Un caffè con Monet. Appuntamento rinviato più volte nel corso dei mesi. Era quasi arrivato il momento di lasciar perdere. Poi, improvvisamente, inaspettato, l’incontro è fissato. Appuntamento al bar Bastioni di Bordighera Alta con S.A, studiosa di Monet. Ci sediamo fuori, la giornata di dicembre è soleggiata e mite, entro a ordinare: 2 caffè e una torta verde tagliata a metà. Ritorno al tavolo, ma lei non c’è più e al suo posto c’è un uomo dall’aria sportiva, forty and something, sul metro e 80, sguardo profondo, barba rossiccia, dolcevita nera, una sigaretta tra le dita. Claude Monet, in persona.

Ricordo che in una seduta spiritica di mille anni fa con Gustavo Rol mi era stato predetto un incontro sorprendente e ai confini del naturale. L’avevo rimosso in tutti questi anni. Siamo a pochi metri dalla Pension Anglaise dove Monet ha soggiornato nei suoi quasi 3 mesi passati a Bordighera a inizio 1884. Esattamente 140 anni fa. Un racconto a km zero. Franchezza e intimità. Non inizia bene il dialogo, ma poi si scioglie. Domande dirette, quasi impertinenti, e risposte altrettanto informali e dirette. A tratti sembra piccato, si scalda, poi ritorna sereno e si guarda indietro quasi con distacco, e sulle ali della memoria riflette sulla sua vita e sul suo soggiorno bordigotto.

A un certo punto il tempo è scaduto, e mi avverte: ”mi scusi devo rientrare.” Il tempo di entrare, pagare, uscire e ops … l’ospite si è dileguato. Restano le sue risposte (e una tazzina di caffè vuota sul tavolino). Questa è la cronaca puntuale dell’intervista.

1- Dunque siamo a fine ‘83, lei vive a Giverny con Alice e 8 figli ( 6 figli di Alice più 2 suoi, totale 8 … non deve essere facile …)
. Una bella famiglia “recomposée”, come si direbbe oggi.
 Ci dica la verità: è scappato perché non ce la faceva più a stare a casa?

Cher Monsieur, parli piano, potrebbe sentirla e allora sarebbero guai… Deve sapere che il 1883 è stato un anno meraviglioso e terribile per me…la morte di Manet, carissimo amico e icona per tutti noi, la vendita delle sue opere all’asta che mi ossessionava, la difficoltà del nuovo trasloco a Giverny, unito alla gioia di ripartire per una nuova vita con Alice, i suoi sei figli, i miei Jean e Michel. La claustrofobia durante il duro lavoro di decorazione degli interni dell’appartamento di rue de Rome, a Parigi, proprietà del nostro grande benefattore, Paul Durand-Ruel…non ne potevamo più, Renoir e io.

Ed ecco che Pierre a novembre mi propone improvvisamente una “escapade” in Riviera, tra Francia e Italia, da l’Estaque a Genova. A l’Estaque abbiamo ritrovato l’ami Paul, lo conosce…? Paul Cézanne. Di me diceva -pensi- “Monet non è che un occhio, ma che occhio”! Tutta la costa in treno, il mare Mediterraneo, luci natura colori, per me assolutamente inediti, se lasciamo da parte il servizio militare in Algeria… Un rêve, quoi!

Siamo stati due settimane, tanto tempo in treno, da cui spesso scorgevamo angoli di meraviglia… Durante il viaggio en touriste con Renoir, abbiamo fatto una sosta tra Monaco e Roquebrune, io ho dipinto una veduta di Roquebrune Village, seduto alla bella meglio su una roccia della Corniche di Montecarlo; Pierre invece si è rivolto verso ovest e ha dipinto Monaco da Roquebrune, da un sentiero di terra rossa accidentato, splendide, immerso nella macchia mediterranea, ricordo…ma a un certo punto, proseguendo la nostra esplorazione, sono stato foudroyé, oui, folgorato… E il mio primo viaggio di studio nel Mediterraneo è nato così… da un’intuizione, o se preferisce da una sconvolgente impressione.

2- Perché sceglie proprio Bordighera? 
Per i colori, per la luce o perché era lontana a sufficienza?

[un sospiro nostalgico]. Non può immaginare a che punto sono rimasto colpito da quella luce invernale di dicembre e dagli effetti continuamente cangianti che trasformavano la natura nel loro incessante divenire, un paradiso terrestre, un concentrato di esotico splendore. Avevamo da poco passato la frontiera con Pierre, per me un’emozione immensa, la prima volta in Italia, Pierre invece la conosceva già. Scesi dal treno, una piccola, graziosa stazione sul mare, con alberi e vegetazione che non avevo mai visto…e che luce! Cerchiamo un’ auberge, una locanda per mangiare qualcosa; la troviamo nel paese alto, mi trovo poi circondato da splendide palme e ulivi, un’impenetrabile foresta. Bref, tantissime emozioni in pochissimo tempo, e io attento a non far trasparire nulla con Renoir: dovevo tornare lì, assolutamente, subito, ma solo: ho sempre lavorato meglio da solo seguendo le mie personali impressioni.

E forse sì avevo bisogno di un po’ di distanza, ma sopratutto dalla vita cittadina, non certo dalla mia adorata Alice, anche se, lo confesso, non era stata felice di vedermi partire, così poco tempo dopo il nostro trasloco a Giverny. Così, grazie al caro  Paul Durand-Ruel, a cui avevo scritto il 12 gennaio, comunicandogli la mia intenzione di ripartire subito per l’Italia, per Bordighera, uno dei posti più belli che avevamo visto nel nostro viaggio, ma soprattutto chiedendogli di mantenere l’assoluto segreto di questo mio viaggio. Era stata bella e piacevole la fuga da turisti con Renoir ma i tempi erano maturi per seguire ognuno la propria strada e quell’esperienza unica della prima volta immerso nella natura e nella luce del Mediterraneo volevo viverla tutta da solo. E così, il 17 gennaio 1884, mi ricordo, su un tavolino della gare di Paris scrivo due righe al preziosissimo Paul, le ricordo a memoria: “Parto pieno di ardore, ho l’impressione che farò cose meravigliose”.

3 -Risiede alla Pension Anglaise con quegli implacabili pittori e pittrici inglesi …in ogni angolo c’erano delle inglesi alle prese con gli acquarelli…Ma dipingeva con loro? e Arthur Burrington? Bordighera era un set a cielo aperto …

La Pension anglaise, che ricordi… Il nome in francese e solo pittori inglesi alla “table d’hôte”, fatta eccezione per mamma e figlia americane (ma non facciamoci sentire, Alice era gelosissima della giovane, dopo che l’avevo descritta in una lettera con il suo incredibile cappello rosso stile Rembrandt…quelle gaffe!). Si, forse ce n’era uno di nome Arthur, devo avergli anche fatto un ritratto, l’unico di quell’incredibile viaggio… Poi c’erano quelle due simpatiche signorine, sempre inglesi, due irriducibili zitelle! Pensi che avevano fatto tutta la costa a piedi per arrivare qui, voglio dire…a Bordighera e poi avrebbero proseguito ancora, che tempra.

E la tenutaria della pensione, instancabile, cucinava benissimo, forse un po’ troppo chiacchierona per i miei gusti; ma sono stato fortunato a trovare posto lì, non era caro e sopratutto non c’erano ospiti tedeschi intorno a me, come avevo invece trovato nel primo albergo; non ci sarei rimasto a nessun prezzo, il souvenir della guerra del ‘70 e del mio esilio a Londra con Pissarro ancora troppo bruciante… anche se è proprio lì che abbiamo conosciuto Durand-Ruel e il Tamigi, e le luci nella nebbia, niente a che vedere con quella luce e quella natura del Mediterraneo, ma quel charme! Mi scusi ma non intendo bene quella parola, “set”. Posso dirle che l’aggettivo che mi viene in mente per quel paesaggio è “féerique”: fiabesco.

4-Parliamo del giardino Moreno , chiamiamolo finalmente parco che occupava mezza Bordighera… Ci dica della luce. Non abbiamo esagerato, con il vantare la luce di Bordighera ? Non sarebbe stato meglio una luce più diffusa … e le palme, i limoni che monotonia … cosa le piaceva così tanto di questo giardino?
E che cosa, invece, detestava?

Detestare? È stato un amore a prima vista, sono rimasto incantato e Francesco Moreno è stato un ospite fantastico, il suo giardino il regno della meraviglia, ero ossessionato da quei soggetti. Lei parla di monotonia….?! Mi scusi, monsieur, ma lei deve essere un po’ fou, folle, senza offesa! Palme di ogni tipo, agrumi, fiori, piante esotiche, il blu degli ulivi, il rosa del cielo e dei riflessi, che effetti, volevo fare tutto e lavoravo su sei tele contemporaneamente, ero immerso nei diamanti e nelle pietre preziose…mi sentivo piccolo, impotente davanti a quegli effetti che mutavano continuamente intorno a e me, circondato da quella luce che trasformava tutto. Volevo afferrare l’attimo e renderlo immortale, enfin, ci ho provato…

Ecco…, se devo trovare qualcosa da detestare, erano le giornate di maltempo, quelle in cui ero costretto a stare nella mia camera, a guardare e riguardare le mie tele, come un leone in gabbia…e i cambiamenti atmosferici repentini che mi impedivano di cogliere l’effetto…, ecco, quelli mi facevano dannare.

5-Il suo viaggio sulla costa, parliamone, come si spostava … ci racconti un aneddoto. Carrozza con cavalli? Muli? Aveva un facchino con lei? Treno e camminate… e tutte le sue tele…?

Durante le due settimane da turisti con Renoir, a dicembre del 1883, abbiamo viaggiato quasi sempre in treno e durante le tappe ci muovevamo a piedi, così ho scoperto il fascino esotico e la luce di Bordighera, un’emozione intensissima, lo ripeto, il mio primo viaggio sulle coste del Mediterraneo e in Italia, una terra mitica per generazioni di artisti di ogni paese. Io però non cercavo il pittoresco, ma solo rendere ciò che vedevo completamente immerso nella natura, la sua trasformazione nei diversi momenti della giornata…e combattere per ottenere l’effetto, uno sforzo sovrumano, mi creda.

Quando sono tornato da solo, il 17 gennaio, ancora il treno da Parigi fino a Bordighera, la meta del mio viaggio. Ho esplorato a piedi ogni sentiero i primi giorni, alla ricerca di motifs e punti di vista, e la cosa incredibile è che qui ho dovuto voltare le spalle al mare, all’acqua, che è un po’ beaucoup il mio elemento… io, in effetti, sono l’uomo dei grandi spazi e degli alberi isolati…ma qui, c’erano le palme, gli ulivi, gli agrumi come tanti piccoli soli…e da lì i miei rosa e i miei blu. Credetemi… tutto era flamme-de punch e gorge-de-pigeon! Natura, luce, colori, tutti intricati tra loro, tele e pennelli non bastavano mai, pensi che li facevo arrivare da Torino…è la sua città se non sbaglio.

Ma mi scusi, sto divagando, è che quando penso a quel momento della mia vita, era la mia piena maturità, quasi quarantaquattro anni, mi emoziono e mi commuovo… Le dico ancora questo: quando sono andato a Dolceacqua la prima volta ero con i pittori inglesi che mi avevano invitato in una giornata di maltempo, e abbiamo viaggiato in carrozza: che paesaggi, che montagne imponenti! Arrivati nel paese una scoperta straordinaria: un borgo medievale sulla riva del fiume Nervia sovrastato da un imponente castello con un ponte a dos d’âne – a dorso d’asino – che…non so definirlo meglio se non un bijou di leggerezza, un vero gioiello.

Naturalmente sono tornato da solo, in una giornata di  forte vento sul mare per dipingere quegli splendidi soggetti, lì ero al sole e protetto dal vento; mi ricordo ancora le facce che fecero i pittori inglesi al mio ritorno: hanno strabuzzato gli occhi, non credevano che avessi potuto dipingere quelle tele in una sola seduta… enfin, c’era un ragazzo, un tale Mario Battista, che mi accompagnava sempre con il suo mulo, per aiutarmi con tele, cavalletti, pennelli e colori, era di Bordighera e, incomprensibilmente, era totalmente affascinato dal mio modo di dipingere, e da allora ha voluto imparare a disegnare, per cominciare…gli ho perfino regalato un po’ di carta e una matita.

6-Nessuna ragazza ? Lei era nel pieno dei suoi quarant’anni, già una discreta notorietà, il fascino francese …
neppure quell’americana della pensione Anglaise , con quel cappello rosso alla Rembrandt, che voleva attrarre la sua attenzione per finire almeno dipinta … ragazza di cui Alice era così gelosa, ci dica di lei, e ci dica la verità! Adesso può …
D’altra parte l’arte e la bellezza si attraggono, quasi per definizione.

Ma monsieur, che impertinenza! Non sono quel tipo d’uomo…anche se lo ammetto, Alice era parecchio gelosa di sapermi solo, in Italia, in quell’angolo di costa incantata, frequentato da tantissime donne soprattutto anglosassoni…era persino gelosa delle figlie di Francesco Moreno, il mio ospite adorable. Lo ammetto, la ragazza con il suo cappello scarlatto era notevole, ma il mio cuore, durante quei settantanove giorni (più o meno) di durissimo lavoro, era a Giverny, con la mia Alice, a cui scrivevo ogni giorno per raccontarle l’eden incantato di Bordighera e rassicurarla, dirle la vita da cani che facevo per poter portare indietro qualcosa di buono.

Poi scrivevo a Durand-Ruel, molto spesso per domandargli soldi per me e per Alice a Giverny, sola con otto figli da accudire. Mi lamentavo anche sempre del maltempo che rallentava il mio lavoro, e da tre settimane previste sono rimasto quasi tre mesi, ovviamente Alice non poteva essere contenta. Ma ne è valsa la pena…anche se a momenti mi sentivo abbruttito dagli sforzi fatti, nervoso e impaziente quando non riuscivo a lavorare, pieno di meravigliosa energia quando tornava il sole, e per me il sorriso. Capisce che in ogni caso  non sarei stato una compagnia facile per nessuno? La sera mi buttavo sul letto, distrutto, dopo la cena alla table d’hôte della pension anglaise. Sa che con il mio arrivo eravamo in tredici? E quegli inglesi superstiziosi non volevano mai sedersi per ultimi…

7 -Quanti quadri ha dipinto e quello che preferisce ? Certo che non lasciarne nessuno in città… ci avrebbe cambiato la vita, non è stato molto generoso. Almeno con Moreno che la trattava da ospite importante.

Certo che lei ha un bel courage…un torinese cresciuto in Liguria che dice a Monet  di non essere  generoso! Caro Monsieur, in quegli anni ero ancora povero,con una grande famiglia da mantenere, potevo contare solo sul finanziamento di Paul, lui era senz’altro molto generoso, ma faceva ciò che poteva, non aiutava solo me ma anche Pierre Renoir, Camille Pissarro, fra gli altri… Tutto ciò che facevo non era mio, era suo, anche se qualcosa sono riuscito a tenere per me, come ricordo di quel viaggio meravigliante. Prima che tutte le mie tele partissero per gli Stati Uniti – lo sa che gli americani sono stati i primi a capire e ad apprezzare l’arte così chiamata “impressionista”?-

Un peccato non essere riuscito a vedere tutti quei quadri insieme in una mostra, almeno una volta, dopo tutti gli sforzi fatti. Ho rimproverato Durand-Ruel per questo…ma enfin, doveva venderli…c’est la vie! Ma non le ho risposto, se ricordo bene erano trentotto le tele che con fatica ho fatto passare alla dogana italo francese quei primi di aprile del 1884, di cui circa 4 o 5 di Dolceacqua e la valle del Nervia, due vedute vicino a Ventimiglia, per il resto, la mia Bordighera, con la Valle del Sasso, Valle Buona, il giardino Moreno, qualche veduta del borgo dalla collina dei Mostaccini con una striscia di mare sullo sfondo.

Comunque a Moreno ho regalato una gigantesca mela normanna che mi aveva inviato il dottor De Bellio, cosa crede? E poi lei che ne sa?…magari qualcosa gli ho regalato… Sono stato molto triste quando ho saputo della sua morte improvvisa, pochi mesi dopo il mio soggiorno. Mi han detto che era caduto in profonda depressione quando ha saputo che avrebbero tagliato la sua meravigliosa proprietà in due per fare il nuovo tracciato della via Romana, quelle peine! Ah, dimenticavo… il mio preferito…dovrei forse dire i miei… la serie della valle del Sasso, il motivo che mi ha più meravigliato e più mi ha fatto dannare…quella luce…quella natura, la scoperta della procedura seriale nel mio modo di dipingere. E poi, il ritratto straripante di energia e di colori di una sola palma…e un’altro ritratto di un olivo solitario, contorto, immerso in sé stesso, ulivo blu…forse erano autoritratti?

8- Lo sa che i suoi quadri di Bordighera sono in tanti luoghi del mondo, in musei e  collezioni private ? Lo sa che nessuno come lei ha fatto conoscere Bordighera nel mondo …?

Che siano in tutto il mondo mi rattrista sempre un po’… come le ho già detto, in quel 1884 Durand-Ruel era in crisi finanziaria, quindi ha colto l’opportunità del mercato statunitense che stava emergendo e voilà…i miei quadri liguri sono salpati oltreoceano, a cercar fortuna…e quanta ne hanno trovata! Una delle mie più belle vedute delle palme di Bordighera è al Metropolitan di New York, Bordighera Alta è all’Art Institute di Chicago, Valle Buona, si figuri, è finita in Texas, in un museo di Dallas; le mie Villas à Bordighera in California, a Los Angeles, e per fortuna una a Paris, alla gare d’Orsay.

Il suo amico Arthur Burrington, pensi un po’, si trova a Tel Aviv. Per non parlare del mio bosco di limoni in un museo di Copenhagen e la veduta di Ventimiglia finita a Edimburgo, in Scozia…e potrei continuare ma non voglio tediarla. Per fortuna, dopo il lascito di mio figlio Michel, uno dei miei quadri del cuore, “La vallée de Sasso”, è rimasto a Parigi, al Museo Marmottan, insieme al castello di Dolceacqua. La valle di Sasso, che fa parte di una delle mie prime sperimentazioni della procedura seriale,  l’hanno messa proprio vicino a “Impression du soleil levant”, quel  mio quadretto del porto di  Le Havre immerso nella nebbia soffusa dal pallino sanguigno del sole che guida un minuscolo peschereccio sulla sua scia: il quadro emblema dello scandalo e di quella che qualcuno chiamerà “rivoluzione impressionista”.

Chissà…sicuramente anche a Bordighera, tra i miei cari pittori inglesi e dove tra l’altro sapevo soggiornare anche il celebre Charles Garnier, eminente esponente dei “Pompiers” e dell’Accademia, avvertivo fortemente la distanza che mi separava da loro, un abisso…come scrissi in una lettera ad Alice: ”…Staremo a vedere le facce che faranno quando vedranno ciò che faccio”.

9- E quel gelato ad Ospedaletti?

Ospedaletti…una stazione balneare di un lusso insensato… Eh sì… di tanto in tanto il mio anfitrione, Monsieur Moreno, mi invitava a fare delle gite, e non potevo dire sempre di no, era così gentile e accogliente. Per ottenere l’autorizzazione a entrare e lavorare nel suo giardino meraviglioso avevo dovuto cercare una raccomandazione, perché dopo che alcuni visitatori avevano strappato dei fiori rari -Il giardino Moreno era inserito nelle guide europee più prestigiose- ne aveva chiuso definitivamente le porte. Bref, Monsieur Bruno mi invia una lettera in cui mi descrive come uno dei pittori più importanti di Parigi (mi viene ancora da sorridere) e le porte del paradiso si riaprono così solo per me.

Francesco Moreno, un vero Marquis de Carabas…mi ha portato al carnevale di Nizza, a Montecarlo, un concerto al casinò di Ospedaletti e quel famoso gelato su una splendida terrazza…mi ha fatto conoscere la sua proprietà di Stampino, ad Andora, dove ho potuto ammirare un favoloso ponte giapponese di cui se vuole, Monsieur, può andare a ritrovarne la copia nel nostro giardino a Giverny, proprio sopra le bassin des nymphéas, sotto i meravigliosi salici piangenti…che nostalgia!

10- Infine, facciamo un bilancio di questo viaggio sulla costa, di questa Riviera ?

Che dire, cher Monsieur, è stata una scoperta straordinaria, il regno della meraviglia, di quella luce mediterranea che cambiava costantemente e di una natura così inedita per i miei occhi abituati alla bruma, ai paesaggi scarni, ai grandi spazi e agli alberi isolati…alla fredda bellezza dell’Atlantico, alle scogliere misteriose di Étretat, alla campagna e ai fiumi morbidi, sinuosi e tranquilli, alle stazioni piene di vapori, alla neve dei paesaggi nordici, alle strade piene di vita e di odori di Parigi e, di nuovo, potrei continuare all’infinito, ma non voglio tediarla.

È stata una grande fatica qui, a Bordighera, dipingere la luce e quelle palme e quegli ulivi che nel loro costante divenire e trasformarsi, tanto mi hanno fatto dannare. Sì, è vero, in una lettera e dopo una visita con il mio anfitrione, Francesco Moreno, a Montecarlo, sprofondato nell’abbattimento per le difficoltà che incontravo, ho scritto che quello era uno dei posti più belli della costa -e in effetti lo era- e dove forse sarei riuscito a dipingere il mare, l’acqua, il mio elemento.

Ma comunque ho preferito scegliere la sfida più difficile, che tanto mi attraeva. Di Monaco ho portato indietro solo due vedute e una bozza, da quel viaggio… Monaco poi era un’altra stazione di lusso insensato, affollata dal bel mondo che proprio non avevo voglia di trovare sui miei passi. Lo può capire credo, se la conosce e la vede come sarà diventata ora… qui sait? Bref… partito da Bordighera ai primi di aprile, non contento -pensi un pò- mi fermo a Menton, all’hôtel Prince de Galles, in fondo alla promenade, vicino a quella bellissima route rouge da cui si vede, a ovest, la tête de Chien che sovrasta Monaco a occidente e, a oriente, le bellissime montagne di roccia rossa del confine franco italiano, sopra gli incredibili “Balzi Rossi”.

Nonostante Alice cominciasse a dare in escandescenze mi sono fermato un’altra settimana per cercare di fare alcuni motivi che avevo visto nelle mie escapades con Moreno, e comunque ho dipinto circa 10 tele…ero stremato, anche perché per portare in Francia i quadri liguri ho avuto tantissime difficoltà con la dogana. Un bilancio mi chiede…come le dicevo, la mia più grande tristezza in quel 1884 è stato veder partire subito i miei quadri liguri, in particolare di Bordighera, avrei tanto voluto vederli esposti insieme.

Però ho avuto una consolazione: ho saputo che alla fine del vostro ventesimo secolo, il pro-pronipote del mio carissimo amico Camille, un tale Joachim Pissarro, anche lui amante della nostra arte ma anche di quella -strana- dei vostri giorni, ha realizzato un’incredibile mostra in un piccolo museo straordinario in Texas, si figuri lei… Monet in Texas! Bref, il titolo della mostra era Monet e il Mediterraneo e il nipote di Camille ha messo insieme più di cento opere dei miei tre viaggi nel Mediterraneo: a Bordighera, 1884; ad Antibes,1888; a Venezia, con la mia Alice, l’ultimo viaggio insieme prima della sua morte, nel 1908… impresa straordinaria. Ora la devo lasciare, ma voglio lasciarla con le parole di una lettera che ho scritto il 25 marzo 1884, non so più a chi, da Bordighera, alla fine del mio viaggio di conquista della meraviglia…parole vere e sentite:

Bordighera, 25 marzo 1884

“…Non so se ciò che ho fatto è buono, non so più nulla, ho lavorato tanto, fatto tanti sforzi, che ne sono abbrutito. Se ne avessi la possibilità, vorrei cancellare tutto e ricominciare, perché bisogna vivere per un certo tempo in un paese per dipingerlo, bisogna averci lavorato con pena per arrivare a renderlo in modo sicuro; ma potremo mai essere soddisfatti di fronte alla natura, e soprattutto qui. Circondato da questa luce abbagliante, trovo la mia tavolozza ben modesta; l’Arte vorrebbe tonnellate d’oro e di diamanti. Infine, ho fatto ciò che ho potuto. Forse, una volta rientrato a casa, quello che ho fatto mi ricorderà un po’ ciò che ho visto.”

Claude Monet

Ps. Grazie a Silvia Alborno per essersi prestata a impersonare Claude Monet. Insegnante di francese e appassionata studiosa locale, ha curato nel 1998 la mostra Monet a Bordighera con Joachim Pissarro e Elizabeth W. Easton. Ha curato inoltre il libro “Parole a colori”, con le lettere di Monet da Bordighera e con Carmen Ramò ha scritto la guida letteraria “Il telegrafista di Margherita”, che racconta gli ultimi dieci anni della regina a Bordighera. Collabora con Andrea Alborno alla realizzazione di documentari sulla Liguria di Ponente, tra cui recentemente “Palme e mimose » per RAI 3.

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