L’ultimo dei tanti segnali era direttamente rivolto a noi italiani. Un avvertimento-minaccia sul fatto che il nostro Paese sia governato dai giudici (pieni di pregiudizi) piuttosto che non dal Parlamento. Mattarella gli ha risposto prontamente… Il resto del nostro personale politico è rimasto invece in silenzio, quasi imbarazzato di fronte ad una evidente invasione di campo ma che, nello stesso tempo, poteva rappresentare un segnale di interesse per il nostro Paese e quindi un’opportunità da non contestare ma soltanto da ridimensionare nel suo perimetro reale.
Stiamo parlando ovviamente di Elon Musk, il talentuoso e bizzarro imprenditore sudafricano che, dopo aver fatto una serie di sondaggi, precisi, completi e professionali, ha deciso qualche mese fa di scendere in campo schierandosi decisamente per Donald Trump. Ha immaginato una sua vittoria e quindi un appoggio preventivo da “scontare” poi in sede governativa. Il suo appoggio al candidato presidente non è stato solo economico (si parla di oltre 100 milioni di dollari di donazioni per la campagna elettorale!), ma anche personale, attraverso la partecipazione a comizi o eventi politici in cui il candidato Trump gli ha dato volentieri il microfono perché esprimesse le sue opinioni, i suoi sogni, la sua strategia.
Sia chiaro fin da subito, la vittoria di Trump è una vittoria legittima, spalmata con una maggioranza risicata ma certa, su gran parte degli Stati Uniti e quindi non contestabile legalmente. Personalmente non riteniamo che sia una soluzione virtuosa per le complessità che ci circondano in questo contesto internazionale ma ciò non deve contaminare la nostra lettura sugli scenari che abbiamo di fronte con Donald Trump, di nuovo, per la seconda volta, in quella Casa Bianca che è stata la residenza di grandi Presidenti a cui noi europei dobbiamo essere per sempre grati.
Detto ciò e accettando di andare oltre la delusione per il risultato elettorale che però, lo ripetiamo, è “figlio” di un meccanismo democratico e quindi criticabile politicamente ma non legalmente, ci preoccupa un altro aspetto, tra i tanti, di questo secondo mandato conferito dalla maggioranza degli americani a Donald Trump: ci riferiamo proprio al rapporto che il Presidente eletto ha voluto formalmente non solo dichiarare ma anche concretamente dimostrare, con uno dei più grandi imprenditori americani esistenti, con un patrimonio che ci sembra inutile riportare in termini di cifre perché parliamo di trilioni di dollari. Una partnership che può costituire un grosso problema per la democrazia americana.
Non vogliamo fare il solito discorso ipocrita sul fatto che la Casa Bianca sia stata spesso nella storia degli Stati Uniti in mano alle lobby che hanno garantito al Presidente di diventare tale… Questa è la politica… Ci riferiamo invece alla pericolosissima concentrazione di poteri che si sta verificando in quella nazione che ha sempre costituito per tutti noi l’esempio di una democrazia liberale e solidale.
Probabilmente Trump non solo potrà contare sulla maggioranza della Camera dei Deputati e del Senato, ma avrà dalla sua anche la maggioranza dei giudici membri della Suprema Corte americana. Dunque, il sistema di “check and balance” immaginato e codificato dai Padri Fondatori alla fine del XVIII secolo, già trova nell’attuale scenario una criticità profonda con un Presidente che può contare su un potere che nessuno dei suoi predecessori ha mai avuto.
In più, e questa è la circostanza che ci crea rilevanti preoccupazioni, Trump ha firmato una “cambiale” a favore di Elon Musk, personaggio decisivo, a nostro avviso, per la sua vittoria finale. Questa cambiale significa tante cose che speriamo potremo capire in anticipo rispetto ai danni che potrebbe creare non solo agli americani ma a tutti noi cittadini del mondo occidentale. Elon Musk rappresenta oggi il massimo esempio di una concentrazione di poteri economici e politici mai vista in precedenza.
Noi italiani abbiamo vissuto il tema del conflitto di interessi ai tempi di Silvio Berlusconi, un imprenditore di successo sceso in campo e grande e sorprendente vincitore delle elezioni politiche negli anni ‘90. Si discusse parecchio sul suo conflitto di interessi (proprietario del più grande sistema privato di produzione televisiva e quindi, una volta diventato Presidente del Consiglio, anche azionista unico della Rai, l’ente pubblico che dovrebbe garantire l’indipendenza e l’autonomia dell’informazione nel nostro Paese, concorrente diretto del gruppo Mediaset) ma poi, alla fine, tutte le ipotesi ventilate, dal blind trust ad altre, creative, soluzioni giuridiche, furono abbandonate.
Berlusconi, pur con diversi procedimenti penali pendenti, governò fino al 2011 senza sostanziali e rilevanti problemi. Soltanto la crisi economica e l’emergenza dei conti pubblici, in quell’anno, sotto la spinta anche di un’Unione Europea che temeva per le sorti del nostro Paese, costrinse Berlusconi a fare un passo indietro e a lasciare il timone di comando a Mario Monti. Bisogna dargli atto con senso democratico e rispetto delle istituzioni, aldilà delle polemiche mediatiche.
Bene, da intenditori di questa materia, ci aspettiamo che negli Stati Uniti il problema del conflitto di interessi di Elon Musk sia risolto in maniera convincente, giuridicamente ineccepibile ma soprattutto efficace per arginare lo strapotere che tra la Casa Bianca e il giovane imprenditore Musk si è venuto a creare. L’esempio che abbiamo citato all’inizio, che apparentemente potrebbe essere considerato marginale rispetto al ragionamento che abbiamo sviluppato, dimostra come Elon Musk stia interpretando il suo nuovo ruolo: non solo più un imprenditore che protegge i suoi interessi ma anche un uomo politico, designato addirittura come ministro di un governo, che si permette il lusso di esprimere giudizi sulla magistratura e sul Parlamento di paesi, tra l’altro alleati dell’America, come l’Italia.
Inoltre, come accaduto poche ore fa a New York, un imprenditore che ormai evidentemente in possesso di una delega del Presidente incontra in grande riservatezza un alto esponente dell’élite politica iraniana. La designazione di Musk a Ministro dell’efficientamento della macchina pubblica americana, é il primo segnale di come Trump stia pagando la “cambiale” firmata proprio a Musk in campagna elettorale. La prova che se il sistema politico americano e la sua governance non troveranno adeguati rimedi, il rischio che i conflitti di interessi esistenti provochino una catastrofe etica ed economica è molto alto.
Lungi da noi gridare “al lupo… al lupo” però anche in questi mesi, nella cosiddetta transizione tra la presidenza Biden e la presidenza Trump, bisogna gestire questo delicatissimo laboratorio politico con grande attenzione, rigorosità e visione. Sarebbe un disastro se il nuovo Presidente degli Stati Uniti, con nelle proprie mani la maggioranza nelle due Camere del Parlamento, potesse pianificare una politica economica e soprattutto industriale mirata a privilegiare gli interessi delle cosiddette “over the top” o, peggio, delle numerose aziende facenti capo direttamente o indirettamente ad Elon Musk.
La stampa avrà un ruolo fondamentale nella vigilanza su questo fenomeno, dovendo svolgere oggi più che mai il ruolo di “watchdog” della democrazia americana. In caso contrario, non dimentichiamocelo mai, in un contesto complesso, delicato e molto flessibile per tutti i giochi politici e diplomatici che sono in corso per ridisegnare le geo mappe del pianeta, sarebbe tragico che quello che dovrebbe essere il Paese guida delle democrazie occidentali fosse rappresentato da un ristretto numero di persone fisiche con un potere concentrato nelle loro mani mai visto prima.
D’altronde la furia quasi iconoclasta con cui Trump sta costruendo la sua squadra di governo, dimostra il suo scopo: sorprendere con scelte di personaggi “contro” (l’ultimo è Kennedy jr. al ministero della sanità) oppure “graditi” dal facile populismo d’accatto (come nel caso del neoministro della difesa!). La furia nelle nomine e il completo disinteresse sulle reazioni preoccupate che sta scatenando, ci offrono purtroppo la cifra di un Presidente eletto che non valorizzerà il consenso attribuitogli dalla maggioranza degli americani ma sembra quasi volersi vendicare delle élite.
Perché questa potrebbe essere l’amara verità dei tempi che ci attendono. Una “cancel policy”… già vista! Ci attendono mesi importanti in cui ciascuno di noi, nella propria comunità, dovrà svolgere un attento compito di vigilanza e controllo in modo tale da gestire in qualche modo le contaminazioni mediatiche che sicuramente arriveranno da tutto il mondo guidato dal ticket Trump-Musk.
Riccardo Rossotto