A distanza di anni dalla prima proposta, quando ormai pensavo che fosse un progetto abbandonato, scopro che in Valle d’Aosta si continua a parlarne, a spenderci tempo e denaro pubblico. Un nuovo impianto di funivie, in un vallone ad oggi incontaminato. Il vallone è quello di Cime Bianche o di Courtod. Parte da St. Jaques, frazione a monte di Champoluc, e si estende fino al colle superiore delle Cime Bianche che a quasi 3000 metri di quota domina la zona di Cervinia. Lo si risale con la mulattiera che passa da Fiery e poi, superando l’alpe Varda, l’alpe Mase e lasciando alla destra il Gran Lago, si raggiunge il colle.
Un ambiente incontaminato
L’ambiente è incontaminato e non lascia presagire tutto quello che è avvenuto, e ancora avviene, alle sue spalle, nella conca del Breuil. Come le ruspe al lavoro questa estate in vista delle prossime gare di Coppa del Mondo di sci, una collaborazione italo-svizzera. Da questo lato invece la presenza umana si limita agli alpeggi, alle escursioni estive e in inverno la valle è terreno per una discesa in fuoripista da conquistare col sudore di una salita scialpinistica.
Sento parlare di Cime Bianche da troppo tempo, è il momento di andare a vedere di persona. Oltre 200 persone si sono trovate lì a inizio agosto per marciare in sua difesa. Scelgo di non percorrere la valle ma di guardarla un po’ da lontano, voglio provare a valutare la cosa con un minimo di distacco come se la distanza fisica potesse aiutarmi a fare più chiarezza. La mia meta sarà il Palon di Resy a oltre 2600 metri, osservatorio privilegiato sul vallone. Eviterò anche di cercare le croci di vernice blu di cui ho letto sul web, macchie di colore necessarie agli studi topografici che fanno parte del piano preliminare di fattibilità. È in fase di stesura, 400.000 euro di spesa, risultati attesi per ottobre.
Metto nello zaino lo stretto indispensabile e parto in direzione Bettaforca. Seguo il filo degli impianti di risalita esistenti, la funivia che da Staffal, frazione di Gressoney la Trinité, sale a S. Anna e la seggiovia Colle Betta. Cammino su strada sterrata e poi su prati verdi-gialli tra alti piloni metallici, cavi d’acciaio, basamenti in cemento e cannoni sparaneve. Sul terreno si vede chiaramente il segno lasciato delle piste da sci, tirate come biliardi nel periodo invernale. Il rumore del vento si mescola a quello, non troppo fastidioso, dei motori che azionano gli impianti e dei seggiolini che scorrono sulla fune, da pilone a pilone.
Una vista mozzafiato circondato da bellezza
Qualche mucca pascola vicino all’alpeggio di S. Anna incurante della presenza umana e delle trasformazioni all’ambiente. Il monte Rosa splende, per quanto graffiato da questa torrida estate, e mi accompagna alla mia destra. Arrivato al colle lascio la valle del Lys e scendo in quella di Ayas, occupata anche lei, lassù in alto, da un’altra seggiovia. Cammino veloce, la giornata è variabile, l’aria frizzante del mattino invita alla scoperta. Per non perdere troppa quota evito l’abitato di Resy e il rifugio Ferraro, e risalgo direttamente al Palon di Resy, lungo il sentiero 8C che incontro alla mia destra.
Quando arrivo in vetta e tiro fuori borraccia e frutta secca ho già messo nelle gambe un bel po’ di dislivello. Mi accomodo vicino alla croce di metallo che sovrasta la punta e mi godo lo spettacolo, sbinoccolando di tanto in tanto. La vista è mozzafiato, sono circondato da bellezza e come previsto il vallone di Cime Bianche si lascia apprezzare.
Una valle di collegamento da Alagna Valsesia a Zermatt
La “sfortuna” di Cime Bianche? Essere la valle di collegamento, l’unica possibile, per un lungo carosello sciistico che da Alagna Valsesia, in Piemonte, potrebbe arrivare fino a Zermatt, in Svizzera, attraversando le valli del Lys, di Ayas e di Valtournanche. Cinque valli unite da cavi d’acciaio. Nel frattempo mi raggiunge un gruppo di escursionisti e dopo un poco ci si mette a chiacchierare come spesso succede tra gente che ama la montagna. Non sanno niente del progetto, arrivano dal cuneese per godersi lo spettacolo dei 4000 che ci circondano. Sono perplessi ma come hanno imparato nelle loro valli sono consapevoli che la vita in montagna è dura, che le ragioni dell’ambiente devono necessariamente incontrarsi con quelle dell’economia. Altri più titolati di me, come il Club Alpino Italiano, hanno già sintetizzato le ragioni del no alla funivia. Aggiungo che da escursionista mi infastidisce camminare in mezzo a impianti di risalita, come ho fatto oggi. Quegli stessi impianti però che ho utilizzato in tanti inverni di sci. Sono io stesso in contraddizione.
Conciliare la difesa dell’ambiente con le ragioni dell’economia
Credo tuttavia sia giusto considerare anche le ragioni di chi tra queste montagne ci vive. Un’amica gressonara mi ricordava che a volte chi lavora agli impianti di risalita in inverno è la stessa persona che d’estate porta le mandrie agli alpeggi. Quelli che tanto ci piacciono, con le baite in ordine e i prati tagliati. Il reddito invernale sostiene quello estivo. Ricordo che in Svizzera queste persone sono considerate dei veri e propri giardinieri delle montagne, se ne prendono cura a vantaggio di tutti. E già 20 anni fa Enrico Camanni (La nuova vita delle Alpi, Bollati Boringhieri 2002) scriveva della necessità di “inventare e sperimentare un modello di sviluppo che sappia conciliare la difesa dell’ambiente con le ragioni dell’economia, la specificità alpina con il turismo, la tradizione con la modernità”.
Esiste un modo sostenibile di fare sviluppo?
E quindi, non esiste un modo sostenibile di fare sviluppodi, offrire ai valligiani il modo per poter vivere tra le loro montagne? Bisogna per forza continuare a costruire funivie? Il tema è complesso e non si può risolvere in poche righe. A breve (6-9 settembre), in Sudtirol, si svolgeranno i “Sustainability days” per lo sviluppo sostenibile delle aree rurali, ne riparleremo. Di una cosa sono certo: non è pensabile costruire un nuovo impianto e limitarne l’uso alla sola stagione invernale. La neve non è certa, le temperature s’innalzano, l’inverno si accorcia, i costi aumentano con l’innevamento artificiale. Per non parlare dei problemi legati al costo dell’energia in questo folle 2022.
È doveroso che l’utilizzo di un impianto sia anche estivo, allungandone il periodo d’uso e anzi proiettandolo verso l’utilizzo che oggi appare più probabile visti i cambiamenti climatici in atto. Sono di nuovo solo, un ultimo sguardo prima di scendere. Quel vallone, come tanti altri qui in Valle d’Aosta e in giro per le Alpi, mi sembra bello così. E ripenso a Vittorio Gassman che consigliava al figlio, di fronte a un bivio, di scegliere il percorso più accidentato. Al bivio del si o del no alla funivia quale soluzione rappresenterà quel tipo di percorso?
Alfredo Valz Gris