La si chiami “Csr” (corporate social responsability), o, come sta diventando di moda adesso, “Esg” (environment, social and governance), la responsabilità sociale d’impresa è un tema caldissimo da anni. Forse la più forte tendenza del nuovo millennio. Non c’è impresa che non si presenti come socialmente responsabile, in particolare nei confronti dell’ambiente.
Csr: dichiarazioni d’intenti o vera partecipazione?
Tanto che alcune aziende hanno creato reparti destinati appositamente a occuparsi delle buone cause. A volte si tratta di pure dichiarazioni d’intenti, altre di interventi di sola facciata, tanto che per questi casi si è introdotto un nuovo termine, green washing. Espressione con cui non si intende in senso stretto chi millanta di occuparsi dell’ambiente, ma più in generale chi solo a parole (e a comunicati stampa), si comporta in modo socialmente responsabile.
Il caso Esselunga a chi interessa davvero?
Il problema, che nella mia attività di sociologo sto riscontrando, è che l’opinione pubblica sembri essere più interessata a un sorta di responsabilità sociale “effimera”.
Prendiamo un esempio. Lo scorso 20 febbraio Domenico Megali ha pubblicato sulla nostra testata l’articolo “Esselunga, il crollo dell’immagine”, che iniziava così: “La tragedia che ha falciato in un solo schianto cinque vite di lavoratori impegnati nel cantiere di Esselunga a Firenze ha creato una spaccatura nel web. E non solo. Da una parte c’è chi addita il colosso della grande distribuzione come colpevole, dall’altra c’è chi assolve la catena dei supermercati. Non vogliamo entrare nel merito, né tanto meno condannare o assolvere. Lo farà la Giustizia nel suo corso naturale. Proponiamo invece una lettura su quanto le morti di Firenze stiano scalfendo la fiducia dei consumatori nei confronti di questo brand. Con il conseguente crollo della sua immagine. O no?”.
Una tragedia finita nel dimenticatoio…
La premessa, logica, dell’articolo era: in un momento in cui l’attenzione alla responsabilità d’impresa è massima, un’azienda di gran nome, come Esselunga, potrebbe avere una profonda crisi d’immagine per queste morti che, al di là di ogni aspetto legale, sono collegate al suo nome. Invece, tolta qualche piccola iniziale schermaglia sui social di cui accennava Megali, il tutto è finito in un assordante silenzio. A parte qualche suggestiva iniziativa di bandiera (come la proposta di creare un parco nel luogo dell’incidente, da dedicare alle cinque vittime) sembra che la tragedia sia finita nel dimenticatoio. Non dispongo ancora di dati e ricerche, ma la sensazione è che l’immagine di Esselunga abbia subito al massimo qualche leggera ammaccatura, senza peraltro conseguenze negative sulle vendite. Del resto sui media e nei social non se ne parla più.
Ferragni-Balocco: esempio di “total green washing”?
Il contrasto con lo scandalo Ferragni-Balocco, che per settimane ha intasato mass media e web è stridente. Ha creato più scalpore una comunicazione giudicata ingannevole riguardo a donazioni benefiche che la morte di cinque lavoratori. Questo fa pensare a una sorta di “total green washing” per qualche verso speculare a quello attuato da alcune aziende. Il pubblico (anche perché condizionato dai media) sembra appassionarsi, riguardo alla csr-esg, più a casi da show business che a vere e ben più gravi tragedie.
Nestar Tosini