I recenti articoli di Riccardo Rossotto sulla crisi mediorientale hanno attirato l’attenzione di molto lettori. Qui di seguito pubblichiamo un intervento di Gianguido Castagno, la cui scrittura è stata ispirata proprio dai contributi di Rossotto. Laureato in economia, ma di formazione umanistica, dopo una carriera manageriale, Castagno si è occupato di storia, con una particolare attenzione proprio all’area del Medio Oriente.
Milo Goj
Quando tra il 2009 e il 2010 stavo lavorando al mio testo sulla guerra di Yom Kippur dedicai un po’ di tempo agli eventi storici che avevano portato alla vigilia di quella guerra. Tutto ciò che in questi giorni si dice e scrive mi ha fatto venire l’idea di riassumere alcuni aspetti di questo sviluppo storico, con la presunzione di fornire qualche spunto di riflessione su un background fattuale che, nell’enfasi delle contrapposte prese di posizione forse viene un po’ dimenticato, e anche per cercare di precisare un po’ il significato delle parole. L’origine del nome Palestina si perde nella notte dei tempi e indica una vasta area che ingloba tutto l’attuale Medio Oriente, Iran, Iraq e Siria compresi. Quest’area era abitata da numerosi popoli, compresi tra questi gli ebrei (una tribù proveniente da Ur in Mesopotamia) e i filistei (tribù che abitavano la zona dell’attuale striscia di Gaza).
Il nome si ritrova negli scritti di storici e filosofi greci e venne ufficializzato dall’imperatore romano Adriano che dopo le guerre giudaiche, per tagliare ogni collegamento degli ebrei con il loro passato, cancellò il nome Giudea e lo sostituì con Syria Palæstina (e Gerusalemme divenne Æolia Capitolina). Da quel momento il nome rimase sotto le varie dominazioni fino all’impero ottomano e fino agli anni prima, durante e dopo la prima guerra mondiale. La nascita del sionismo, la Dichiarazione Balfour per la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina, la Grande Rivolta Araba contro i turchi e poi la spartizione dell’impero ottomano sullo sfondo degli errori e dei reciproci inganni tra inglesi (soprattutto), francesi ed arabi dell’Hejaz gettarono il seme dei futuri conflitti, conseguenti alla nascita del Mandato Britannico per la Palestina.
Divisioni coloniali, conflitti e la nascita dello Stato di Israele
Gli inglesi poi divisero questo vasto territorio creando a est del Giordano la Transgiordania, come protettorato assegnato all’emiro Abdallah dell’Hejaz: la Transgiordania divenne poi un regno nel 1946 e l’emiro ne divenne re. Gli inglesi mantennero sotto il loro diretto controllo la parte a ovest del Giordano: così si riduceva a poco più del 20% la parte di Palestina-Mandato alla quale poteva essere applicata la Dichiarazione Balfour. Dalla fine degli anni trenta del XX secolo e poi dopo la fine della guerra crebbe nel territorio del Mandato l’intolleranza sia degli arabi che degli ebrei verso gli inglesi, mentre l’aumento dell’immigrazione ebraica portò ad un crescendo di violenze e di atti di terrorismo da entrambe le parti, con brutale repressione da parte degli inglesi, soprattutto verso gli ebrei (che cominciarono clandestinamente a creare una loro forza armata con l’Haganah).
Nel tentativo di pacificare la regione si giunse il 29 novembre 1947 a una risoluzione dell’ONU per la costituzione di due stati, ognuno costituito da tre aree incastrate tra loro con confini zigzaganti che avevano solo piccoli punti di contatto, con popolazioni rispettivamente in maggioranza araba ed ebraica, e Gerusalemme sotto controllo internazionale. La risoluzione fu accettata (con proteste) dalla parte ebraica e nettamente rifiutata dalla parte araba che scelse di puntare all’eliminazione totale della presenza ebraica dal territorio del Mandato. Un attentato arabo avvenuto il giorno dopo l’approvazione è considerato il momento di inizio della guerra di indipendenza ebraica, contrariamente all’opinione comune che la fa iniziare subito dopo la dichiarazione d’indipendenza di Israele.
In tutto il Mandato si affrontarono con atroce violenza da ambo le parti forze irregolari arabe e gruppi clandestini ebraici, mentre gli inglesi non fecero nulla per fermare gli scontri. La popolazione araba abbandonò le zone dei combattimenti più feroci, espulsa dagli ebrei o istigata dalla propaganda del Gran Muftì di Gerusalemme che prometteva un sicuro ritorno dopo l’eliminazione della presenza ebraica. Il mandato britannico scadeva il 15 maggio 1948 e gli inglesi se ne andarono lasciando una situazione di vuoto e caos, senza aver trasferito i poteri ad alcuna autorità. Il 14 maggio (il 15 cadeva di sabato) David Ben-Gurion convocò la riunione nella quale venne emessa la dichiarazione costitutiva dello Stato di Israele, che si chiudeva invitando gli arabi a un futuro di pace.
La Guerra dei Sei Giorni e le complesse dinamiche della West Bank
La notte successiva le forze di tutti gli stati confinanti invasero il nuovo stato per cancellarne la presenza. In particolare, le forze di Abdallah di Transgiordania invasero quella che oggi si chiama “West Bank”, uno dei tre spazi che la risoluzione dell’ONU assegnava agli arabi e che era stata rifiutata. La guerra, che aveva portato alla caduta della Città Vecchia di Gerusalemme nella mani della Legione Araba, si concluse con una serie di armistizi (l’ultimo, con la Siria, il 20 luglio). Con l’armistizio la Transgiordania si annesse il territorio che aveva invaso e re Abdallah diede al suo regno il nuovo nome di Giordania. Lo spazio così ottenuto gli servì per ricollocarvi i profughi che avevano abbandonato quello che ora era diventato Israele e tentare così di limitarne la presenza a ovest del Giordano. Questa mossa creò l’ostilità di Siria, Arabia Saudita ed Egitto che in quei territori avrebbero voluto la creazione di uno stato palestinese: un nazionalista palestinese uccise poi Abdallah nel 1951 a Gerusalemme.
Questo excursus storico non si addentra nell’esame degli anni che seguirono, e vuol concludersi con il momento finale della Guerra dei Sei Giorni. In questa guerra gli scontri più violenti si ebbero a sud lungo il Canale e a nord, sul confine con la Siria. Nel settore centrale il piano originario di Israele era di mantenere un atteggimento difensivo fin quando la Giordania fosse rimasta fuori dal conflitto. Di questo re Hussein (nipote di Abdallah) venne discretamente informato, ma Nasser lo convinse che l’Egitto stava vincendo e il re si decise ad entrare in guerra. Le truppe israeliane entrarono allora in azione contro il saliente giordano restando inizialmente fuori da Gerusalemme, ma quando cominciò a delinearsi la possbilità di una risoluzione dell’ONU che avrebbe congelato la situazione sul terreno, venne dato l’ordine di prendere la città e di spingersi fino al Giordano.
La West Bank rimase così occupata da Israele, con una situazione divenuta sempre più difficile a causa in primis della difficoltà di giungere a una definizione formale della situazione. Poi la crescente presenza degli opposti estremismi, parimenti violenti, e degli altrettanto insensati fanatismi religiosi (dall’una e dall’altra parte), accompagnata da errori politici e di visione strategica ha portato alla situazione che stiamo vivendo in questi giorni. Ma sommessamente, perché non è molto di moda dirlo, forse si potrebbe pensare un momento al fatto che i territori della West Bank che Israele occupa dal 1967 non sono stati strappati ai palestinesi. Sono territori che sarebbero stati arabi dal 1947 se gli arabi non avessero rifiutato di averli, che un re arabo invase nel 1948 e che perse nel 1967 perché entrò al momento sbagliato in una guerra sbagliata. Territori nei quali la mancanza di saggezza e lungimiranza dei governanti e i fanatismi nazionalistici e religiosi endogeni e sobillati dall’esterno hanno impedito di riconoscere la millenaria realtà della presenza in Palestina di popoli diversi.
Gianguido Castagno