Siamo piombati in un clima quasi da “guerra fredda” tra Italia e Francia, assolutamente imprevedibile ed imprevisto fino a poche settimane orsono. E’ dovuto intervenire Mattarella per riaprire il dialogo con Macron e riportare un po’ di serenità nelle diplomazie dei due paesi. Il Presidente italiano ha riaffermato il valore di un’alleanza strategica e politica tra i due grandi paesi fondatori dell’Unione Europea, tra l’altro confinanti.
La politica sui flussi migratori, il motivo della crisi
Una questione spinosa, drammatica, nelle agende dei vari governi europei da almeno 10 anni, senza soluzioni che abbiano evitato una continua strage di esseri umani che ha fatto diventare il Mediterraneo un grande cimitero. Come mai? Quali sono le ragioni che impediscono un accordo globale, evitando che, periodicamente e a rotazione, la polemica non scoppi di nuovo, ogni volta picconando la già difficile coesione tra gli stati membri dell’UE? Proviamo a chiarirci le idee della complessità di questa tematica provando a separare le questioni giuridiche da quelle politiche e da quelle etiche.
Ci sono obblighi giuridici precisi derivati da accordi internazionali
Un conto sono infatti gli obblighi morali che ogni stato membro, in rappresentanza della maggioranza dei propri cittadini, mette sul tavolo della negoziazione. Un conto sono gli obblighi giuridici derivanti da accordi o trattati internazionali e/o da normative europee o interne dei singoli stati membri. Un conto sono, ancora, le valenze politiche che determinano le scelte che i singoli governi “brandiscono come scimitarre” pensando in tal modo di intercettare lo stomaco dei propri elettori, attuali o prospettici, nel contesto partitico esistente in ogni singolo stato membro. Forse separando questi temi, tutti importanti nell’approccio e individuazione di una auspicata politica comune dei flussi migratori, si potranno capire meglio le ragioni dei contrasti, della “levata di scudi”, delle polemiche che, ogni volta, si scatenano su un fenomeno che, non dimentichiamolo, sarà la cifra dei prossimi decenni. Per ragioni belliche, sociali o ambientali (carestie) dobbiamo prendere atto che milioni di persone saranno in movimento nei prossimi anni, abbandonando i loro paesi nella speranza di risolvere i loro tragici problemi di sopravvivenza.
Le questioni giuridiche
Al di là dei principi propri del diritto del mare e delle norme internazionali che danno priorità, sempre e comunque, alla sicurezza dei naufraghi dell’equipaggio e della nave, la disciplina ancora vigente a livello europeo è quella del tanto discusso e contestato Trattato di Dublino. Un accordo che, nella latitanza del governo italiano di allora, fissò il principio che l’accoglienza dei migranti era posta a carico dello stato membro più vicino alla nave in cerca di un “porto sicuro”. L’aver scaricato sulle spalle degli stati che si affacciano sul Mediterraneo l’intera responsabilità dell’accoglienza di centinaia di migliaia di migranti ha scatenato proteste, polemiche, rischi di crisi a livello di Commissione Europea. Per evitare tale ingiusta penalizzazione soltanto di alcuni stati membri, si è arrivati alla sottoscrizione dell’accordo del giugno 2022, firmato volontariamente da 18 stati membri dell’Unione Europea e da tre esterni. L’accordo è privo di effetti obbligatori. Introduce un meccanismo solidaristico di carattere volontario, fondato sulla ricollocazione dei migranti sbarcati nel Mediterraneo. Gli stati firmatari godono di un’ampia discrezionalità sia riguardo alla quantità di persone da collocare, sia alla loro identificazione, nonché all’eventuale sospensione del loro contributo in caso di crisi migratorie.
Un accordo che – finora – non ha funzionato
Gli stati firmatari possono decidere di erogare contributi finanziari in alternativa alla ricollocazione concordata. Tale accordo non ha funzionato! “E’ increscioso e deludente il mancato rispetto degli impegni sulla ricollocazione dei migranti che lascia a noi l’onere più gravoso” si può leggere in una nota sottoscritta dai ministri dell’Interno di Italia, Grecia, Cipro e Malta. I critici del governo Meloni hanno evidenziato come la sottoscrizione di tale nota da parte dell’Italia dimostri il “dilettantismo” del nostro governo, ormai alleato soltanto di paesi piccoli e marginali rispetto agli equilibri di potere esistenti a Bruxelles!. E’ necessario, si legge sempre nel comunicato, “sviluppare una nuova politica europea in materia, realmente ispirata ai principi di solidarietà e responsabilità e condivisa fra tutti gli stati membri”. La posizione italiana può essere riassunta nel concetto che segue. Non possiamo condividere l’idea che i paesi di primo ingresso siano gli unici punti di sbarco europei possibili per gli immigrati illegali sulla base di una scelta fatta da navi pirata.
Un nuovo decreto per regolarizzare l’operato delle ONG
Il Ministro degli Interni italiano Piantedosi sta studiando un nuovo decreto sicurezza che sposti ogni decisione sui salvataggi di migranti a bordo di navi che richiedono l’attracco in porti italiani, dalla magistratura alle prefetture considerando questo cambiamento l’unica arma efficace per fermare le ONG con il provvedimento di sequestro delle loro navi. Da un profilo penale si passa quindi ad un profilo amministrativo che potrebbe diventare l’oggetto di un decreto da portare ad un prossimo Consiglio dei Ministri. A Bruxelles invece, si vive una situazione di stallo. Il summit tra i ministri degli Esteri non ha portato ad alcuna novità e si sta immaginando un nuovo vertice da fissarsi entro fine mese alla presenza di tutti i 27 ministri dell’Interno con all’ordine del giorno il dossier migranti. Si punta ad un maggior coordinamento tra gli stati sempre su base volontaristica, ma con l’identificazione di un piano operativo che renda più rapido e automatico il ricollocamento negli altri paesi. Uno scenario globale quindi incerto, confuso, con rapporti molto tesi tra i vari governi.
Le questioni politiche
Le decisioni dei singoli governi dei 27 paesi membri sono correttamente figlie di valutazioni politiche, di interpretazioni, come dicevamo, spesso più dello stomaco dei propri concittadini che non di una visione prospettica per una risoluzione del problema migratorio da articolare sempre e comunque con responsabilità e solidarietà. Lo spettacolo che ci offrono le attuali leadership europee è molto deludente, tale da suscitare un certo pessimismo sul futuro stesso dell’Unione Europea. L’egoismo nazionalistico, gli interessi economici domestici, l’attenzione ai malumori delle piazze, hanno la priorità nelle valutazioni governative, dando vita a quei contrasti che portano purtroppo al “ognuno fa per sé e gli altri si arrangino”! Chi ci guadagna in questo caos sono sicuramente i trafficanti di esseri umani che continuano indisturbati il loro business facendosi beffe degli scontri diplomatici e mediatici dei vari leader europei.
Cosa fare quindi?
Se fossimo davvero europeisti o lo volessimo almeno diventare, considereremmo i confini del nostro continente come comuni, non più di questo o di quello stato membro. Se i migranti sbarcano in Italia o in Francia o in Spagna, in realtà sbarcano nell’Unione Europea e devono essere accolti secondo una disciplina comune a tutti i 27 stati membri. La riforma del Trattato di Dublino andrebbe realizzata subito nell’ottica di una gestione solidale degli immigrati e non dello scaricamento del problema solo sulle spalle degli stati membri, sfortunatamente per loro, più vicini ed in frontiera rispetto ai migranti in arrivo da più parti del mondo. L’accordo del giugno 2022 non è sufficiente, ha dato risultati numerici deludenti: non può essere basato soltanto sulla volontarietà dei singoli stati. Deve diventare obbligatorio. Deve essere disciplinato in modo più trasparente e severamente efficace il binomio accoglienza (chi riceve i migranti per vicinanza o comodità di approdo) e riparto dei flussi (redistribuzione dei migranti dal paese che li accoglie agli altri paesi membri) con sanzioni immediate e rigorose per gli inadempienti.
Evitare il business dei trafficanti di esseri umani
Contemporaneamente, in Italia, bisognerebbe fare tre cose. Superare la Bossi-Fini e prevedere flussi consistenti di migrazione legale, gestiti dalle reti consolari, con l’impegno dei paesi di origine di riprendersi i loro migranti illegali. Riaprire il dossier relativo alla stesura di un codice di comportamento obbligatorio per le ONG che gestiscono il salvataggio dei migranti, per evitare lo sviluppo del business dei trafficanti di esseri umani con la complicità manifesta o meno delle ONG medesime. Rilanciare il progetto, da tempo accantonato, di condizionare i fondi economici destinati alla cooperazione con i paesi del nord Africa ad un presidio più pregnante sulla disciplina all’interno dei campi profughi (soprattutto in Libia), anche con l’intervento eventuale di un contingente militare europeo: tutto ciò per porre fine alla proliferazione di veri e propri lager e centri di tortura gestiti dai trafficanti locali ai danni dei poveri migranti.
A quando una leadership visionaria per l’Europa?
Una speranza, infine. Come accaduto per gli ucraini, evitiamo che in questa tragedia non si crei anche una disuguaglianza di regole che dia vita a privilegi che dovrebbero essere contrari a qualsiasi norma giuridica ed etica di paesi civili e democratici quali quelli in cui viviamo. Anche per questa drammatica tematica, prioritaria per il futuro dell’Europa unita, ci vorrebbe una leadership visionaria, responsabile e solidale: una leadership insomma di statisti, non di gestori del presente. Solo così si potrebbe proseguire il sogno di una Europa come quella immaginata dai firmatari del manifesto di Ventotene.
Riccardo Rossotto