Il commissario Ricciardi non è certo un allegrone, anche perché avere le anime di coloro che sono morti che continuano ad agitarsi di fronte a te (e tu solo le puoi vedere) perché ti chiedono di fare giustizia di chi ha causato una morte violenta non deve essere una facoltà che induce alla spensieratezza. Io penso che se soltanto venti anni fa qualcuno avesse proposto una fiction con il personaggio creato da Maurizio De Giovanni, il tentativo sarebbe sicuramente andato nel vuoto. Invece la fiction, diretta da Alessandro D’Alatri e interpretata da uno straordinario Lino Guanciale, sta dominando gli ascolti ed è sicuramente il caso dell’anno. Non solo. I romanzi sono stati come sappiamo un grande successo, e si vendono molto anche i fumetti che sono stati proposti da un anno a questa parte a cura di Sergio Bonelli Editore, la corazzata italiana del fumetto. E Maurizio De Giovanni si avvia a diventare il nuovo Camilleri: essendo persona simpaticissima e tifoso fortemente anti iuventino, non possiamo non esserne felici.
Però il personaggio di Ricciardi merita un approfondimento. Ci dice che anche il pubblico più tradizionale, quello delle fiction di Raiuno (Dagospia lo ha brillantemente ribattezzato il pubblico dei telemorenti), sta cambiando. Chissà. forse ci libereremo di Don Matteo e dei suoi buoni sentimenti. In Ricciardi di buoni sentimenti non ce ne sono troppi, anche perché il commissario agisce mentre intorno a sé la macchina di propaganda del fascismo fa sì che tutto debba essere raccontato al meglio, senza scandali, senza che i potenti vengano messi in discussione. Lui non alza mai la voce ma fa sempre quello che vuole lui. Il capo della polizia non ne è affatto contento, ma deve rassegnarsi. Chissà, se invece di indagare su delitti a Napoli avesse indagato sulle nomine agli alti comandi avrebbe reso noto che il maresciallo Badoglio, prima di diventare l’eroe del trasformismo, era stato uno dei maggiori responsabili della disfatta di Caporetto. Chissà, magari avrebbe scoperto e reso noto che in Etiopia e in Libia gli italiani avevano usato di gas e che Graziani era un criminale di guerra. Per adesso accontentiamoci del fatto che sa come trattare questori e prefetti. Chissà, in futuro…
La regia è asciutta, rifugge da un altro difetto endemico delle fiction di Raiuno, quello di dilatare i tempi per raggiungere le due ore di durata canonica. Almeno nelle prime due puntate, una narrazione di due ore corrisponde ad avvenimenti che meritano due ore di attenzione. Un tenore assassinato e una sartina incinta, non c’è nemmeno spazio per la melassa raccontata dal prete con gli occhi azzurri. De Giovanni dimostra di conoscere le regole del melodramma, ambientando un omicidio proprio durante una Cavalleria rusticana. Nel melodramma, i sentimenti prevalgono sulla razionalità. E nella vita, nella vita vera, sono molto più importanti di quanto si pensi. Forse la via del successo passa anche da qui.
Steve Della Casa