La Camera dei Deputati ha fissato per il 7 ottobre 2019, a seguito di recente decisione della Conferenza dei capigruppo, la votazione circa la nuova normativa sulla riduzione del numero dei parlamentari.
Al di là delle prese di posizione mediatiche è indubbio che le forze politiche che compongono l’attuale maggioranza (ed in particolare i 5 Stelle) tentano di portare a termine l’ennesima operazione di facciata, senza che il sistema complessivo dello Stato, nè i cittadini, possano trarre alcun beneficio.
Si tratta della proposta di legge tesa ad ottenere la riduzione del numero dei deputati e dei senatori di un terzo: i deputati passerebbero quindi da 630 a 400 ed i senatori da 315 a 215.
La giustificazione addotta dai promotori a tale scelta è esclusivamente quella del contenimento dei costi della politica.
Certo, questo è un elemento da non sottovalutare, ma non è affatto scontato che la semplice riduzione dei parlamentari migliori, automaticamente, la “macchina” legislativa, come parrebbe dalle entusiastiche affermazioni di Di Maio.
Anzi, è proprio con il lasciare inalterato il bicameralismo italiano (come è noto il nostro è praticamente l’unico Paese in tutta Europa nel quale la Camera e il Senato si occupano delle stesse materie e così si assiste ad un continuo rimando delle proposte di legge tra le due aule parlamentari, sino a che non venga approvato un testo che sia identico in entrambe) che la proposta appare principalmente “mediatica” e tesa ad ottenere un facile consenso.
Non è detto, inoltre, che ad un minor numero di parlamentari consegua anche, sempre automaticamente, un miglior funzionamento delle Camere, posto che il diverso sistema elettivo (ricordiamo che alla Camera votano tutti i maggiorenni, mentre al Senato votano solo coloro che hanno compiuto 25 anni), potrebbe ulteriormente aggravare anzichè ridurre, il problema già oggi sussistente e cioè la differente rappresentatività tra Camera e Senato, con la difficoltà di formare maggioranze e governi stabili.
Il vero “vulnus” sarà comunque quello di una più ridotta rappresentatività sia territoriale, sia politica, posto che si formeranno collegi più vasti di quelli attuali.
Ciò in particolare per il Senato dove si avrà una riduzione consistente delle rappresentanze delle forze politiche minoritarie.
Va notato, infine, che tutta questa vicenda è sinora passata totalmente sotto silenzio e non vi è stato mezzo di comunicazione alcuno (a parte lodevoli eccezioni) che abbia ritenuto di doversi occupare di ciò; al contrario di ciò che era avvenuto in occasione del “referendum” del 2016, ove una più ampia e complessiva riforma del Parlamento, a prescindere dalle diverse ragioni dei favorevoli e dei contrari, aveva occupato il dibattito pubblico per mesi.
Ora il 7 ottobre p.v. vi sarà la decisione definitiva, dopo una prima lettura alla Camera ed una seconda (sulla base di un testo diverso) al Senato, essendo dovuto il nuovo testo ritornare ancora una volta alla Camera per il secondo esame conforme.
Si vedrà quindi, alla luce dell’esito della votazione, se la nuova normativa verrà approvata o verrà affossata….
Certo che sarebbe opportuno che invece di seguire le facili sirene dei costi della politica (certamente importanti ma non decisivi per la vita dei cittadini), si affrontassero veramente i problemi strutturali del nostro Paese quali, ad esempio, l’economia, il lavoro, le infrastrutture, la scuola e l’Università.
Alessandro Re