Ma guarda chi salta fuori: “L’Operaio che vinse contro i mulini a vento”.
Il mondo materiale sarà anche piccolo e banale per gli appassionati di “realtà aumentata”, ma riserva ancora sorprese interessanti.

Una vicenda giudiziaria che fece epoca

L’altro giorno un mio collega è andato a un incontro per una questione di lavoro domestico presso un Sindacato minoritario. Da lì è tornato con in mano un librino: L’Operaio che vinse contro i mulini a vento – edizioni Mimesis, autore Francesco Casarolli. E aveva incontrato proprio l’autore in persona. Il collega è giovane e non sapeva nulla della vicenda che io, invece, ricordavo, perché fece epoca. Merita queste righe.

Quando le fabbriche erano fabbriche e le tute blu, tute blu…

Nei primi anni ’90, quando ancora qua e là le fabbriche erano fabbriche, le tute blu tute blu e le lotte sindacali lotte sindacali alla Breda – poi divenuta Ansaldo – di Sesto San Giovanni (all’epoca denominata “Stalingrado d’Italia”, roccaforte del Partito Comunista, oggi governata da un Sindaco leghista), lavorava Francesco Casarolli. Operaio subito sindacalizzato, si mette in luce nel corso di una delegazione di massa per protestare contro le proibitive condizioni di lavoro del suo reparto (fonderie). Al direttore che cincischia e pontifica lancia una sfida: “Venga giù lei a vedere!”.

Semplice buonsenso, vero?

Infatti, la cosa ha funzionato. L’Ingegnere si è tolto la giacca, si è messo la tuta, è sceso in reparto con gli operai e dopo una mezz’oretta, vista la situazione, scottato dal calore e respirati ben bene i fumi, ha fatto alcune concessioni.
Questo è lo stile che Casarolli sembra aver sempre mantenuto: pane al pane, vino al vino. Gli operai sono operai, i padroni sono padroni. Uno stile combattivo e a un certo punto divenuto persino spiazzante. Dopo un po’ l’Azienda si rende conto che questo è un soggetto davvero scomodo: ruviduccio e poco incline ai “mezzucci”. Inizia quindi una guerra unilaterale di logoramento. Raffiche di sanzioni disciplinari poi sempre conciliate davanti al Giudice (ma intanto il lavoratore deve promuovere la causa). E poi via via tre licenziamenti tutti dichiarati illegittimi con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro.

… e poi arrivò la Legge Fornero

A quei tempi la reintegrazione costituiva di regola la sanzione prevista dalla legge al licenziamento dichiarato illegittimo. Poi con la Legge Fornero è diventata praticamente un’eccezione e con il Jobs Act una “mosca bianca” (ma questo è un discorso complicato, sul quale qui sorvolo). Al Casarolli offrono anche somme ingenti per “togliersi dai piedi”, ma lui ritiene di non aver fatto niente di male, vuole stare al suo posto e continuare a fare politica sindacale.

L’operaio tira dritto per la sua strada

Si accorge che su alcune questioni cruciali che investono il futuro dell’Azienda – e quindi i posti di lavoro – si aprono sì i tavoli di trattativa, ma in realtà le decisioni per quanto riguarda il Sindacato sono assunte nei “piani alti” (e quindi la trattativa in loco di fatto è una pantomima). Rompe coi Sindacati Confederali e fonda, insieme ad altri, un Sindacato nuovo. A quel punto – scrive nel libro – i fronti su cui si trova a combattere sono due: non più solo l’Azienda, ma anche i Confederali che, a sentir lui, gliela giurano.

La morsa della Triade si stringe

Isolato e delegittimato dalla Triade in pieno tempo di “concertazione” deve lottare per far eseguire una sentenza di reintegrazione (l’Azienda intende pagargli lo stipendio, ma lasciarlo a casa). Si pone la questione, delicatuccia in diritto, della “esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo di fare infungibile”.
Tra l’altro – scrive – quando è sul posto di lavoro viene coniata una procedura su misura tutta per lui. Al’ingresso viene identificato coi documenti tutti i santi giorni, accompagnato da un Vigilante sul posto di lavoro e – a quanto sembra – guardato a vista per tutta la giornata. Anche il percorso per arrivare al suo posto viene realizzato in modo speciale. Insomma, chiunque di noi esclamerebbe: “C’è da schiattare!”.

Il danno biologico del lavoratore causato dal datore di lavoro

Infatti lui inizia a star male di salute ed è lì – scrive – che anche il matrimonio comincia a scricchiolare fino a infrangersi. Si pone la questione se sia configurabile un danno ulteriore e diverso rispetto al danno conseguente ai licenziamenti illegittimi, (danno che viene ristorato con il pagamento degli stipendi arretrati), se il suo malessere abbia i caratteri del danno biologico (quindi della lesione dell’integrità psicofisica), e se si possa dimostrare che questo malessere, questo danno, sia stato causato proprio dal comportamento del datore di lavoro.

Una “brutta gatta da pelare”

La questione in diritto è assai complessa, una “brutta gatta da pelare” senza precedenti noti. Ci sono voluti i bravissimi Avvocati che l’hanno seguito per anni e anni per lavorare su questo problema che a quell’epoca (siamo ancora nei primi anni ’90) appariva nuovo. Solo dopo sono stati individuati i contorni della questione che è stata denominata mobbing (l’inglesismo è dovuto al fatto che all’estero già si era studiato il problema). Si trattò di un capitolo delicato in diritto che, come accade per ogni svolta, è costato fatica e intelligenza. Poi ha subito, come qualche volta accade, la deriva propria di talune mode.
Dopo il primo decennio degli anni Duemila di mobbing si è iniziato a parlare e a straparlare a proposito e a sproposito.

Mobbing: una questione delicata e insidiosa

Personalmente ho gestito per la parte del datore di lavoro diversi procedimenti aventi ad oggetto domande risarcitorie per mobbing. Devo dire, tirando le somme, che nella mia esperienza si è trattato di espedienti del dipendente per alzare il prezzo di una risoluzione del rapporto di lavoro. Difendersi dai comportamenti subdoli rimane difficile e non tutti i comportamenti subdoli acquisiscono i contorni di un fatto ingiusto per la legge.

Un importante leading case

La vicenda di Francesco Casarolli, giudicata in primo grado con una sentenza vittoriosa nel 1995, rimane un leading case, un prezioso punto di riferimento concettuale. E questo a prescindere dall’esito dei successivi gradi di giudizio nei quali non è stata riconosciuta l’esistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell’azienda e le conseguenze lamentate sul piano del danno alla salute.

Un sindacalista mai addomesticato

Gli avvocati che l’hanno assistito erano componenti di uno Studio che a Milano è stato un’autentica “corazzata” della tutela giudiziaria dei lavoratori. Giustamente  animati dal senso di giustizia e investiti con piena consapevolezza della funzione sociale dell’Avvocato hanno intrapreso un’iniziativa innovativa e coraggiosa che merita di essere ricordata. Guardate un po’: da una vicenda di lavoro domestico è riemersa la storia del sindacalista mai “addomesticato”…

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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