Un popolo che dimentica la propria storia è condannato a ripeterla, ammoniva il politico e filosofo britannico Edmund Burke, già nella seconda metà del ‘700. E gli Stati Uniti la loro storia – basata sulla convinzione di avere il mandato divino di esportare la propria democrazia in ogni angolo del mondo – la dimenticano e la ripetono dal giorno dell’Indipendenza, il 4 luglio 1776. Gli americani definiscono “Destino manifesto” la missione di espandersi, diffondendo ovunque i propri valori. Una ideale ovvio (manifesto) e inevitabile (destino). Nonostante questo, o forse proprio per questo, sono una grande potenza. Una potenza imperiale, sentenzia qualcuno.
Ma è proprio così? Gli Usa sono un impero? Se pensiamo agli imperi di ieri – quelli che colonizzavano, saccheggiavano e schiavizzavano altri popoli – la risposta è certamente negativa; se invece ci riferiamo al potere egemonico su altri Paesi la risposta non può che essere affermativa: è l’impero più forte di sempre, ma diverso da tutti gli altri. È proprio la diversità il fattore sul quale andrebbe concentrata l’attenzione, altrimenti si rischia di non comprendersi.
Tuttavia, la storia non solo ci insegna che gli imperi del passato – romano, persiano, greco, ottomano, britannico… – sono tutti morti, ma cinicamente ci ricorda che la causa della morte non è arrivata dall’esterno bensì dall’interno: gli imperi marciscono da dentro, ebbri della loro magnificenza, non riescono a percepire i sintomi della decadenza. Una sorta di suicidio, insomma. Succederà anche a quello americano? Partiamo dall’inizio.
Dopo il Secondo conflitto mondiale, il mondo ha obbedito agli Usa perché aveva fiducia in essi; oggi obbedisce non per stima, ma per paura… solo perché non sa trovare un’alternativa convincente. Gli Usa hanno perso progressivamente credibilità guerra dopo guerra – dal 1948, tutte perse o fintamente vinte. A peggiorare le cose ha contribuito il disastro delle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001, che ha messo in vetrina la loro vulnerabilità. È da quel giorno che gli Usa sono diventati un Paese ansioso, aggressivo, vendicativo e intollerante. E, quindi, poco affidabile.
Ma c’è anche di più: tutto questo è avvenuto in un mondo in progressivo cambiamento, nel quale la Cina ha fatto registrare un portentoso avanzamento che ha generato nella leadership americana il timore di perdere l’egemonia.
Partendo da questo scenario, è facile cadere nel tranello logico che indica nella Cina la causa di un potenziale declino dell’America. No, come insegna la storia, la fine dell’impero americano – ammesso che si verifichi – sarà determinato dagli stessi Stati Uniti.
Facciamo un altro passo indietro. L’impero britannico generò la Rivoluzione industriale, il libero scambio e quel modello sociale che chiamiamo capitalismo. Gli Usa hanno saputo governare il nuovo sistema, trasformandolo a proprio vantaggio in capitalismo finanziario. Creando lo stereotipo “chi controlla il capitale controlla il mondo” hanno generato la propria indiscussa egemonia, arrivando a delocalizzare interi processi produttivi, o fasi di essi, in Paesi che garantivano minori costi della manodopera o altri vantaggi competitivi. In sostanza, gli Stati Uniti hanno prodotto sempre meno, guadagnando sempre più, grazie al potere del dollaro. Oggi, oltre il 70 per cento della popolazione impiegatizia statunitense opera nel settore della finanza e dei servizi finanziari. Si tratta di un rilievo statistico, fatto con la volontà di evitare ingenui moniti alla correttezza morale della finanza, il cui unico obiettivo esistenziale è crescere e moltiplicarsi.
Ma, allora, perché potrebbero essere essi stessi la causa del proprio declino? È presto detto. Gli Stati Uniti sono stati gli indiscussi protagonisti dell’ultima rivoluzione tecnologica, quella digitale, di internet e dell’intelligenza artificiale. Ma hanno scoperto di non impugnarne le redini, perché nulla e nessuno può orientarla. Da questa rivoluzione emergono due fattori che, in una sorta di circolo chiuso, sono al contempo causa e conseguenza della stessa rivoluzione: la decentralizzazione e la demonetizzazione. In termini più concreti, da questa rivoluzione nascono nuovi metodi di produzione e di commercializzazione che non sono allocabili in un posto preciso, ci sono già e sono ovunque.
Internet ha agito come moltiplicatore di efficienza per la produzione industriale, la vita economica e la trasformazione militare… ma lo ha fatto per tutti, non solo per chi l’ha inventato. E ancora: quando i pagamenti e le transazioni online diventeranno il modello di business prevalente, il dollaro non sarà più la moneta di riferimento. I primi segnali sono evidenti: a metà giugno 2024, la Banca Centrale della Federazione Russa ha stabilito che lo yuan sostituisce ovunque il dollaro negli scambi, diventando la principale valuta estera. D’altronde, se compri tutto in Asia e dentro i Brics, i dollari non servono più!
Con la decentralizzazione e la demonetizzazione, internet sta decostruendo il potere, dando vita a quel “policentrismo” che erroneamente attribuiamo alla volontà di Cina, Russia e gli altri Brics Plus, che hanno il merito di averlo capito per primi. Opponendosi alla multipolarità gli Usa rischiano di isolarsi, ponendosi da soli al di fuori dei giochi internazionali. Tentando di mantenere in vita uno stato di cose che non può rimanere in vita perché cozza contro lo spirito stesso di internet, che essi stessi hanno voluto, ripeterebbero gli stessi errori commessi dagli imperi che si sono suicidati nel corso della storia.
Non so se ci sarà un tracollo degli Stati Uniti, spero non ci sia mai… per il bene del mondo. Diciamo che potrebbe essere un brutto giorno l’11 novembre di non so quale anno. In Cina, l’11 novembre è la festa dei single, il giorno in cui si spende di più, al pari di ciò che avviene in America il giorno del Ringraziamento. Bene, se ci sarà un 11 novembre in cui gli acquisti su Alibaba supereranno quelli di tutti i negozi online americani, quello sarà il giorno in cui coloro che non vogliono capire dovranno sforzarsi di farlo.
La sintesi di tutto questo potrebbe essere: l’impero britannico generò la Rivoluzione industriale e il modello sociale del capitalismo; l’impero americano ha invece generato la Rivoluzione digitale e, con essa, un suo potenziale deflusso egemonico, soprattutto se continuerà a ostacolare la crescita di un assetto multipolare. Un errore ancora più grosso sarebbe pensare di mantenere in vita la propria egemonia con l’uso della forza, perché l’unica disparità che è fortemente diminuita nel mondo è proprio quella delle armi.
Un’altra conclusione che si può trarre è che per gli stessi motivi per cui gli Stati Uniti potrebbero assistere al ridimensionamento del proprio potere, la Cina non tornerà a essere un impero in grado di esprimere un’egemonia mondiale. E questo è un bene, perché il mondo non ha più bisogno di “un uomo solo al comando”, ma di un’economia policentrica e collaborativa. Sì, il mondo di oggi è una moderna aula universitaria, non più una novecentesca classe di scuola media inferiore che ha bisogno di un capoclasse.
Mario Grasso
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