L’emergenza sanitaria, tutt’altro che risolta, sta lasciando spazio all’emergenza economica, quella del “Dopo”.
Alla quantità di interventi, commenti, interviste sul tema del come sconfiggere il Coronavirus e in quanto tempo, si stanno sostituendo quantità di indagini, previsioni, analisi sul come il sistema economico mondiale uscirà da questa inedita catastrofe.
Tutti vanno avanti a tentoni, con i piedi di piombo.
Nessuno ha la “verità in tasca”, ma tutti gli esperti internazionali concordano su un punto: ci sarà una recessione di dimensioni impressionanti, dai contorni e contenuti mai visti.
Una recessione in cui il prezzo più alto lo pagheranno i paesi più deboli, quelli che poggiano su sistemi economici più fragili, più indebitati.
Tutto ciò accadrà come sembra già scritto, salvo che i leader politici mondiali non riescano a trovare un accordo a livello internazionale su nuove regole del gioco (l’ho chiamato, nel mio ultimo contributo, una nuova Bretton Woods del terzo millennio).
Allo stato un ipotesi, apparentemente, utopica!
E tra i più deboli, al di là di essere ottimisti o pessimisti, ma semplicemente realisti, ci siamo Noi: ci sarà l’Italia.
Ho provato, in queste inedite e frustranti ore di smart working (dove sia lo smart me lo dovete ancora spiegare, ma ci ritornerò a breve su questo tema), ho provato, dicevo, ad incrociare due studi sugli scenari futuri post Covid-19: uno americano, del Washington Post, l’altro europeo, elaborato da un think tank di uno studio legale internazionale molto vicino alla Commissione Europea.
Il quadro che emerge, relativamente al nostro paese, è funereo, inquietante, problematico, mai visto né immaginato.
Non si tratta di diffondere notizie terroristiche su un futuro sul quale nessuno può possedere la sfera di cristallo.
Ritengo però sia utile e costruttivo leggere e capire cosa si stia scrivendo e immaginando nel mondo sul futuro, a breve, della nostra Italia.
Soprattutto se pensato e ragionato dal Club dei nostri creditori.
Già, perché il fardello differenziale che ci distingue dagli altri paesi è proprio lo stock di debito che siamo riusciti ad accumulare negli ultimi trent’anni di finanza dissennata e, soprattutto, che non siamo stati capaci di ridurre neanche in un contesto mondiale di tassi di interesse sostanzialmente negativi.
Sentite dunque cosa scrivono sul futuro a breve del nostro paese.
Il titolo del Washington Post è già, di per sé, significativo: “Se il Coronavirus dovesse portare a un’altra crisi finanziaria, potrebbe cominciare dall’Italia”. Il pezzo del giornalista americano inizia proprio immaginando il fallimento di una grande banca italiana, il cui improvviso dissesto potrebbe contagiare i mercati ancora più velocemente del Covid-19.
Quello che sorprende nell’analisi dell’autorevole quotidiano della capitale federale americana è la valutazione sulla crisi del nostro paese: “All’inizio prevaleva un senso di solidarietà. Poi si è passati a misure anti-italiani in varie parti del mondo, dal blocco dell’ingresso in alcuni paesi, all’esclusione dei nostri connazionali da eventi specifici come a New York. Adesso la paura che l’Italia non sia più in grado, in un futuro non troppo lontano, di ripagare i debiti vecchi (e soprattutto quelli nuovi) fa riemergere un vecchio fantasma: il default”.
Secondo l’analisi del Washington Post, la pandemia porterà ad una forte riduzione del Pil, al collasso di alcuni settori come il turismo e il trasporto aereo e ad una recessione a due cifre. “Adesso lo spettro di un default dell’Italia – scrive a chiare lettere il giornale americano – inserisce una variabile psicologica molto pericolosa e accentua il nervosismo dei mercati”.
Lo scenario disegnato, come dicevo, è quello di una grande banca italiana incapace di far fronte ai propri impegni, che dichiara bancarotta e si trascina dietro il sistema finanziario del nostro paese con un aumento dello spread, una riduzione dei rating e un’impennata dei costi dell’indebitamento delle nuove emissioni del Tesoro.
La crisi italiana comporterebbe un effetto domino anche per l’Europa che si vedrebbe costretta ad un maxi salvataggio finanziario di oltre mille miliardi di euro, come minimo.
In altre parole, gli americani pensano che l’Italia rischierà di dover percorrere le strade umilianti dell’amministrazione controllata come è avvenuto in Grecia qualche anno fa.
“Qualcuno dirà: gli italiani non se lo meritano – ha scritto nei giorni scorsi Arturo Zampaglione su La Repubblica – soprattutto per aver dato a tutti una lezione di serietà e disciplina con l’estensione della Zona Rossa a tutto il paese. Ma anche questo fatto, all’estero, non è percepito come da noi: negli Stati Uniti il “caso Italia” viene visto in senso peggiorativo. Cioè come la conferma che sono stati i ritardi, la confusione e l’insufficiente preparazione del sistema sanitario a estendere la crisi a livello nazionale ed esportarla all’estero”.
Tale giudizio non cambia molto a Bruxelles.
Come potrà l’Italia, si legge nell’ultimo report di questa settimana che analizza la situazione dei vari paesi dell’Unione Europea, mettere in campo, avendo sulle spalle un debito altissimo, uno sforzo come quello che è stato programmato in Germania o in Francia per sostenere le proprie imprese e le proprie banche che finiranno certamente sotto stress?
Anche sfondando il tetto del 3% e potendo derogare alla normativa sugli aiuti di Stato, a Bruxelles ci si chiede come possa il nostro paese affrontare un ulteriore indebitamento che si porterebbe con sé l’effetto di mandare il nostro debito globale sempre più fuori controllo rendendolo più difficile e più costoso dal punto di vista del suo finanziamento.
Al di là della gaffe della Lagarde, l’aumento dello spread sui titoli di stato italiani riflette anche questo calcolo dei mercati.
E torniamo al punto che ho già affrontato nel precedente articolo: se la reazione europea non sarà collettiva e condivisa, l’Italia sarà il paese che avrà meno strumenti per far fronte all’emergenza.
Andrea Bonanni, su La Repubblica, ha addirittura descritto questo poco auspicabile scenario: “La sospensione delle regole che stiamo invocando permetterà agli altri paesi di gonfiare a loro piacimento i loro salvagenti mentre noi abbiamo già poco fiato per soffiare nel nostro. Se l’Europa non condividerà almeno sul piano finanziario lo sforzo per salvare le economie dagli effetti dell’epidemia, a cominciare dall’approvazione di un bilancio europeo che sia all’altezza dell’emergenza, l’Italia sarà quella che pagherà il prezzo maggiore per la sospensione delle regole europee”.
Nei giorni scorsi il Cerved, la società che da oltre quarant’anni analizza i bilanci di tutte le imprese italiane, ha diffuso una prima ricerca con due possibili scenari.
Secondo il Cerved, se si verificherà lo scenario pessimistico rischierà di fallire il 10% delle imprese italiane, un tasso doppio del normale.
Il primo scenario immaginato dal Cerved è molto duro e lascia aperta però la speranza di una ripresa che arriverebbe comunque nel 2021.
Il secondo è una catastrofe.
Il primo ipotizza che l’emergenza sanitaria finisca a maggio e dice che, mettendo insieme il 2020 e il 2021, per le imprese italiane verrà bruciato un giro d’affari complessivo di 275 miliardi di euro, rispetto alle previsioni realizzate prima dello scoppio dell’epidemia.
Le cifre del secondo scenario sono molto più drammatiche: mostrano che se l’emergenza dovesse durare fino a dicembre, si arriverà ad una completa chiusura delle frontiere dei mercati europei e il ritorno alla normalità durerà almeno altri sei mesi. La botta per il sistema delle nostre imprese sarà pesantissima.
Nel biennio 20-21 si registrerà una perdita dei ricavi complessivi per circa 650 miliardi di euro, 470 in questo 2020 e quasi 180 nel 2021.
Per cercare di gestire l’angoscia della lettura di questi preoccupanti scenari, non ci resta che guardare il mezzo bicchiere pieno: la grande opportunità che ha di fronte a sé l’Europa, forse l’ultima però, di capire la drammaticità della situazione, l’importanza di una strategia comune e solidale tra i paesi membri, la definizione di una politica di sostegno all’economia che dovrà essere collettiva e condivisa.
In caso contrario, non stupiamoci troppo se proprio su quelle macerie del sistema economico torneranno alla ribalta e vinceranno sicuramente la loro battaglia i movimenti populisti-sovranisti finora in qualche modo arginati.
Riccardo Rossotto