Agnes Heller compirà il 12 maggio 90 anni. Filosofa, allieva e assistente di Gyorgy Lukacs, esponente della scuola di Budapest ha attraversato i totalitarismi del ‘900, sopravvivendo agli orrori dell’olocausto e poi alla dominazione comunista. Teorica dei bisogni radicali e della rivoluzione della vita quotidiana, ha vissuto e insegnato in Australia e negli Stati Uniti, oggi è tornata in Ungheria.
Orbanismo, il caso dell’Ungheria: dalla democrazia illiberale alla tirannia (Castelvecchi, 2019), è un breve saggio più un’intervista del 2018 che la filosofa ungherese dedica alla situazione del suo paese. Alla caduta del muro di Berlino l’Ungheria esce dalla dittatura comunista in modo morbido e per certi versi inatteso. Fatta eccezione per qualche migliaio d’intellettuali e resistenti il paese, dopo la tentata rivoluzione del 56, si era adagiato sull’esistente, coabitando con il regime.
Alla caduta del muro di Berlino, i partiti democratici che traghettano l’Ungheria lontano dal comunismo verso l’Europa e il mercato, sono incapaci di coinvolgere pienamente la popolazione, di uscire dal proprio passato con trasparenza e decisione. “… essi non avevano la minima idea del popolo che avrebbero dovuto governare. L’Ungheria non era mai stata una democrazia liberale. Gli ungheresi erano stati ed erano rimasti sudditi, non cittadini. Erano avvezzi a governi dispotici e totalitari”.
C’è però un uomo che capisce e ben interpreta a proprio favore questa situazione. Viktor Orban, leader di un piccolo partito liberale collocato a sinistra, inverte la rotta e va a colmare il vuoto politico nella destra ultra-conservatrice. A colpi di referendum e riforme della Costituzione Orban controlla il paese, limita la libertà di stampa, pone fine alla separazione tra legislativo ed esecutivo, vara una nuova legge elettorale che ostacola l’alternanza, controlla le università pubbliche e l’insegnamento. Nasce quella che Orban stesso definisce “la democrazia illiberale”, un nuovo modello di tirannia secondo la Heller, l’Orbanistan.
I tiranni s’ispirano l’uno con l’altro, Putin e Erdogan, guidano Orban, dominano in un clima di tensione negativa, “le orde dei migranti” ci distruggeranno, e cercano un nemico da usare come bersaglio. Orban ha trovato George Soros, simbolo perfetto del male, ebreo, miliardario, attivista politico, sostenitore dell’integrazione e della società aperta, rappresentante delle elite. Orban veste Soros da diavolo e ci fa la campagna elettorale, con successo. Il modello sembra funzionare e diventare attrattivo. Orban ha definito Matteo Salvini “il suo eroe”, ricambiato dal nostro Vicepremier che ha detto che “l’amico Viktor è un punto fermo”.
La Heller ricorda che il nazionalismo ha sempre bisogno di un nemico per stare a galla. Oggi l’obiettivo è prendere il controllo dell’Unione Europea, non lasciarla. Fino a quando non ci riusciranno il nemico c’è. E dopo? Dopo il nemico di uno Stato nazionale è sempre un altro Stato nazionale, con ciò che ne consegue e che gli europei ben conoscono.
Da leggere entro il 26 maggio. Per chi pensa che destra e sinistra siano categorie finite.
Andrea Bairati