Si può essere locali ed essere internazionali al tempo stesso.
Angelo è giornalista, di XXmiglia, e in 60 anni di servizio, e di servizi, ha seguito ininterrottamente il Festival del Cinema di Cannes. Fosse stato un inglese o un romano sarebbe stato sicuramente premiato con un premio alla carriera, perlomeno televisivo.
Elio è ferroviere e fa il verso a Leo Ferre’, anarchico come lui, ma è ferroviere e non canzoniere, antifascista, con rocambolesche avventure di guerra e resistenza.
John è trombettiere, il trombettiere del Generale Custer, almeno così era prima di leggere questa storia che sfata la leggenda, e viene da Apricale. E chi glielo dice adesso al mio amico Alberto Martini di Apricale che credevo un parente alla lontana di John ?
Ettore e Marco, padre e figlio, sono merciai e sono morti ad Auschwitz. Puoi essere di XXmiglia e morire ad Auschwitz. E avere una piazza dedicata, solo perché quella sera eri stanco e hai preferito non partire nonostante la soffiata amica …
Storie di frontiera chiude la trilogia estiva , con personaggi meno noti che oggi lo sono forse un po’ di più, grazie alla voce poetica e ai ricordi di Arturo Viale.
Personaggi che sono eroi dentro, perché a volte basta poco per essere eroi.
Magari soltanto un bicchiere di più … o in meno, a seconda dei casi.
1 – Angelo Maccario
«Quando si parla del maggio francese del 68 vengono in mente le barricate nel Quartiere Latino e la canzone di Fabrizio De André. Angelo Maccario riferiva in quei giorni da Cannes, dal 21° festival del cinema sul Corriere della Sera che “su un pezzo di carta maldestramente fissato sulla porta di ingresso del “palais” si leggeva scritto con inchiostro rosso: le festival est clos”. Aggiungeva il giornalista che “Moltissimi sono alla ricerca di mezzi di fortuna per raggiungere da Cannes, Parigi o per lo meno la frontiera italiana di Ventimiglia, da cui poi partire alla volta dei paesi di provenienza”.
Si interrompeva così il festival di Cannes senza assegnare le “palme”. Angelo Maccario, giornalista Ventimigliese, ha “coperto” senza interruzioni le prime sessanta edizioni del festival di Cannes ed è stato corrispondente di decine di testate ed agenzie giornalistiche.
C’era anche quando partecipò al festival la Dolce Vita di Fellini e L’avventura di Antonioni.
Una delle sue notizie di Agenzia è diventata famosa e raccolta anche dalla Domenica del Corriere che così la presentava a commento di una illustrazione di Walter Molino:
“Serenata a Soraya. Due giovani di Ventimiglia, un pittore e un poeta, sapendo che il Constitution su cui viaggiava l’ex imperatrice Soraya, passava al largo della loro città, presero una barca e puntarono verso quella nave. Il pittore portava un suo quadro raffigurante la principessa triste, il poeta le aveva dedicato un’ode. Speravano di farsi notare ed essere ammessi a bordo. Il mare in burrasca ha rovesciato la barca. I due artisti, ottimi nuotatori, sono riusciti a risalire sulla fragile imbarcazione ma il Constitution intanto era lontano.”
La storia finì all’osteria dove era iniziata per gioco, inventata da tre amici, tra cui il pittore Barbadirame e il giornalista Maccario».
2 – Elio Rosadi
«Elio camminava come un cameriere facendo quasi scivolare i piedi con una postura un po’ curva, quasi a uovo. Mi sembrava un Elfo, un personaggio shakesperiano uscito dal sogno di una notte di mezza estate. Da fermo riuniva le mani come in segno di deferenza, rispetto.
Era un mangiapreti, eppure mi ricordava un cardinale di Manzù, semplice, solenne, saggio.
Aveva sempre un basco taglia 57 con una piccola visiera, si direbbe una coppola, come se sua madre gli dicesse ancora di mettersi il cappello prima di uscire, che c’è umidità.
Mi faceva pensare ad un animale selvatico di cui cercare di conoscere le sue abitudini, scoprire l’albero in cui ha fatto la tana, l’ora in cui esce all’aria e permettergli di conoscere le tue. Sorrideva scoprendo un po’ i denti, si fermava ad assaporare lentamente le idee che sentiva raccontare da altri.
Ho trovato sue tracce in luoghi, case, osterie e soprattutto in molte persone che ho conosciute e con cui mi sono trovato bene anch’io. Era anarchico, venuto da piccolo da Arezzo, sempre in contatto con movimenti internazionali, tenuto conto che aveva lavorato in ferrovia a Ventimiglia. L’adunata dei refrattari non mancava mai a casa sua.
Aveva fatto valicare in Francia dal passo del Cornaio in una notte illune, un certo Pietro Angaramo, prete spretato ed anarchico in fuga, condannato per vilipendio per aver scritto una lettera aperta al Papa Pio XII pubblicata sul giornale L’Avanti. Aveva anche dato rifugio al mio amico Giuseppe P. quando era cercato da un gruppo di neofascisti per sistemare una questione di manifesti affissi e strappati in occasione di una tornata elettorale tra le più accese.
L’avventura più importante l’aveva vissuta ai primi di settembre del 1944, quando erano fuggiti in tre su un gozzo rubato a Latte dagli Orengo, andando verso il largo nel mare davanti a Mortola, con lo scopo di fornire agli alleati informazioni precise sui posizionamenti sulla costa ed evitare bombardamenti navali che colpissero i civili.
Finalmente, a forza di remare, incontrarono un MAS della marina americana che li portò in salvo al comando di St. Raphael. Un giorno, cinquanta anni dopo, mi spiega un motivo più serio per cui era fuggito in barca: in quel tempo lavorava in ferrovia agli impianti elettrici, alle linee aeree e aveva organizzato con un collega un gesto dimostrativo per mandare in corto circuito tutti gli impianti. Il sabotaggio era pronto ma un tedesco con la massima calma gli dice poche parole che sono una sentenza: troppo bene vi siete sbagliati perché si possa pensare ad un errore. Così smontano tutto, il tempo di ripristinare e fuggire.
Elio da molti anni non c’è più ma provo sempre tanto piacere a parlare di Lui. »
3 – John Martin
«Ogni volta che racconto questa storia trovo particolari che mi erano sfuggiti.
Sono almeno cinquant’anni che sento parlare di quel tale di Apricale, un bel paese qui vicino, che dopo aver combattuto e perso con Garibaldi a Mentana, all’inizio del 1873 decise di emigrare in America per cercare fortuna. La cosa certa è che alle tre e mezza del pomeriggio del 25 giugno del 1876 era alla battaglia di Little Bighorn tra i soldati blu contro i nativi Sioux e Cheyenne. Era destinato a perdere anche questa volta, ma per lui c’è un incontro con la fortuna. Il suo comandante, il generale Caster, lo manda a chiedere rinforzi ed è l’unico soldato blu che si salva in quella battaglia. Fino a pochi anni fa, quelli di Apricale (IM) erano riusciti a tener duro, a sostenere che Giovanni Martini era nato da queste parti. Lo avevo sentito raccontare con orgoglio già quando ero bambino come se la notizia fosse tratta dall’antico Testamento. Poi secondo la ricostruzione più recente Martin risultò sicuramente di Sala Consilina, poco più che ventenne era partito da Napoli a bordo del veliero inglese Tyrian all’inizio del 1873 e si era arruolato a New York il primo giugno del 1874 con una prima ferma di cinque anni nei cavalleggeri di Custer come trombettiere e portaordini. Nella famosa battaglia di Little Bighorn c’erano almeno altri cinque italiani e forse anche di più. In realtà non fu l’unico a salvarsi ma fu l’ultimo a vedere ancora vivo il generale Custer che lo aveva mandato a chiedere rinforzi ed armi quando era già troppo tardi. In America militò a lungo nell’esercito e i suoi commilitoni lo chiamavano “Conzolino” a conferma delle sue origini di Sala Consilina.
A quel punto Martin era diventato un personaggio famoso, se lo disputavano i giornalisti per le interviste e le commissioni di inchiesta per chiarire cosa fosse successo quel giorno storico. Sembra una storia da film americano. Giovanni Martino era nato il 28 gennaio 1852 ed era un trovatello abbandonato nella ruota degli esposti sul sagrato della chiesa. Era finito a vendere i biglietti della metropolitana di New York, si era separato dalla moglie e aveva chiesto alla figlia di ospitarlo nella vecchiaia. John morì nel 1922 il giorno prima di Natale essendo stato investito da un camion che faceva le consegne della birra.
Il resto della sceneggiatura era stato inventato. »
4 – Ettore e Marco Bassi
Ettore e Marco Bassi, padre e figlio, non sono sopravvissuti alla Shoah e da qualche anno sono ricordati a Ventimiglia in una piazzetta vicino a dove avevano un negozio di merceria.
Mi raccontava Pierin a ottantasette anni che a volte la sera faceva fatica a prendere sonno e rivedeva la scena che vi racconto di più di mezzo secolo prima. Sono a cena da Tornaghi con i soliti habitué, quando passa il commissario Pavone e con la scusa di bere una volta avverte Marco Bassi che il giorno dopo passerà a prenderlo, ad arrestare lui e suo padre Ettore. Li avvisa per dare loro l’ultima occasione per fuggire, tutti sanno che sono amici, compagni di ribotte, e nessuno si stupisce di questa cordialità.
I Bassi sono ebrei, la madre è una Segre, di ebrei ne hanno fatto sconfinare molti verso la Francia e stavolta dovrebbero salvarsi loro. Pierin, il mio amico, ha capito al volo ed ha pensato alle valli di Cuneo in quel momento già in mano ai partigiani e ai contrabbandieri, a Caraglio e Castelmagno ha molti amici. Ha pronto un tassista complice.
Anche Marco ha capito, ma suo padre è anziano, non sanno cosa fare, vorrebbero evitare un viaggio. La madre l’hanno già sistemata in una clinica compiacente sulla via Romana a Vallecrosia. Si osservano a lungo, indecisi, poi Marco si toglie dal polso l’orologio d’oro, di marca, lo offre in ricordo a Pierin che tentenna, cerca ancora di convincerlo a scappare.
Così l’orologio poi va alla commessa del negozio di merceria. Padre e figlio sono deportati ad Auschwitz il 26 novembre del 1943 e quel ricordo è rimasto per alcuni anni l’ultimo ricordo di Pierin prima di addormentarsi. Finché ha preso sonno per sempre e tocca a me raccontare».
Eraldo Mussa