La guerra in Ucraina e i mutati scenari geopolitici mondiali hanno cambiato il contesto in cui si svolge il ripetuto e quasi secolare conflitto israelo-palestinese. Le conseguenze economiche della guerra sul Don, le uniche che davvero interessano gli opulenti e apatici cittadini europei, finora sono state contenute e minimizzate dai governi. Su Gaza, invece, punta gli occhi un’opinione pubblica quasi globale. Esplode così il rancore mai spento contro le azioni (giudicate da qualcuno “prepotenti”) di Israele che i cittadini non occidentali associano ai suoi acritici sponsor americani e alla muta Europa.
Oggi, la questione palestinese ritorna ad assumere proporzioni planetarie e si fonde con (a) il conflitto in Ucraina, (b) le migrazioni dall’Africa in Europa e (c) le tensioni e la competizione tra Stati Uniti e Cina. Già nella lotta all’ISIS – formatosi in seguito all’occupazione americana dell’Iraq – Russia e Turchia avevano ripreso incisive iniziative diplomatiche e un impegno militare diretto in Medioriente. La Cina e la Russia, in particolare, ma anche Iran, Turchia e i Paesi arabi offrono un possibile sostegno politico-culturale ed economico-militare alternativo a quello per oltre trent’anni offerto (o imposto) dai soli Stati Uniti e dall’Europa. Il conflitto israelo-palestinese ritorna quindi a costituire un nodo centrale della geopolitica mondiale anche in relazione a quanto succede nella non lontana Ucraina.
L’ignavia europea, che già ci costringe a pagare un prezzo elevato per la guerra ucraina, comporterà ulteriori pesanti costi economici e sociali causati dalla nuova guerra. Si rifletteranno sulle prossime elezioni europee? Risposta difficile, ma molto dipenderà dall’informazione che i cittadini riceveranno. Intanto i media internazionali e nazionali russi e turchi, per non parlare di tutti quelli degli Stati arabi o a maggioranza islamica, offrono una narrazione dei fatti molto diversa da quella diffusa dai media occidentali. La rappresaglia, giudicata sproporzionata, di Israele e le macabre immagini riportate da tutti i media (anche occidentali) fanno passare in secondo piano il precedente attacco di Hamas e implicitamente lo giustificano a posteriori. Sarà anche una narrazione errata e sbilanciata a favore dei palestinesi e degli antioccidentali, ma questo è quello che agevolmente passa nell’opinione pubblica e nelle emozioni dei popoli di quasi tutto il resto del mondo.
Il conflitto da arabo-israeliano che era, nel corso degli anni, si è trasformato in una contrapposizione tra ‘altri’ e mondo occidentale. Non si tratta precisamente di un conflitto tra cristianità e islam sebbene gli islamici prevalgano. Non sono pochi i cristiani in Sudamerica e in altre parti del mondo (compresi i Paesi arabi) che sostengono la causa palestinese in chiave antiamericana. La stessa Federazione Russa (e ancor più la dissolta Unione Sovietica erede a sua volta dell’Impero russo), di cui gli occidentali percepiscono la sola tradizione cristiano ortodossa, è in effetti un Paese a forte presenza e cultura islamica di etnia prevalentemente turca e tatara integrata nella multietnica cultura russa che non ha mai smesso di guardare anche a oriente e al turanismo (l’unione dei popoli turchi). Per non parlare della popolazione turca in Germania, araba e africana in Francia, pakistana nel Regno Unito, berbera e marocchina in Spagna e ovunque in Europa, Italia compresa. E per tacere di tutti i profughi che quotidianamente sbarcano in Europa. Quali informazioni ricevono costoro e a quali credono? Il conflitto israeliano-palestinese costituisce l’occasione per aggregare le politiche antioccidentali. Può l’Europa esimersi dal tenerne conto?
Stando così le cose, il peso delle ritorsioni e dei tumulti, che interverranno dopo questa ennesima rappresaglia israeliana, lo sosterremo solo noi europei che conviviamo con una popolazione musulmana in gran parte emarginata nelle periferie delle città, refrattaria alla nostra propaganda e aperta a quella dell’informazione araba, persiana, turca, cinese, pakistana e ora anche a quella russa che la guerra US/NATO ha, per lo meno temporaneamente, unito. Già sono cominciati gli attentanti ‘fai da te’ di fanatici e psicopatici: su milioni di persone residenti in Europa è quasi certo che qualche pazzo decida di sua volontà di accoltellare, sparare, investire chi odia sia pure in astratto. Se si nasce sotto i bombardamenti e tra le violenze e il disprezzo, il numero di coloro nutriti dall’odio e disadattati non può che essere anche superiore.
Se non si ricostituisce una condizione umana in Palestina, presto si formeranno cellule estremiste minori che i sempre più numerosi nemici dell’occidente lasceranno crescere e non fermeranno pur senza offrire né rivendicare il sostegno ufficiale. Queste cellule trovano fertile terreno nelle incontrollabili periferie metropolitane europee, nella rabbia covata per il disagio sociale, nell’anti-islamismo populista. Ricondurre alla ragione Israele significa restituire allo stesso Stato ebraico il rispetto e la dignità di sé stesso. Inoltre, proteggere i palestinesi (e gli israeliani da loro stessi) è l’unico modo per l’Europa di continuare a vivere pacificamente in coabitazione con i milioni di musulmani e di arabi già presenti e quelli che quotidianamente sbarcano avendo sentito le notizie provenienti da Gaza sui media che raccontano storie – giuste o sbagliate che siano – completamente diverse da quelle che vengono raccontate agli europei.
Corrado Poli