Il mio ultimo editoriale (arricchito da un “contro editoriale” di Riccardo Rossotto), dedicato alle parole del Presidente del Senato Ignazio La Russa sulla strage di via Rasella, ha scatenato, in particolare sui social, polemiche viscerali. Il che non sorprende. A 80 anni di distanza, è ancora pressoché impossibile affrontare con serenità temi riguardanti la Guerra civile. Ogni ricostruzione storica è filtrata dall’ideologia. E troppo spesso gli insulti sovrastano le argomentazioni pacate. Così, per alleggerire la tensione nella settimana pasquale, ho pensato di passare al calcio. Che è trasversale alla politica. Tanto che il tifo per l’Inter accomuna lo stesso La Russa a Gad Lerner e al sindaco Beppe Sala.
I temi che sto per trattare, sia pure indulgendo all’iperbole, sono comunque seri: razzismo e certezza del diritto.
Mi riferisco alla partita di Coppa Italia Juventus-Inter di martedì 4 aprile e al caso Lukaku. Premetto, per onestà intellettuale, che, come Ignazio, Gad e Beppe, nutro un folle amore per i nerazzurri, sin da bambino. D’altronde, nella vita si può cambiare partito politico o moglie. Ma non la squadra del cuore. Per cui la questione mi ha colpito particolarmente e rischio di perdere obiettività. Passiamo all’esposizione dei fatti.
All’ultimo minuto dei supplementari, mentre i bianconeri stavano vincendo 1-0, l’arbitro, il signor Davide Massa da Imperia, fischia un ineccepibile rigore a favore della “Beneamata” (copyright di Gianni Brera) per fallo di mano di Gleison Bremer. Al dischetto si avvia Big Rom, mentre una parte del pubblico torinese, prima, durante e dopo l’esecuzione vincente del tiro dal dischetto, si scatena nei soliti “buu” e in offese razziste varie (la più frequente pare sia stata “scimmia”, accompagnata da espressioni non pubblicabili).
Il campione di colore dell’Inter, dopo aver segnato, si rivolge al settore della tifoseria bianconera che l’aveva insultato ed esulta con una specie di saluto militare, accompagnato da un dito sotto al naso (gesto universale per dire “zitti”). Allo stesso modo aveva festeggiato pochi giorni prima un gol con la Nazionale belga. A questo punto, Massa estrae un cartellino giallo, che costa l’espulsione a Lukaku, già ammonito. Dalla cronaca, ai miei commenti. Come si può contrastare il razzismo negli stadi se un giocatore, irriso per il colore della sua pelle, viene ammonito perché reagisce? Oltretutto con un tipo di esultanza ironica e non volgare. Romelu non ha fatto il “gesto dell’ombrello” e non ha gridato un “vaffa” ai tifosi razzisti. E non si è nemmeno tolto la maglia, gesto che, per motivi che ancora non comprendo, comporta l’ammonizione automatica. Insomma, Lukaku avrebbe dovuto accettare serenamente di essere chiamato “scimmia”.
Il mio secondo dubbio riguarda la “certezza del diritto”, intesa in senso lato. Come mai lo stesso tipo di esultanza del centravanti nerazzurro, una volta non viene sanzionato e un’altra si? Oltretutto con una seconda ammonizione estremamente pesante, perché comporta la squalifica per la partita di ritorno. E perché in altri casi reazioni ben più forti a insulti razzisti non sono state punite, anzi hanno ricevuto il plauso generale? Ora la parola spetta alla giustizia sportiva, cui l’Inter chiede di annullare l’ammonizione e di non squalificare Romelu. Può sembrare una questione di scarsa rilevanza, una delle tante legate a quanto succede durante le partite di calcio. Invece potrebbe stabilire un precedente importante, che farebbe scuola. Buona Pasqua a tutti.