Il rapporto Draghi costituisce senz’altro un momento importante nella politica europea e indica una strategia per i prossimi anni. L’autorevolezza dell’ex governatore della Banca d’Italia e della BCE richiedono di prestarvi attenzione. I suoi legami atlantici ne fanno un garante di un’integrazione tra Europa e Stati Uniti che va oltre la semplice alleanza, come si è visto soprattutto negli ultimi decenni. Se questo sia nell’interesse degli uni o degli altri o di entrambi, richiede un’analisi e un giudizio politico che non mi sento in grado di dare.

Il documento di Draghi trascura gli aspetti politici e pone l’accento soprattutto su quelli economici e di governance. Qui sta il limite del Rapporto e l’implicito conservatorismo politico. Si denuncia il declino dell’Europa rispetto a Stati Uniti e soprattutto alla Cina – per non parlare dei BRICS nel loro complesso. Una soluzione di vero rilancio non viene proposta, ma il rapporto di fatto sembra indicare una strategia per governare il declino.

La qualcosa può anche essere realistica, ma non certo entusiasmante. Uno stato d’animo politico come questo non può fare altro che sollecitare una fuga dall’Europa di alcuni Stati e sovranismi vari per quanto per ora velleitari, senza una proposta di cooperazione virtuosa.

Le tre linee di azione “verticali” (e la parola non è affatto politicamente neutra) sarebbero la rincorsa per colmare il ritardo tecnologico, la riduzione dei prezzi dell’energia e gli investimenti nella difesa. Su questo possiamo essere tutti d’accordo, anche perché si tratta di cose ovvie.

Potrebbe essere discutibile l’investimento nella difesa – anzi io lo trovo molto discutibile – a meno che non sia inquadrato in una politica di indipendenza dagli Stati Uniti e dalla NATO. In tal caso avrebbe un senso ed essere persino auspicabile. Ma l’aumento delle spese militari costituisce un atto politico per eccellenza e non si mette in alcun modo in discussione l’adesione a una NATO a trazione americana nonostante le maggiori spese militari europee.

L’Unione Europea è nata nel segno della pace e forse l’obiettivo della diminuzione delle spese militari a fronte di solidi trattati di cooperazione ci farebbe risparmiare quelle risorse così necessarie per investire nei primi due obiettivi.

In modo particolare, una cooperazione – già avviata e vitale – con la Russia avrebbe consentito la riduzione dei prezzi dell’energia e un più agevole passaggio alle rinnovabili. La guerra in Ucraina e l’espansione della UE a est – e malauguratamente della NATO – non promette affatto bene e va nella direzione opposta di una indipendenza europea dagli Stati Uniti. Ricordiamo come, in chiave antisovietica, gli Stati Uniti abbiano creato e conservato una rete di intelligence nell’est europeo. Per questo gli ex Stati del Patto di Varsavia sono oggi i più filoamericani (con qualche eccezione).

Anche una maggiore cooperazione con il mondo musulmano – che è largamente presente in Europa occidentale – andrebbe ripresa per non suscitare quel malessere e quei conflitti che covano nelle metropoli e presto potrebbero accendersi.

Per questo, come dice bene Rossotto, la conferma di Von der Leyen indica la continuità e non è prevedibile che cambi rotta. Non sarebbe stato nelle condizioni di cambiare rotta nessun altro, ma ancor meno può farlo chi ne è stata l’interprete e la rappresentante. La classe dirigente europea – da Macron a Draghi, da Scholz a Lagarde e Von del Leyen – è strettamente collegata a un patto atlantico che rende Europa e Stati Uniti un blocco unico che si è rinsaldato in questi ultimi decenni rendendolo quasi indistinguibile.

Basti vedere come si sia fatto frequente l’uso della parola “Occidente” a indicare una singola entità contrapposta al resto del mondo. E come buona parte della leadership europea abbia una formazione e un’estrazione maturata negli U.S.A.

La soluzione proposta – che a mio parere è contraria all’europeismo dei popoli così com’era stato immaginato e in cui ancora molti credono – non può essere la costruzione di un mega-Stato burocratico e sempre più accentrato come propone Draghi. Invocare, da parte sua, una leadership forte, mantiene implicito che questa leadership sia forte purché segua la linea indicata. Altrimenti sarebbe meglio che fosse debole!

L’Europa delle patrie e delle regioni era alla base del progetto e tuttora il vecchio continente appare diviso e ancor più variegato con l’ingresso degli Stati dell’Est. La diversità europea a fronte della grande uniformità americana andrebbe valorizzata. Invece, Draghi, la Commissione e gran parte della classe dirigente europea ritengono questa varietà un disvalore a cui porre rimedio con un accentramento favorito dal neo-militarismo piuttosto che alle altre due assi individuate da Draghi.

Corrado Poli

Corrado Poli

Corrado Poli, docente di geografia politica e urbana, editorialista e saggista

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