Philip Kotler, indiscusso guru del marketing, inteso nel suo senso più ampio, li ha definiti “paradossi”. Sono le contraddizioni della società digitale, attraversata simultaneamente da tendenze e controtendenze. Uno tra gli esempi più noti: nella storia, mai come ora, grazie a Internet, abbiamo facile accesso alle informazioni, ma al tempo stesso, abbiamo talmente tante fonti, di cui a stento sappiamo individuare l’effettiva autorevolezza e attendibilità, che facciamo fatica a raccapezzarci.
Un altro paradosso riguarda a mio avviso l’utilizzo del cellulare da parte dei ragazzi. Una questione affrontata a livello planetario, di cui si è già occupato L’Incontro con l’articolo del nostro editore Riccardo Rossotto “Estonia e Australia: due modelli diversi per arginare i social”. In Italia, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, del resto, è intervenuto con la circolare dell’11 luglio 2024 che regolarizza in modo restrittivo l’utilizzo degli smartphone a scuola. Cui sono seguite iniziative autonome ancor più severe da parte di alcuni singoli istituti.
Un primo paradosso è che il popolo di internet tendenzialmente applaude a queste politiche proibizionistiche. E, per inveire contro l’eccessivo uso del telefonino utilizza i social, spesso “scrivendo” proprio con gli smartphone. Ma a mio avviso ancora più paradossale è che sociologi, opinionisti e pubblica opinione in maggioranza denunciano l’invadenza del cellulare, colpevole anche di mettere in crisi i rapporti personali e di creare incomunicabilità (e anche questo sarebbe un paradosso da studiare, visto che siamo nell’era della connessione universale). Però tendono ad accettare di dover dipendere dal telefonino per svolgere un numero crescente di attività, anche tradizionali.
Ormai in diversi ristoranti (in numero crescente) non si può leggere il menù se non si ha un dispositivo per inquadrare un Qr code. In alcuni di questi stessi ristoranti poi, si invita a non usare il telefonino a tavola. O, comunque, chi lo fa viene visto male. E, ancora più grave, come si fa a insegnare ai bambini/adolescenti che il telefonino va usato poco, quando poi questi vedono i loro genitori costretti a essere provvisti di un cellulare e a impiegarlo per una cosa semplice come ordinare un piatto di spaghetti?
Interessante è il punto di vista di alcuni studiosi secondo cui queste polemiche contro i cellulari saranno inevitabilmente spazzate via in quanto stiamo diventando cyborg. Non nel senso stretto dei film distopici come la saga Terminator, con protagonisti mezzi umani e mezze macchine. E nemmeno con l’impianto di chip sottocutanei innestati nel cervello, bensì a livello sociologico.
“La distinzione tra esseri umani e macchine non è più proponibile in termini così certi. Come sosteneva Bruno Latour (già nel 1998), l’incontro tra umano e non umano costruisce un ibrido (appunto un cyborg, come diceva Donna Haraway a proposito della relazione con i computer) che è diverso da entrambi. Ed è facile capire, al di là delle metafore, che le cose stanno davvero così. I nuovi media si avvicinano più all’idea di una protesi (Marshall McLuhan) che a quella di un semplice strumento separato e neutrale. Osservazione ancora più opportuna (oggi) quando si guarda agli usi che facciamo di cellulari e computer”, riporta il libro “Sociologia dei new media” (Renato Stella, Claudio Riva, Cosimo Marco Scarcelli, Michela Drusian, edizioni Utet).
E lo stesso testo aggiunge: “Derrick de Kerckhove teorizza l’intelligenza connettiva. Discepolo di McLuhan, de Ketckhove insiste sulla continuità tra menti e macchine, tra computer e cervelli che, messi in connessione, diventano reciprocamente ancora più intelligenti. L’intelligenza connettiva è dunque una nuova condizione cognitiva di condivisione di risorse e scambio tra menti e macchine, in cui progressivamente si perderà la distinzione tra le une e le altre, a favore di un continuo miglioramento reciproco”.
Milo Goj