La telenovela dell’ingresso in politica di Pier Silvio Berlusconi, che da mesi agita il sistema dei partiti italiani, o almeno le redazioni dei giornali, si è arricchita di una voce clamorosa. Il 55enne imprenditore milanese mediterebbe di creare un partito e collocarlo nel centro sinistra, per assumere la guida del tormentato “Campo largo” progressista.
Un’operazione speculare a quella riuscita più di 30 anni fa a Silvio, che in pochi mesi creò Forza Italia, riunì partiti e politici di centro (i cosiddetti moderati della DC), destra (il MSI) e non ancora ben collocati (la Lega) e travolse la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Per il momento sono solo rumors da redazioni politiche di giornali. Ma se la voce fosse vera, a mio avviso suonerebbe come campana a morto per chi si illude che esistano ancora valori svincolati da interessi personali o di parte.
Vediamola dai due punti di vista. Pier Silvio si macchierebbe di un crimine famigliare da tragedia greca. Suo padre ha passato la seconda parte della sua vita a contrastare quelli che lui chiamava “gli eredi del comunismo”. Ma questa guerra dei trent’anni non si è consumata solo sul terreno della politica. Tralascio le vicende giudiziarie per evitare eccessive polemiche divisive, visto che mezza Italia lo giudicava un malfattore e l’altra metà un eroe perseguitato dalla mala magistratura.
Silvio è stato attaccato anche e soprattutto a livello personale. Deriso per la sua altezza, per la sua calvizie, per il suo fare da cumenda blagueur, tormentato per la passione per le donne. La Sinistra dove (sintetizzando) Piersilvio vorrebbe approdare come grande Comandante si è sempre accanita contro il Cavaliere a livello esistenziale e in modo viscerale. Parlare bene di Silvio creava imbarazzo e incredulità in tutta la “galassia rossa”, dalle terrazze radical chic agli oratori cattocomunisti.
Il popolo della Sinistra, che esultò, anche con manifestazioni di piazza, quando Il Cavaliere venne condannato in via definitiva, decadde da senatore, e fu obbligato ai servizi sociali, ha continuato a odiarlo anche dopo morto. Lo scorso luglio è insorto, come fosse commesso un sacrilegio quando a Silvio venne intitolato l’Aeroporto Internazionale di Milano Malpensa.
Ma se Piersilvio compierebbe un tradimento non solo politico, ma ancora di più umano, nei confronti di suo papà, pure da parte della cosiddetta Sinistra accogliere il figlio di Berlusconi sarebbe contro natura. È vero che le colpe (e i meriti) dei padri non dovrebbero ricadere sui figli e il secondogenito di Silvio in teoria potrebbe portare idee e nuove costruttive al mondo “progressista”. Ma non prendiamoci in giro.
L’impatto della ipotetica discesa in campo dell’amministratore delegato di Mediaset non sarebbe clamoroso per le sue idee, ma per il suo cognome. Se Piersilvio non si chiamasse Berlusconi, ma, per esempio, Del Vecchio o Ferrero, il suo futuro nell’agone politico raccoglierebbe molto meno interesse. E, soprattutto, sarebbe tenuto meno in considerazione dai leader dell’opposizione.
Milo Goj