La legge elettorale ha un’importanza fondamentale nella vita politica nazionale poiché incide direttamente sulla misura della libertà e della democrazia.
Nel caso dell’instaurazione della dittatura fascista, infatti, l’evento decisivo non fu la Marcia su Roma, né il delitto Matteotti. Nel primo caso esisteva ancora la possibilità di fronteggiare la drammatica situazione. Nel secondo, era ormai troppo tardi. Il vero snodo fu, invece, l’approvazione della legge elettorale Acerbo del 1923, con la quale ebbe inizio la strada verso il regime totalitario. Per il significato che ha la memoria, ricordiamo come andarono le cose cento anni fa.
La svolta nel 1922
Dopo la violenza squadrista e la Marcia su Roma, Mussolini, che ha in Parlamento solo 35 deputati, riceve l’incarico di formare un nuovo governo. Il 16 novembre Mussolini si presenta alla Camera per chiedere la fiducia a favore della sua compagine governativa composta da Fascisti, Nazionalisti, Liberali, Democratico-sociali e Popolari. E’ il giorno del famoso discorso in cui minaccia: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di Fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Ciò nonostante, la Camera gli vota vilmente la fiducia. Si schierano contro solo i Socialisti, i Comunisti e i Repubblicani. Il 24 novembre, vengono anche concessi al governo i pieni poteri per la riorganizzazione della materia fiscale e della pubblica amministrazione.
Fù solo l’inizio
In un crescendo rossiniano viene costituito il Gran Consiglio del Fascismo nel quale si stabiliscono le linee programmatiche del Governo. E viene creata la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), ove confluiscono i membri delle squadre d’azione, direttamente agli ordini del Capo del Governo con compiti di ordine pubblico.
Mussolini però è impaziente. Non vuole guidare una coalizione e ha fretta di indire nuove elezioni per contare su una maggioranza monocolore e compatta. E’ necessario dunque cambiare la legge elettorale. Il Duce, come veniva chiamato Mussolini, avrebbe voluto che la materia elettorale fosse stata oggetto della delega con pieni poteri conferitagli dal Parlamento, ma il re si è opposto. Rimane la strada della legge ordinaria. Nel Gran Consiglio si decide di scegliere il progetto che Michele Bianchi, Segretario del Partito nazionale fascista, aveva già anticipato in un’intervista al Popolo d’Italia del 13 novembre 1922. Viene incaricato di predisporre materialmente il testo della legge Giacomo Acerbo, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, anche se nell’indice degli Atti parlamentari la legge verrà denominata “legge Mussolini”.
Obiettivo: neutralizzare il PPI guidato da Luigi Sturzo
Il meccanismo predisposto prevede l’assegnazione di ben due terzi dei seggi alla lista bloccata di maggioranza relativa che ottenga, in un Collegio unico nazionale, almeno il 25% dei voti. I seggi rimanenti verrebbero assegnati proporzionalmente agli altri Partiti che partecipano alle elezioni. Come ricorda Antonio Carioti, nel suo libro “Come Mussolini divenne il Duce”, i Fascisti, per avere la certezza dell’approvazione della legge, hanno bisogno di neutralizzare il centinaio di voti del Partito Popolare Italiano guidato da Luigi Sturzo, prete di idee democratiche favorevole al sistema proporzionale. Per superare l’opposizione dei Popolari, Mussolini si rivolge alle gerarchie ecclesiastiche. Prima, per accordarsi, incontra segretamente il cardinale Pietro Gasparri, Segretario di stato di Papa Pio XI, e il gesuita Pietro Tarchi Venturi. Poi, si occupa del salvataggio del Banco di Roma legato alle finanze vaticane e incarica Giovanni Gentile, Ministro dell’Istruzione, di favorire, con la sua riforma, le scuole cattoliche private e porre l’insegnamento della religione cattolica a fondamento dell’istruzione elementare. A quel punto, il cardinal Gasparri scrive a Sturzo invitandolo, a nome del Papa, a dimettersi dalla direzione del Partito. Cosa che il leader popolare farà a luglio, proprio alla vigilia della votazione della legge Acerbo.
Squadristi armati sulle tribune di Montecitorio
E’ utile ricordare che anche in Germania nel 1933 la Chiesa, a seguito di un concordato con i Nazisti, intervenne per spingere il Partito cattolico tedesco, il Zentrum, a votare i pieni poteri a Hitler. Nel frattempo, nella Commissione parlamentare incaricata di esaminare preliminarmente il testo della legge prima del suo approdo in aula, Filippo Turati, leader dei riformisti del PSU che si erano staccati dai massimalisti rimasti nel PSI, si batte con forza. Denuncia il clima intimidatorio in cui si svolge la discussione ed evidenzia il pericolo di un colpo di Stato in permanenza. I Liberal-democratici invece non scorgono i pericoli per la democrazia della nuova legge elettorale e perseguono la collaborazione con il Governo, ritenendo di poter favorire in questo modo l’evoluzione legalitaria del Fascismo. In realtà, sono mossi dalla paura poiché è sufficiente che Mussolini minacci una nuova ondata squadrista perché si ritirino in buon ordine. La Commissione approva, con dieci voti contro otto, il disegno di legge governativo.
Giungiamo così alla votazione in aula, legata a quella della fiducia al governo, e alla presenza di squadristi armati sulle tribune di Montecitorio. Nel suo discorso, Mussolini si muove su due terreni.
Carota e manganello
Quello della trattativa e della normalizzazione, apparenti, e quello delle minacce del ricorso alla forza, anticipato da un peggioramento della violenza squadrista nei giorni precedenti alla votazione e da voci di un possibile assalto al Parlamento. Turati, nel suo discorso in aula, afferma con lungimiranza: “Siamo forse a una delle ultime sedute parlamentari della vecchia Camera, anzi della vecchia Italia”.
Scrive Giovanni Sabbatucci nel suo splendido libro “Partiti e culture politiche nell’Italia unita”. “Se i popolari avessero mantenuto le loro posizioni, se almeno una parte dei riformisti di Bonomi e dei democratici amendoliani avessero votato contro il governo … il disegno di legge sarebbe stato respinto con largo margine”. E invece, i Popolari, spaccati, senza un leader e influenzati dal Vaticano, decidono in maggior parte di astenersi, 8 votano contro, 9 a favore. La legge Acerbo viene approvata nei principi fondamentali con 235 voti favorevoli, 139 contrari e 77 astenuti. Vi sarebbe ancora la possibilità di bocciare la legge nella votazione dei singoli emendamenti e in quella finale a scrutinio segreto ma, anche per l’astensionismo di quasi duecento membri dell’opposizione, i voti contrari sono 123 e i favorevoli 233.
L’illusione della normalizzazione del movimento fascista
Sempre Sabbatucci, rievocando un’espressione di Calamandrei, scrive: “In questo senso, l’approvazione di quella legge da parte di quella Camera si può annoverare fra i classici di suicidio di un’assemblea rappresentativa, accanto a quello del Reichstag, che vota i pieni poteri a Hitler nel marzo del 33’ o a quello dell’Assemblea nazionale francese che consegna il Paese a Pétain nel luglio del 40’”.
Un voto autolesionistico prodotto dall’illusione della normalizzazione del movimento fascista e soprattutto dalla paura fisica dello squadrismo. Un voto che trasforma una democrazia rappresentativa in una democrazia plebiscitaria, con un premio di maggioranza sproporzionato rispetto al quorum necessario per farlo scattare a favore di una lista bloccata di nominati dal vertice del Partito.
Violenza, intimidazioni e brogli
Alle successive elezioni, avvenute in un clima di violenza, intimidazioni e brogli, come denuncerà poi Matteotti, il listone fascista, al quale partecipano per paura ed opportunismo anche numerosi cosiddetti “fiancheggiatori” provenienti da altri Partiti, ottiene il 60,1% dei suffragi. Il successo si concretizza soprattutto al sud e fuori dai grandi centri urbani nei quali le autorità garantiscono un formale rispetto della libertà di voto. Grazie a questa vittoria, la Camera controllata da Mussolini varerà le leggi con cui verrà instaurata la dittatura e l’Italia precipiterà nell’abisso. Sembrano eventi lontani, che non si possano ripetere. Eppure, nel Paese la democrazia è già da tempo in crisi, anche a causa dell’attuale legge elettorale e di un indebolimento del Parlamento a favore del governo, la coscienza civile è debole e riaffiora costantemente il servilismo. E’ sempre bene, dunque, vigilare sul rispetto dei principi della liberaldemocrazia e sulla difesa della Costituzione contro ogni tentativo di instaurare il cosiddetto “premierato”.
Lorenzo Bianchi