Scendono la scaletta in silenzio, uno dopo l’altro, alcuni con passo incerto. La mascherina a coprire il volto, un sacco nero nella mano. Finalmente sono sbarcati nel porto assegnato di Livorno. L’area di soccorso era distante ben 4 giorni di navigazione.
Su queste pagine Riccardo Rossotto ha già affrontato i fatti di Cutro con l’invito accalorato a non arrendersi all’indifferenza. Il tema dei migranti è sempre all’ordine del giorno. “Non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio” ricordava Gino Strada in uno dei suoi libri (Pappagalli verdi, Universale Economica Feltrinelli). Lui non c’è più, ma il suo sogno, il suo progetto non si ferma. E così nel dicembre 2022 ha preso il largo la nave di Emergency, la Life Support, nome ispirato da quello originale della sua organizzazione – Emergency life support for civilian war victims. Giudicato allora troppo lungo, oggi ritorna utile. Tutto si lega, niente si perde.
“È il nostro modo di continuare a fare la nostra parte, ricordando che il soccorso in mare è un obbligo previsto dal diritto del mare ma anche un obbligo morale” sottolinea Pietro Parrino, Direttore field operations department di Emergency. Ultima arrivata tra le navi soccorso nel Mediterraneo, Life Support è un’imbarcazione di 51,3 metri di lunghezza, 12 di larghezza, bella livrea rossa e bianca. Può arrivare ad accogliere fino a 175 naufraghi oltre ai 28 membri dell’equipaggio, tra cui due infermieri e un medico affiancati da due mediatori culturali. Area di ricovero di circa 270 mq, completamente coperta, con ambulatorio medico, servizi igienici, posti letto e alcune panche. Da dicembre a inizio maggio oltre 600 migranti salvati, sei missioni concluse.
Domenico Pugliese è il Comandante delle prime tre, un passato nella navigazione commerciale e poi sui rimorchiatori d’altura. Ora una sfida tutta nuova.
Che esperienza è stata dal punto di vista umano?
“È un’esperienza che mi ha colpito, che mi ha segnato non poco. Non ne avevo idea tranne per quello che sentivo nei media ma quando poi sono andato sul posto ha avuto una forte impronta su di me. Ho visto dal vivo, toccato con mano la sofferenza di queste persone.”
Con loro sei riuscito a parlare?
“Alcuni mi hanno raccontato momenti tragici della loro vita, di violenza fisica e mentale, stupri. E c’è sempre il tentativo di estorcere denaro da parte delle persone che si approfittano di queste situazioni.”
C’è un episodio che ti ha maggiormente colpito?
“Sono diversi ma in particolare, durante il primo soccorso, le grida della bambina di appena due anni quando veniva trasportata dal nostro gommone verso la nave. Grida strazianti che non si tolgono più dalle mie orecchie. Sentivo il grido d’aiuto, di incognita, nel buio totale. Veniva presa dalle braccia della mamma e portata sulla nostra nave da persone sconosciute, tutte imbardate, quelle del nostro team, per essere poi restituita alla madre. Nei giorni successivi sono andato a vederla, era sorridente, aveva qualche giochino in mano. Come deve essere, la spensieratezza di una bambina di due anni, la gioia di stare con la mamma, di vivere una vita. E questo mi ha segnato totalmente.”
E dal punto di vista professionale è stata un’esperienza diversa?
“Nel commerciale abbiamo carico-scarico-rotte. Qui è stato molto più coinvolgente perché dovevamo trovare un “bersaglio”, un obiettivo, dato da una posizione approssimativa grazie ai telefoni di Alarm Phone oppure da una segnalazione dei coordinamenti marittimi nazionali. Occorre darsi delle strategie per trovarsi nel punto giusto, tenere conto di venti e correnti che possono influire sullo scarroccio del “bersaglio”. Molto impegnativa ma anche appassionante.”
In base alle nuove disposizioni governative vengono assegnanti alle ong porti di sbarco anche molto distanti dai punti di recupero dei migranti. Livorno è quello assegnato più di recente a Life Support. Quali sono i problemi pratici e i risvolti anche economici?
“Le persone che noi salviamo, che recuperiamo in mare, sono da giorni in balia delle onde, delle intemperie, stremate senza cibo, senza niente. Accalcate una sopra all’altra in un gommone di 7 metri. Hanno bisogno di avere, subito, assistenza e di essere portate in un posto sicuro. Se mi devo fare altri 3-4 giorni di navigazione, magari con mare agitato dove le persone soffrono il mal di mare come lo soffriamo noi, è chiaro che si accentua la sofferenza. Poi dal punto di vista economico abbiamo molte più spese, consumo di gasolio, viveri, giorni di navigazione.”
Migliaia e migliaia di euro e giorni sprecati invece di ripartire per una nuova missione di salvataggio.
“Confermo, è così.”
Se incontrassi un governante, un ministro, un politico, che cosa ti verrebbe da dirgli?
“Di non accanirsi. Mi sembra ci sia un accanimento verso questa attività. Quando si parla di vite umane si toglie tutto di mezzo, viene tutto in secondo piano. Queste persone partono in qualsiasi modo, condizione, mettono a rischio la propria vita, quella dei propri figli. C’è un motivo ed è valido per loro. Noi che siamo nati, per caso, nel benessere dobbiamo aiutare queste persone e non mettere i bastoni tra le ruote a chi lo fa, a proprie spese come tutte le navi non governative. Quando c’è in ballo una vita umana non bisogna esitare”.
Lo inviteresti sulla nave a toccare con mano questa realtà?
“Lo inviterei tranquillamente. Non entro in questioni politiche, non ne sarei neppure capace. Ma a livello umano credo che qualsiasi politico dovrebbe capire, altrimenti vuol dire che sei morto dentro…”
Cosa auspichi?
“Che capiscano l’attività che facciamo, che è solo di aiuto, non è altro che aiuto agli Stati e in primis a persone disperate.”
Nessun taxi allora.
“Non pigliamo appuntamenti, non ci mettiamo là all’angolo del mare. Non esiste. Lo posso dire perché ci sono stato e lo so!”.
Attenzione, coinvolgimento, partecipazione. Oppure indifferenza.
L’attualità ci riporta alle scintille Italia-Francia, al confine blindato di Ventimiglia più volte raccontato da Eraldo Mussa. Guardia Costiera italiana, navi commerciali e imbarcazioni delle ong, purtroppo meno numerose che in passato, sono comunque in mare, impegnate con modalità differenti. Non esiste tuttavia un’operazione europea di ricerca e soccorso (SAR, Search and Rescue). Manca un coinvolgimento della UE che in tanti giudicano doveroso. Possiamo catalogarlo come semplice indifferenza?
Alfredo Valz Gris