Il contributo del nostro autorevole collaboratore Corrado Poli mi ha lasciato perplesso: aldilà del merito delle tesi sostenute (da vecchio liberale sono sempre disponibile ad ascoltare le opinioni più diverse dalla mia: dopodiché mi prendo anche tutto il diritto di rifletterci sopra e di contestarle) mi chiedo cosa ci servano dei ragionamenti del genere?
Che “tutto il mondo è paese” e che quindi quello che è successo in Russia durante i processi, la carcerazione, la morte e le condotte tenute dalle autorità a seguito del decesso del prigioniero, succede ovunque? Non dobbiamo stupirci e gridare allo scandalo… ovunque le cose capitano così.

Visto che la tesi di Poli è che la maggior parte dei media internazionali ha basato l’impostazione dei suoi articoli su pregiudizi e su sentenze già pronunciate prima di un accertamento dei fatti, cosa dovremmo fare? Accettare le sue riflessioni e quindi concludere che l’assassinio dei dissidenti fa parte di una sceneggiatura scritta da tutti i potenti del mondo a prescindere se siano rappresentanti di democrazie o di autarchie o peggio di regimi criminali? Non ci sto!
Non mi aiuta a cercare di comprendere una realtà complessa, contraddittoria e caratterizzata da guerre, stragi di civili, arresti ed esecuzioni in piazza di dissidenti, atroci “cacce alle streghe” contro le donne per come si vestono o per come manifestano e loro pensiero. Non mi serve a niente.

Cerco di chiarire il mio pensiero. Parto da un presupposto per articolare un ragionamento distinto e distante da quello esposto dal nostro collaboratore. I dittatori ci hanno dimostrato ripetutamente e la Storia, con la S maiuscola, è piena zeppa di esempi di questo genere, che non vogliono avere tra i piedi delle teste calde e pensanti che non si allineano, da sudditi, alle loro istruzioni… d’altronde non discutibili. Il popolo che, in certi casi (non chiedetemi il “come”) li ha addirittura votati, o si ammassa nelle piazze ad applaudire od osannare il dux di turno oppure non si occupa di politica, non manifesta idee diverse da quelle propagandate dal dittatore, perché se no il regime interviene, prima in maniera convincente ma non violenta poi, in caso di recidive, con un escalation che porta prima alla carcerazione e poi anche all’assassinio dei dissidenti.

Abbiamo anche visto dei regimi che hanno “suicidato” coloro che avevano osato proferire critiche o contestazioni al leader del governo, a quell’uomo “solo al comando“che non ammette certe condotte e certi tipi di reazioni dai suoi concittadini.
Personalmente, ritengo che quando la notorietà del dissidente diventa sempre più popolare, il dittatore di turno perda di lucidità, gli venga, come si dice, “il sangue alla testa”. Non ragiona più in termini di rischio e di convenienza sul decidere l’eliminazione di un avversario politico, ma si lascia andare all’istinto, quello più feroce, quello che non ammette repliche: le voci “fuori dal coro” che riscuotono tanti successi nelle nazioni nemiche, che scatenano le piazze nelle capitali dei paesi che non vedono l’ora di distruggerci – sembrano pensare i dittatori – devono essere eliminate, senza “se” e senza “ma”.

Con la loro opposizione, rigida e gridata mettono in dubbio la sicurezza proprio del dittatore, “costringendolo“ alla decisione fatale: cercate di farlo fuori in modo tale che sembri un incidente e non un omicidio. Ma fatelo fuori… subito! Adesso basta! Me ne assumo io ogni responsabilità. Questa potrebbe essere la sceneggiatura di tanti casi analoghi. Quest’anno in Italia ricorre l’anniversario dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, sequestrato e poi barbaramente ucciso da un comando di fascisti… a cui “qualcuno” aveva ordinato di portare a termine quella missione.
Le analogie sono numerose e consiglio a tutti la lettura di un libro uscito proprio in questi giorni (Il nemico di Mussolini- Solferino) che racconta la storia di questo coraggioso socialista che decise di rimanere in Parlamento contestando puntualmente, giorno per giorno, tutte le magagne più o meno esecrabili di Mussolini e della sua banda.

Matteotti preferì, invece di andare in esilio, di rimanere a Roma e studiare i fascicoli, approfondire i casi e poi preparare delle denunce e delle contestazione sulle malversazioni e sulla corruzione del regime fascista. Nonostante le numerose minacce ricevute, Matteotti ha voluto rimanere al suo posto e ha pagato con la vita questa scelta operata nell’interesse di tutti noi che intanto, come oggi fa Poli, discutevamo sull’estremismo e faziosità di alcune accuse formulate da Matteotti o sui pregiudizi che regnavano nelle sue proteste al regime Mussoliniano. Potrei citare anche il caso, ben diverso ovviamente, ma analogo nelle conclusioni, delle relazioni intercorse fra Stalin e Trotsky: alleati ed amici nel percorso mirato ad allargare la rivoluzione bolscevica dai grandi centri della Russia a tutto il suo sconfinato territorio.

Poi, una volta che l’obiettivo fu raggiunto e quando bisognava pianificare la Russia figlia dei sogni e della determinazione di Lenin, i due grandi protagonisti della rivoluzione di ottobre incominciarono a fare scintille, tra di loro, proprio per imporre le proprie idee e poterle attuare con efficacia senza il fastidioso contraddittorio di un’altra voce importante, nota e considerata come un eroe della rivoluzione del 1917. Anche in quel caso, il dittatore Stalin decise di risolvere la questione alla radice: fece assoldare un killer con il mandato di eliminare quel fastidioso dissidente, ex amico ma ormai contaminato dai nemici di Mosca. Certo che dai comodi salotti delle nostre abitazioni in Italia non sappiamo nulla, nel dettaglio, di quello che sia successo in quel tremendo Gulag dov’era incarcerato Aleksej Navalny.

Sappiamo, però, che un uomo che aveva deciso di tornare nel suo paese nonostante sapesse la fine che avrebbe rischiato di fare, è stato ucciso, dopo anni di reclusione, caratterizzata da nefandezze di ogni genere. Personalmente, mi basta questo per non offrire a Putin l’opportunità di poter pensare, cosa che dice di pensare, che il suo regime può contare su una rete di consensi in diversi paesi dell’Occidente. Tutto il resto, purtroppo, ormai è storia: una storia tragica che ci obbliga a riflettere su quanto sia importante vivere in un paese democratico in cui sia Poli sia il sottoscritto possono esprimere le loro opinioni senza censure o senza il rischio di sentire suonare il citofono e trovarsi di fronte la polizia politica che procede all’arresto, come rischieremmo di vivere se abitassimo a Mosca.

Penso che noi stiamo sottostimando il valore della nostra democrazia conquistata anche con il sacrificio della vita di gente come Navalny o come Matteotti. Non dimenticandoci mai che questa testata proprio per il potente messaggio che trasferisce nella sua denominazione, permetterà sempre a tutti quelli che vogliono esprimere le loro opinioni in maniera non violenta e ragionata, di farlo e di continuare a farlo nella più assoluta libertà di pensiero.

Riccardo Rossotto

Riccardo Rossotto

"Per chi non mi conoscesse, sono un "animale italiano", avvocato, ex giornalista, appassionato di storia e soprattutto curioso del mondo". Riccardo Rossotto è il presidente dell'Editrice L'Incontro srl

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