“Tutti i grandi cambiamenti partono sempre dal prendersi cura delle parole e restituire alle parole il loro senso più profondo” dice Alessandro D’Avenia nel racconto teatrale del suo ultimo romanzo, L’appello, pubblicato nel 2020. E questo è proprio l’intento del suo libro: riscoprire l’importanza di ogni parola, di ogni nome, di ogni storia per portare una rivoluzione all’interno di un mondo a lui molto vicino: la scuola. Il termine deriva dal greco σχολή (scholè) e originariamente indicava il tempo.
Omero Romeo è un professore di scienze che, per un problema di salute, perde la vista. Inizialmente egli preferisce lasciare il lavoro, pensando che la cecità sia un ostacolo troppo grande: insegnare però è la sua vocazione e perciò decide di non abbandonarla, ritornando a scuola. La sua condizione non gli impedisce affatto di essere un grande Maestro; al contrario egli è l’unico del corpo docente che riesce veramente a vedere i suoi alunni, dieci adolescenti al quinto anno di liceo, considerati da tutti ‘casi disperati’. Il ‘prof. Romeo’, grazie all’appello, riuscirà a salvare i suoi ragazzi, proprio a partire dai loro nomi, perché dietro ad un semplice elenco si celano delle storie, che chiedono disperatamente di essere ascoltate. Grazie a lui la classe riuscirà a raggiungere la vera maturità e ad unire le forze per dar vita ad una vera e propria rivoluzione.
“Dare un nome proprio e darle alla luce sono la stessa cosa. Da quando sono cieco ho capito che la luce non è semplicemente quella che si riflette sulle cose, ma quella che ne esce quando le chiami per nome” dice il protagonista. Nominare significa far esistere qualcosa, immortalarlo per sempre sottraendolo allo scorrere del tempo. Per ricordare le vittime di grandi stragi si incidono i loro nomi su lastre di pietra; per vivere appieno un’esperienza occorre descriverla; per essere consapevoli di provare un’emozione dobbiamo darle un nome. In un’epoca dove le parole sono svuotate del loro senso, appiattite, soppiantate dalle immagini, dimentichiamo troppo spesso l’essenzialità del nominare, finendo per non conoscere cosa e chi ci sta intorno. Come afferma Andrea Marcolongo nel libro La misura eroica: “Restando oggi in silenzio davanti allo spettacolo della vita, senza più chiamare per nome niente e nessuno, non solo non conosciamo le cose, come diceva Platone. Finiamo per non conoscere nemmeno noi stessi.”
Con questo libro l’autore si ‘prende cura’ della parola ‘scuola’, restituendole il senso originario di ‘luogo della libertà’, dove si diffonde cultura, ovvero “vita che aumenta la vita grazie al vero, al bello, al buono”. Citando l’autore stesso: “Distinguendo il vero dal falso, il bello dal brutto, il bene dal male, e le gradazioni intermedie, i ragazzi imparano a comprendere e a scegliere: la libertà, fondata su conoscenza ed esperienza della realtà, è il fine del percorso educativo”.
Riscopre anche il ruolo dell’insegnante (termine costituito dal suffisso in unito al participio presente del verbo latino signo), ‘colui che lascia un segno’, inteso non come professore, ma come Maestro, che dovrebbe amare e conoscere ciò che insegna e a chi lo insegna, per accompagnare i suoi studenti alla maturità e all’amore per sé stessi, la vita e il mondo.
Il punto di forza del libro è proprio la ‘verità’ con cui arriva al lettore: chi lo scrive conosce da vicino sia la realtà della scuola che quella dei giovani e questo gli permette di raccontare una storia la cui bellezza risiede non nella complessità dell’intreccio narrativo, ma nella forza con cui emergono le vicende dei protagonisti, in tutta la loro spiazzante sincerità.
L’appello è un attestato dell’amore di D’Avenia per le parole, “che trasformano il mondo in una casa, perché anche il più esiliato degli uomini possa scoprire di avere una dimora dentro sé stesso. E ricordarlo ad altri”.
Chi di noi oggi assocerebbe la scuola, che chiamiamo dell’obbligo, alla libertà?
D’Avenia decide di partire dalla riscoperta della parola ‘appello’, da lui ritenuto il momento più significativo della giornata scolastica; essa proviene dal latino ad-pello, spingere verso, in cui il prefisso ad indica un movimento, uno slancio, ed è presente anche nel termine ad-olescente, ‘colui che tende alla pienezza’: l’appello è quindi una spinta verso la luce e dunque verso la vita.
Ma è davvero così importante l’appello a scuola?
Spesso ci sembra di sapere molte parole, ma raramente le conosciamo davvero.
Lo scrittore ce lo dimostra attraverso l’esperienza del protagonista del romanzo. In fondo è proprio questo il ruolo dello scrittore: a partire dai propri sentimenti, dare voce a quelli di tutto il genere umano; la scrittura è la dimora più intima e personale di un uomo, ma nel contempo anche quanto di più universale possa esistere.
Giulia Cerioli