Nazismo, comunismo. La dicotomia è risolta da Roxanne Veletzos nel romanzo autobiografico “La luce del domani”, pubblicato dalla editrice Nord, dove racconta la storia della propria madre, segnata dai due totalitarismi del XX secolo. Lo scenario, in questo caso, è la Romania, prima in mano ai filonazisti del generale IonAntonescu, poi dei comunisti e della lunga dittatura di Nicolao Ceausescu. Vittime eccellenti dei primi: gli ebrei. Una nota di introduzione al romanzo afferma che “secondo la commissione Wiesel, tra l’ottobre 1940 e la fine della seconda guerra mondiale, in terra rumena vennero massacrati 380.000 ebrei. Nel gennaio 1941, durante il tristemente noto pogrom di Bucarest, migliaia di ebrei vennero trascinate in strada per essere torturate o uccise.”
Autori i famigerati Squadroni della Morte, alimentati dalle Guardie di Ferro e dal Movimento Legionario. “Notte dopo notte, le sue guardie pattugliavano i quartieri della città nelle uniformi verdi, con la croce uncinata sulla manica. Il tonfo degli stivali che marciavano in sincronia perfetta, le voci che si alzavano e calavano all’unisono, intonando il loro inno sinistro, si sentiva a diversi isolati di distanza” leggiamo insieme ad altri scenari che lasciano intendere l’atmosfera cupa, oppressiva, angosciante che invadeva le strade di una Bucarest attraversate da scontri armati, coprifuoco, cadaveri ammucchiati lungo il ciglio della strada. Una Bucarest dove, tra tante famiglie ebree, vive, appunto quella dei nonni di Roxane, per essere la propria madre loro figlia naturale.
Ma passiamo al romanzo, perché, appunto, è con loro, i nonni della scrittrice, che comincia il romanzo. E’ la storia di Zora e Iosef, genitori di Natalia, una bambina di 4 anni, che perseguitati in quanto ebrei si trovano nelle condizioni di dover fuggire dal Paese. E lo faranno, andranno in Svizzera grazie all’aiuto di un amico, Stefan, che ha fornito loro i documenti falsi necessari per l’espatrio. Ma ci devono andare senza la loro figlia. Un’idea che subito respingono assolutamente. La madre in particolare si ostina: “No, non me ne vado. Moriremo insieme, qui, a Bucarest”. Ma l’amico insiste. Se trovano sul treno la bambina senza documenti siete perduti tutti, sarà al sicuro, ma solo se la lascerete andare. Li convince con una domanda: come potete sacrificare l’unica figlia che avete? La metterò al sicuro.
Così i due, visibilmente sconvolti, dilaniati da quell’abbandono, con i volti rigati di lacrime, salgono sul treno verso la libertà. Era il gennaio del 1941.
E la bambina, Natalia sarà messa al sicuro in un orfanotrofio diretto da una donna, la signora Tudor, apparentemente o, se vogliamo, date le circostanze, giustamente rigida e in guardia nella difesa dei bambini che le sono stati affidati, quanto comunque umana.
A lei, non molto tempo dopo, arriverà una coppia di coniugi che non possono avere figli. Si tratta di Anton e Despina, benestanti, lui proprietario di affermati negozi di calzature, anch’essi amici di Stefan, che ha parlato loro di Natalia. E l’attenzione dell’autrice, da questo momento, è particolarmente riservata ad essi che seguirà prima nei loro vani tentativi di avere un figlio, nelle delusioni, nel dispiacere della moglie di non poter dare una creatura al marito, nell’amore di quest’ultimo, sempre fiducioso e innamorato comunque della donna. E, dopo tanti inutili tentativi, l’idea di adottare la bambina. Quella bambina. Ci arriveranno anche grazie alle perorazioni della cugina di Despina che lavorava nell’Istituto della signora Tudor, la quale, immaginando in Despina e Anton un atteggiamento di ricchi viziati, respingeva l’incontro dicendo: “Qui non vendiamo bambini. I loro soldi non hanno valore, per noi.” Ma poi, dopo tante insistenze di Maria, la signora Tudor accetta di incontrare Anton e Despina e, da più colloqui, riconosce la loro sincerità e sofferenza per non aver figli, così affidando loro Natalia che, arrivata in casa, riceverà il nomignolo di Talia.
La bambina si troverà in un ambiente benestante, un’esistenza felice e serena, due genitori che l’amano più della loro stessa vita. Tre anni dopo però si affacciano le prime difficoltà economiche, in un crescendo che, attraversando la storia della Romania nel quadro più generale della liberazione d’Europa dal nazismo, racconta la vita drammatica di Anton e Despina sotto i bombardamenti, la loro fuga da Bucarest verso altri lidi del paese che non si riveleranno così tranquilli come sperato. Anche perché in questo contesto drammatico Talia si ammala di polmonite. Il medico li avverte: “Temo di non potervi dare buone notizie. Se l’avessi vista prima…” Serve la penicillina. A trovargliela sarà ancora Stefan, angelo protettore della bambina, che si salverà.
La fine della guerra lascia sperare in un futuro roseo per tutti. Ma non sarà così.
Nel 1948 a Bucarest, i comunisti presero il sopravvento “i capi politici e i membri del parlamento vengono arrestati, imprigionati o mandati nei campi di lavoro della lontana Siberia. Altri erano scomparsi dal giorno alla notte, senza spiegazioni”. Corre voce che la Romania sarebbe diventata una Repubblica del Popolo e che il primo ministro sarebbe stato nominato da Stalin in persona. Sarà la fine di un sogno, quello di vivere in un paese finalmente libero e democratico.
Il tallone di ferro della dittatura comunista li riporterà tragicamente indietro, agli anni di quella nazista. “La nuova realtà in cui si trovavano prigionieri non era il lento risultato di un cambiamento, ma era stata creata con la precisione affilata di una ghigliottina, che li separava da tutto ciò che ritenevano giusto e famigliare”.
Tutte le proprietà saranno requisite dallo Stato, e anche Anton vedrà il suo negozio fare questa fine, riducendolo ben presto a quella miseria in cui l’intero popolo rumeno si ritroverà, ad eccezione della oligarchia di partito che ingrassa alla sua faccia in nome del socialismo e risvegliando bassi sentimenti di rivalsa che contraddicevano quelle promesse di riscatto umano che, a parole, doveva contraddistinguere la nuova era. E’ un passaggio terribile di odio sociale e livide vendette personali. Despina si vede inseguire da una donna che le grida dietro: “Era ora! Chi diavolo vi credete di essere? I vostri giorni sono finiti, cari signori! Finiti! Vi ritroverete a lucidarmi gli stivali all’ingresso.”
Vecchi copioni di tutte le dittature, in questo caso rese più gravi dalla millantata promessa di un mondo diverso e migliore.
Anton e Despina si stringono vieppiù alla loro Talia. In quella miseria generale e oppressione che caratterizza la vita sotto il comunismo faranno tutti i sacrifici possibili per darle quel che resta della parte migliore della vita. La vedremo diventar grande, adolescente, giovane donna, mentre gli anni e altri incontri, tra cui una storia d’amore, scorreranno nelle pagine, che è bene segnalare risentono comunque di una scrittura facile, intenzionalmente commerciale, ricca di echi romantici, che non sono stati estranei al successo di questo libro, scritto in inglese e uscito negli Stati Uniti, paese d’approdo, come vedremo, di Talia (e della figlia Roxane, la scrittrice).
Accade, infatti, nel corso del romanzo (come nella vita) che a un certo momento Talia riceva una lettera dagli Stati Uniti, e sarà una lettera dei suoi genitori naturali Zora e Iosef, dei quali ormai aveva perso il ricordo. Le chiedono di raggiungerli. Ma Talia non vuol farlo, tanto è legata ai genitori adottivi, ad Anton e Despina, che l’hanno riempita di attenzioni e d’amore. Ma saranno proprio questi ultimi che, in un ultimo gesto d’amore per lei, agiranno segretamente affinché lei parta, se ne vada da quella Romania dominata da una dittatura che non offre nessuna prospettiva di futuro, libertà e felicità.
Ad accompagnarla all’aeroporto sarà il suo stesso fidanzato, Victor. Anche lui l’ama e non vuole che continui a vivere in quella Romania. Talia rifiuta fino all’ultimo momento di partire, pensa ancora all’affronto che farà ai suoi genitori adottivi. Glielo dice mentre “la bile le montava in gola. Stava per avere i conati” e cerca di fuggire dall’auto in corsa, gridandole tutta tremante: “Come posso lasciare solo mio padre, proprio ora che è debole e confuso, o mia madre, che ha bisogno di me più che mai? Come puoi pensare che potrei andarmene?”. Ma la risposta, espressa con tutta dolcezza da Victor, la convince: “Sanno tutto, Talia. I tuoi lo sanno. Tua madre mi ha fatto giurare che ti avrei fatto salire su quell’aereo”.
Alcune fotografie d’epoca in fondo al libro ci affidano i veri volti dei protagonisti.
Diego Zandel
Roxanne Veletzos, La luce del domani, Nord, pag. 366, €. 18,00