolce, ma “si può sempre migliorare”, dicono sorridendo.
Qualche esperimento si è fatto, si fa e si farà. Senza enfasi mi raccontano dei loro fidati fornitori: la materia prima dev’essere di qualità. Sul latte, Lorenza dice di averne finalmente trovato uno buono che arriva dai pascoli del Trentino. Mi si apre il cuore. Quei pascoli mi sono tanto cari. Quando Umberto parla dei cardi speciali (ma proprio speciali che tutti si accorgono quanto speciali) coltivati dal “loro” contadino mi viene un lampo: io il cardo non l’ho mai assaggiato. Quando sarà stagione, non me lo farò scappare.
“Non sono mica un cardiochirurgo, faccio solo da mangiare”
Ecco si, questa allegra concretezza mi sembra sia una caratteristica della “brigata”.
Umberto è appassionato di vini e della carta dei vini fa un suo punto d’orgoglio.
Se anche il vino della casa è buono – come ho già scritto – in due occasioni ho optato per una Barbera Riserva ed è stato come salire su una ruota panoramica.
Forse un ingrediente importante per questo bell’amalgama è che le tre generazioni siano distanti solo circa 20 anni l’una dall’altra. Non siamo più abituati ad uno scarto madre – figlia di 20 anni e meno di 40 anni tra nonna e nipote. “E il “piatto magico”, chiedo, “qual è quello che vi piace di più cucinare?”. “Che ficcanaso”, avranno pensato.
Qual è il piatto che vi piace cucinare di più?
Però è una domanda che faccio agli amici che cucinano. Così come chiedo sempre qual è il brano preferito agli amici che suonano. Per me è un po’ come una bussola.
Lorenza e Nicoletta dicono che a loro piace preparare tutto, ma in particolare sono appassionate di dolci. Piera scandisce: “fritto misto piemontese e finanziera”.
Anche qui ho un lampo ma non sono appassionato di frattaglie: sono onnivoro come un orso, ma sulle frattaglie ho proprio un freno. L’odore del fegato, quello poi lo sento da lontano, anche quando presente pur in minima percentuale negli insaccati. Anche in quelli stagionati. Lorenza, Umberto e Nicoletta dicono che il fritto misto e la finanziera di Piera li trovano ineguagliabili. Li hanno visti preparare tante e tante volte, ma a loro non vengono così bene. Tra me e me penso che sia lo spirito di Piera e renderli così speciali. Che quindi sia la materia nutrita dallo spirito? Com’era? Com’era? Ah sì: “fin dall’inizio lo spirito fu infetto dalla materia”, ma quello era tutto un altro ragionamento (sorrido). Non credo che il barbuto e ormai innominabile filosofo tedesco vada in crisi per la finanziera o il fritto misto piemontese di Piera.
Dalla finanziera al fritto misto piemontese…
Del resto, dice Piera “io non riesco a fare il bunet come lo fa Lorenza, eppure abbiamo lavorato insieme innumerevoli volte…”. Quale sarà il segreto? Lorenza ride e scandisce ancora: “ma non sono mica un cardiochirurgo, io faccio solo da mangiare”.
Sono conquistato da questa semplicità, com’ero già conquistato dal gusto di pranzare qui.
Sulla via del ritorno penso ai blasonatissimi chef che mi è capitato di sentire o vedere in tv qua e là. Quelle loro espressioni così comprese nel ruolo, quella loro severità, quell’enfasi similsacerdotale. Quelle smorfie come di leggera sofferenza. Si insomma, da cacca dura.
La strada corre e mi trovo a costeggiare una vigna: i primi pali, filare per filare, sono enormi matitoni colorati. Osservo per vedere se c’è una sequenza che si ripete. Non mi sembra. Ci sarà un criterio?
All’ingresso del territorio di Gamalero c’è un cartello: “Attenzione, rallentare, in questo Paese i bambini giocano ancora per strada”. Bambini non ne vedo, anche se è diventata una bella giornata di sole. Me li immagino, però, tutti intenti a giocare per la strada con quelle matite giganti, a decidere la sequenza di colori. Chissà se viene stabilita a testa o croce, a bim bum bam, a “carta forbice sasso”, o in un’assemblea gestita con “rigore bambino”. Mi piace pensare ad un arcobaleno che parte dai pascoli trentini, archeggia sui bambini di Gamalero, sfiora il monumento alle Brigate Partigiane e si posa sulla simpatica “brigata” del La Piazzetta.
Claudio Zucchellini