Nel Centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti la sua figura è finalmente stata portata alla ribalta. Ed era ora! Numerosi e incontestabili, consolidati e approfonditi, sono gli studi e i contributi su quello spietato assassinio di regime. La sua figura mi ha appassionato. Ho trovato particolarmente stimolanti le sue ricerche e la sua attività nel periodo precedente il 30 maggio 1924, giorno del suo famoso ultimo discorso in Parlamento. Nell’esaminare il materiale cui ho voluto attingere ho individuato quattro argomenti che mi sono sembrati particolarmente significativi e stimolanti: la scuola e l’istruzione; il pacifismo; l’unità della Sinistra; la connivenza del potere costituito con la violenza illegale.
La promozione dell’alfabetizzazione, dell’istruzione e quindi del ruolo della scuola quale strumento primario per l’emancipazione del proletariato, è sempre stato un “pallino” di Matteotti nei vari stadi della sua carriera politica. Alla morte del fratello Matteo l’importo di ben 50.000 lire del patrimonio di quest’ultimo (equivalente oggi ad oltre 250.000 euro) fu devoluto al Comune di Fratta Polesine per l’edificazione di una scuola.
La famiglia Matteotti era molto benestante e Giacomo si era costruito una cultura vasta, approfondita e raffinata: conosceva bene inglese, francese e tedesco. Aveva effettuato soggiorni di studio all’estero e i suoi studi di Diritto Penale sulla recidiva sono coerenti con una visione di emancipazione degli strati più umili della popolazione. Già nel settembre 1914 Matteotti si è reso protagonista di un acceso scambio epistolare con il Provveditore agli Studi di Rovigo per i disservizi della nomina degli insegnanti, per la promozione di scuole serali e aveva animato una ricerca “a tappeto” per promuovere il diritto allo studio per i bimbi delle famiglie più bisognose.
Questo suo interesse aveva provocato la stizzita reazione dei benpensanti, che ironizzavano acidamente sul “socialista impellicciato”. Sia come Consigliere Comunale sia come Consigliere Provinciale sia come Parlamentare fin dal suo primo mandato Matteotti ha sempre speso studi ed energie per promuovere un vasto programma di istruzione. Aveva scritto: “Vogliamo noi veramente che la scuola sia una preparazione per l’officina, per il lavoro? No, assolutamente; la scuola dev’essere qualche cosa per cui almeno per quattro o cinque anni la gente del popolo non pensi alla preparazione del lavoro manuale, impari qualche cosa che sia fuori dal lavoro immediato, impari anche delle astrazioni (…) vogliamo che questo insegnamento sia libero, poetico, astratto”.
I miei amici e conoscenti insegnanti, alla lettura di questo passo, si illuminano. Giovane parlamentare, in una seduta del novembre 1920 ha persino strapazzato Benedetto Croce, all’epoca Ministro dell’Istruzione: “Precisamente perché Lei è un uomo di ingegno negli studi, tanto più è deplorevole la Sua inefficacia al Ministero (…)”. Quanto al pacifismo “senza se e senza ma”, esso ha costituito un cardine del pensiero di Matteotti, nonché, come ovvio, un elemento di aperto ed aspro scontro con Benito Mussolini, che – come noto -nel volgere di pochi giorni rovesciò completamente il suo punto di vista.
“Due mesi fa scrivevo a Mussolini, che allora fingeva di darmi ragione per farmi tacere: noi non possiamo acconsentire a mobilitazioni o chiamate alle armi; se negli altri Paesi il Partito Socialista è scomparso, tanto maggiore è il nostro dovere; noi dobbiamo (…) saper saldare il primo anello della grande catena internazionale (…)”.
Mi piace ricordare che nei suoi interventi in materia Matteotti aveva richiamato l’importanza dei principi affermati dalla Seconda Internazionale per cui i proletari non dovessero prestarsi a logiche belligeranti nell’interesse della classe e dell’economia capitalista. Le sue vibrate prese di posizione avvenivano – come abbiamo appena visto – nella convinzione che i partiti socialisti degli altri Paesi europei fossero in grado di muoversi in tale direzione. Purtroppo furono intrappolati nella logica per cui “quando la casa brucia …”.
Riformato dal servizio militare, fu talmente temuto come propagandista pacifista, da essere ciononostante chiamato alle armi. Non solo. Resisi conto della sua capacità capillare di svolgere attività politica, fu sottoposto dalle Autorità militari a una serie interminabile di trasferimenti. Alla fine fu spedito in Sicilia, ben isolato e così “neutralizzato”. Ne approfittò per riprendere gli studi di Diritto Penale (avrebbe avuto davanti a sé una brillante carriera universitaria) dedicandosi alla stesura del suo trattato sul procedimento di Cassazione. Quanto al dolentissimo argomento dell’unità della Sinistra, lui è stato fin dall’inizio convinto e irremovibile riformista. E del Riformismo aveva compreso tutto il drammatico dilemma.
Già all’età di 26 anni, nel 1911, aveva scritto: “(…) come volete far(…) capire che si potrà avere un Ministro socialista con la monarchia essendo antimonarchici; che il Socialismo andrà al governo borghese per rovesciare il sistema borghese? (…) Questo metodo penetrativo, fatto di fermezza e di interesse fondamentale e di pieghevolezze e duttilità esteriori; fatto di transigenze formali e di intransigenza sostanziale (…) richiede un lavoro enorme (…): propaganda e organizzazione, revisione teorica e azione pratica, studio ed esperimento, preparazione, tecnica per le riforme legislative, preparazione per l’opera amministrativa dei Comuni; facoltà di comprendere l’ideale e il reale, l’immediato e il lontano (…)”.
Non era facile essere riformisti nel Partito Socialista a maggioranza massimalista. Il demone della Sinistra che già si era manifestato con la scissione comunista del 1921 si ripropone nel tragico anno della primavera nera del 1922, che pone le basi per la Marcia su Roma. Il Partito Socialista manifestò una pulsione suicida espellendo pochi giorni prima della Marcia su Roma proprio la componente riformista.
E ciò perché … Turati si era recato dal Re nel tentativo in extremis di propiziare un argine liberal-democratico alla montante marea fascista. Questo argomento si salda con quello del rapporto tra ordine costituito e violenza: ripetutamente in vibrati discorsi Matteotti aveva accusato l’inerzia del Governo e delle pubbliche Autorità di fronte alle violenze fasciste come un segno di complicità.
A rileggere taluni suoi discorsi mi vengono in mente i rapporti tra la Destra eversiva e le Autorità dell’ordine costituito negli anni 70 del Novecento, il gorgo della “strategia della tensione”. Nel 1921 in Parlamento aveva declamato: “La classe che detiene il privilegio economico, che ha con sé la Magistratura, la Polizia, il Governo, l’Esercito, ritiene giunto il momento in cui essa, per difendere i suoi privilegi, esce dalla legalità e si arma contro il proletariato”. Sappiamo com’è andata tragicamente a finire. Da una parte la disfatta delle opposizioni sull’Aventino e dall’altra la tragica conclusione dell’azzardo liberale e cattolico nell’apertura di credito concessa al Fascismo.
È stato acutamente scritto che, se gli altri vedevano i Fascisti, Matteotti aveva visto il Fascismo; se gli altri vedevano i reati, lui aveva visto l’eversione avanzare. Li ha visti arrivare e li ha ripetutamente denunciati. E li ha denunciati non solo con ripetuti vibranti discorsi in Parlamento; non solo con la pubblicazione di Un anno di dominazione fascista, ma anche con la famosa Circolare con la quale invitava tutti i militanti Socialisti a raccogliere minuziosamente dati e informazioni su tutte le violenze commesse dai Fascisti.
Con la consueta precisione, con l’amore per il dato, il numero, la statistica, che lo distingueva, voleva esporre inconfutabilmente, dati alla mano, il sostrato violento del partito di Mussolini. Voleva smantellarne la propaganda, mostrando le incongruenze, le insanabili contraddizioni tra i principi e gli obiettivi annunciati (da una parte) e la concreta pratica politica quotidiana (dall’altra).
Già nel maggio 1923 il giornale di Mussolini aveva scritto nero su bianco: “Quanto al Matteotti – volgare mistificatore, notissimo vigliacco e spregevolissimo ruffiano – sarà bene che egli si guardi. Se dovesse capitargli di trovarsi con la testa rotta (ma proprio rotta) non sarà certo in diritto di dolersi”. Dopo il discorso in Parlamento del 30 maggio 1924 il giornale di Mussolini (che era divenuto livido nell’ascoltare Matteotti) rincarò la dose, qualificandolo “mostruosamente provocatorio”.
Ci pensarono allora i Fascisti contigui a Mussolini e al Governo, ex Arditi, ex Caimani del Piave capeggiati da Dumini, a realizzare il desiderio così a chiare lettere manifestato. Mussolini nel famoso discorso del 3 gennaio 1925 si assunse la responsabilità “politica, storica, morale di tutto quanto è avvenuto”. Al processo, Dumini fu difeso da Farinacci: quale maggiore sigillo di ufficialità del sostegno del Partito Nazionale Fascista all’assassinio? Farinacci produsse agli atti un esemplare di Un anno di dominazione fascista nella versione tradotta in tedesco per … processare la vittima, per dimostrare l’intento di Matteotti di danneggiare l’immagine dell’Italia all’estero.
Mi sovvengono le stupefacenti dichiarazioni del nostro attuale Presidente del Consiglio sull’iniziativa assunta da alcuni Parlamentari per segnalare, in sede europea, il contrasto tra l’iniziativa governativa sui migranti da “esportare” in territorio albanese ed i principi sovranazionali. Ricordo i toni, gli accenti, le scelte lessicali. Quando l’ho sentita, sono rimasto a bocca aperta. A Matteotti, però, la bocca l’hanno chiusa.
Claudio Zucchellini