Qualche giorno fa ho avuto il piacere di conoscere l’astronauta Paolo Nespoli ad un interessante incontro con Franklin Templeton.
Ritengo importante incontrare i gestori di persona, ascoltare in concreto come investono i soldi che consegno loro in delega. Molte cose non le percepisci in un factsheet. Il confronto permette di capire la disciplina e l’ispirazione che guida i team d’investimento, capire i punti di forza, come vengono gestite le situazioni avverse e gli eventuali errori.
L’occasione mi ha permesso di vedere nuove opportunità d’investimento per il lungo termine e capire meglio la situazione attuale in tema di vaccini.
L’intervento di Paolo Nespoli ha acceso in me molte riflessioni, essendo ispirate da un astronauta ovviamente saranno molto, molto alte.
Darwin ci ha insegnato che la vita è un cambiamento continuo. Per la maggior parte delle volte il cambiamento è una crisi del sistema precedente, comporta fatica e stress.
Il celebre biologo inglese ha statuito che a tali cambiamenti sopravvive solo chi si adatta, non per forza il più forte, io direi il più flessibile.
La tecnologia è sicuramente il principale cambiamento in atto, sarà parte di noi e noi parte di lei.
Una riflessione interessante dell’ing. Nespoli è stata un’analisi dei trend di cambiamento in atto tra noi e le macchine. Noi stiamo diventando sempre più macchine: pensate alle protesi, agli occhiali, ai pacemaker; mentre le macchine stanno diventando sempre più umane, pensate ai call center automatizzati multilingua, all’intelligenza artificiale, al machine learning.
Ad oggi il famoso test di Turing, non è stato ancora superato, in un futuro, magari molto distante, magari non troppo, sarà difficile distinguere tra uomini, macchine e cyborg, una nuova discriminazione da combattere.
Opporsi al cambiamento, non accettarlo, contrastarlo, porta all’estinzione.
È necessario prenderne atto e con flessibilità abbracciarlo, cavalcarlo, integrarlo nella nostra vita, pagando il prezzo della fatica e dell’adattamento.
Cosa significa quindi adattarsi? Chi cavalca l’adattamento?
Adattarsi è una cosa che nella nostra tradizione è stata spesso denigrata dal falso mito della perfezione: significa errare, sbagliare, fallire.
La perfezione è un sortilegio dei più crudeli; anche i perfezionisti, nel loro quotidiano crogiolarsi, sanno d’inseguire una chimera irraggiungibile.
Io personalmente e credo molti Italiani come me, sono cresciuto con il mito del perfetto, basti pensare alla nostra storia, alle opere d’arte, alle storie di successo.
La recente comunicazione mediatica, poi, per ovvie ragioni di ascolto, ha estremizzato il tutto, eliminando dal risultato perfetto il percorso, fatto per la maggior parte di: tempo, fatica, noia ed errori.
Non tralascerei il fatto che il successo è raro, la maggior parte è solo un coraggioso tentativo.
Lo sanno bene gli startupper…
La ricerca della perfezione tende quindi ad evitare le situazioni che possono portare al fallimento.
L’obiettivo dei più è pianificare la vita evitando le cose che non hanno senso, che non hanno un fine misurabile in termini reali, spesso economici.
Quest’ultimo punto è la morte del cavaliere dell’adattamento ovvero l’innovazione.
Tutti conoscono la celebre frase di Steve Jobs: “stay hungry, stay foolish”
Provare a raggiungere l’irrazionale, l’impossibile è la strada per sicuri fallimenti ed errori.
Proprio questi sbagli portano ad innovare, a cercare una nuova strada che da un obiettivo fantastico generi un risultato concreto, che cambi il modo di vedere e vivere una parte del mondo.
Quanto ho scritto sopra è stato il concetto espresso da Nespoli quando gli hanno chiesto che senso aveva cercare di arrivare su Marte, obiettando che non aveva senso spendere miliardi di dollari, rischiare la vita per raggiungere un pianeta quasi sicuramente inabitabile…
Stay foolish chioserebbe anche Elon Musk…
Infine la prospettiva dell’astronauta ha ispirato queste ultime riflessioni legate al titolo.
Micro e Macro, Infinito e quantico…
Vista dallo spazio la terra non ha confini, non c’è nazione, città, quartiere, il punto di vista macro unisce tutto, elimina le differenze.
Se pensiamo però a quanto siamo piccoli rispetto all’universo ancora di più le differenze che creiamo risultano marginali, se non forse insignificanti.
Anche nel mondo quantico però c’è unità, siamo tutti fatti di particelle.
L’infinito non è l’opposto, anzi, anche in questo caso vi è un evidente segno di connessione nel simbolo matematico che lo contraddistingue: ∞
Se nell’antichità pensavamo che la cosa più piccola fosse un granello di sabbia, poi abbiamo scoperto l’atomo identificandolo come minimo termine, poi abbiamo scoperto gli elettroni, i protoni e i neutroni e ci siamo ricreduti ponendo un altro limite, ma anche qui poi siamo riusciti a scoprire i quark, attualmente la particella più piccola dell’universo.
Non è possibile stabilire con certezza che oltre al quark non esista qualcosa di più piccolo, io immagino un universo che si sviluppa all’infinito nel micro e nel macro concedendoci un infinito numero di possibilità che escludono quindi l’impossibile. Un universo unito e interconnesso in cui uno è tutto e tutto è uno.
Se quindi l’impossibile non esiste è ragionevolmente inutile limitarci al razionale o con delle differenze che scompaiono facilmente in base a quanto ingrandiamo o rimpiccioliamo il nostro punto di vista.
Giorgio Rivadossi