L’INCONTRO del gennaio 2000, nell’articolo di fondo, ricordava, a distanza di 400 anni dalla morte sul rogo, la figura di Giordano Bruno. Perché è ancor oggi una data da ricordare e, soprattutto, perché Giordano Bruno venne giustiziato in quel modo atroce?
L’INCONTRO riferiva che “il 17 febbraio 1600 a Roma, in piazza Campo de’ Fiori, Giordano Bruno, nudo, legato ad un palo, moriva su una catasta di legna accesa dopo aver respinto il crocefisso che i carnefici gli accostavano al volto. Quando era stato condannato dal Tribunale della Santa Inquisizione quale “eretico impenitente”, dopo 8 anni di carcere e di interrogatori, esclamò, alla lettura della sentenza, costretto ad ascoltarla in ginocchio. “Forse pronunciate contro di me questa sentenza con maggior timore di quanto ne provo io nel riceverla…”
Un eretico impenitente, insofferente della disciplina
La vicenda, per una miglior comprensione, va contestualizzata nell’epoca della Controriforma, scatenata dalla Chiesa Cattolica per arginare gli effetti della Riforma di Martin Lutero, che ormai si erano diffusi ampiamente in tutta l’Europa del Nord.
Chiunque, anche un uomo semplice o una donna qualsiasi, poteva essere mandato al rogo, dopo un processo farsa, nel quale, invariabilmente, tramite accuse false e testimoni compiacenti, si era accusati di eresia o di stregonaria.
Figurarsi quali gravi conseguenze potevano derivare a chi – come scriveva L’INCONTRO – aveva lasciato “a 28 anni la natia Nola dopo aver gettato la tonaca di frate domenicano e cominciato un lungo peregrinaggio in Europa segnato dalla povertà e dalla irrequietezza. A Oxford si azzuffò con i dottori dell’Università, a Ginevra finì in carcere e fu espulso dai seguaci di Calvino, a Francoforte disputò con i sostenitori di Lutero, ovunque insofferente di disciplina, adottando un verso dell’Ariosto: “D’ogni legge nemico e d’ogni fede”, mentre si susseguivano ovunque i processi per eresia conclusi con decapitazioni o roghi”.
Un sostenitore della teoria copernicana
Ed ancora “sostenitore della teoria copernicana, condannata dalla Chiesa quale rottura della concezione di un universo finito sostituita da quella di un universo infinito nello spazio e nel tempo, esaltò la magia che introduce nei segreti del cosmo. Con “eroico furore” affermò che l’atto conoscitivo è anche atto di libertà“.
La Chiesa non poteva tollerare tutto ciò, specie in un momento nel quale in Europa eretici di varia estrazione la contestavano. Egli, al contrario di Galilei che, pochi anni dopo, fù costretto, per salvarsi, ad abiurare le proprie scoperte scientifiche, non si piegò, nonostante il carcere e le torture e venne quindi condannato come tanti altri eretici al rogo, che era una pena dolorosissima, ma anche, secondo i carnefici, un modo di espiazione dei peccati e di purificazione.
Quanto serve ricordare oggi Giordano Bruno
Tra le Sue tante attività vi è stata per anni anche quella di Presidente dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, della quale è tuttora Presidente Emerito e collaboratore della Rivista omonima. Perché è ancor oggi necessario ricordare Giordano Bruno?
Proprio perché a distanza di 400 anni la Chiesa non ha mai espresso una parola di condanna di questi errori della Storia, né ha mai chiesto perdono per le proprie azioni più abiette.
Vale la pena – come ci ricorda L’INCONTRO dell’epoca – di ripetere le parole che ebbe a pronunciare nel 2000 il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, presentando il libro di Saverio Ricci “Giordano Bruno nell’Europa del ‘500”. “sussiste incompatibilità della filosofia bruniana con la fede cristiana”. Il che significa che la condanna pronunciata dall’Inquisizione permane tuttora a conferma dell’inconciliabilità fra la moderna libertà di pensiero (“o si pensa o si crede”) e il dogmatismo di tutte le confessioni religiose”.
Il mea culpa della Chiesa di Papa Wojtila
In realtà, proprio il 12 marzo del 2000, Papa Wojtila ebbe a pronunciare un clamoroso “mea culpa”, tanto è vero che l’INCONTRO di quel mese ebbe a titolare “La Chiesa e le colpe del passato”. Che cosa era avvenuto?
In effetti, nel corso di una solenna cerimonia in Vaticano “durante l’omelia il Papa ha spiegato che la Chiesa vuole purificare la sua memoria dalle colpe e dalle omissioni di oggi e di ieri. “Non si tratta di un giudizio – ha detto – sulla responsabilità soggettiva dei fratelli che ci hanno preceduto…. Confessiamo, a maggior ragione le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinnanzi all’’ateismo, all’indifferenza religiosa, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali sono le nostre responsabilità”.
Un atto di autocritica di somma saggezza
Le parole pronunciate furono effettivamente forti e chiare, forse per la prima volta: “la Chiesa deve “sempre riconoscere come suoi i peccati dei suoi figli”, cioè non può ritenersi al di sopra dei peccati commessi dagli uomini che la rappresentarono. Perciò è urgente riconoscere i motivi di “scandalo e contro-testimonianza” offerti dalla comunità ecclesiastica e prendere atto che esiste una “responsabilità comune oggettiva, la quale comporta colpe di cui implorare il perdono da Dio al fine di purificare la memoria dai peccati e dalle offese passati e presenti”. L’INCONTRO concludeva l’articolo rilevando come “in definitiva questa autocritica da parte di una religione monoteista rappresenta un atto di somma saggezza”.
La sfiducia nella politica oggi ancora più forte
Ancora una volta, in breve, vorrei tornare sui referendum, un tema oggi molto attuale, alla luce del “flop” dei referendum sulla giustizia promossi da Radicali e Lega il 9 giugno scorso. Nel n. 4 del maggio 2000 l’articolo di fondo de L’INCONTRO titolava: “In crisi lo strumento dei referendum”, con il sottotitolo “Sfiducia nella politica”. Che cosa era avvenuto?
Anche in quell’occasione erano stati ammessi 7 referendum su vari argomenti, con loro votazione il 21 maggio del 2000. Ebbene, allora, come oggi, l’assenteismo palesò la grave crisi di questa forma di democrazia diretta. Voglio concludere con le parole di allora. “Lo spirito del referendum è l’espressione della volontà popolare, la fiducia di potere introdurre o cambiare le leggi che il Parlamento non riesce a deliberare. Il fatto che due elettori su tre abbiano disertato le urne (esattamente solo il 32% del corpo elettorale ha votato) dimostra come abbia vinto la sfiducia nello strumento referendario, ma altresì nella politica, nelle istituzioni, nello Stato“.
Da allora sono passati molti anni, ma alcuni gruppi politici (in particolare i Radicali) continuano ostinatamente a pensare di poter risolvere i problemi del Paese con i referendum. Soprattutto, non vi è, da parte di alcuno, almeno un cenno allo spreco di denaro pubblico che paghiamo tutti noi.
Alessandro Re