Ha il sapore della medaglia alla memoria, della celebrazione di facciata, della pacca sulla spalla che consola (neanche tantissimo), ma che di fatto dovrebbe lasciare più dubbi che mimose.
Per non entrare nella discussione di principio, basta restare ai numeri. Esiste una classifica mondiale che definisce il cosiddetto gender gap: lo svantaggio che si crea tra uomini e donne in una società. Lo stabilisce il World Economic Forum nel suo report.
Dal report 2018 all’edizione 2020, l’Italia è riuscita a perdere sei posti e piazzarsi al disonorevole 76 posto. Una classifica che, se filtrata per Stati occidentali e Nord America, ci vede quart’ultimi, diciannovesimi su 22 Nazioni, davanti solo a Cipro, Malta e Grecia. Vero, diranno alcuni, che siamo appena dietro gli Stati Uniti, ma nel ranking mondiale gli USA mantengono ancora un 53esimo posto, mentre noi siamo ben oltre venti posizioni dietro.
Non ci sono scuse. Soprattutto perché i veri punti nodali riguardano l’aspetto economico nel quale versano le donne italiane. In questo settore siamo 117esimi. Perché si segna questo disastro? Le donne italiane sono meno occupate e pagate meno dei pari grado maschi. Sono questi i due punti che rendono disastrosa la performance dell’Italia, dove pesa anche la differenza tra le condizioni nel nord e nel sud del Paese oppure la presenza o no di figli.
Un buon livello di partecipazione femminile ai vertici aziendali, ma, suggeriscono gli analisti, la percentuale di donne nei consigli di amministrazione, ma non ha avuto alcun impatto, neanche indiretto, sull’aumento della percentuale femminile nel management.
E pensare che dal punto di vista scolastico, le studentesse, le professoresse e le accademiche sfanno registrare il miglior posizionamento per il nostro Paese, in quella speciale classifica, infatti, arriviamo 55esimi.
E poi c’è l’ultimo numero che rende tutta la situazione più inquietante: le donne sono la stragrande maggioranza delle vittime di violenza, comprese le azioni fatali che portano alla morte.
Anche in questo caso sono i numeri a definire il fenomeno preciso e drammatico.
L’Istituto nazionale di Statistica ha creato un report sugli autori e le vittime di omicidio nel nostro Paese.
“Le donne vittime di omicidio volontario nell’anno 2019 in Italia sono state 111, lo 0,36 per 100.000 donne. Nel 2018 erano state 133 – scrive l’Istat -. Per l’anno 2020 è disponibile da parte della Direzione Centrale della Polizia Criminale il numero delle vittime registrato fino al mese di luglio. Considerando l’intera popolazione, il numero degli omicidi volontari evidenzia un calo generale rispetto all’analogo periodo del 2019, quando si sono registrati 161 omicidi, a fronte dei 131 del 2020. Il numero delle vittime di sesso femminile tuttavia aumenta passando da 56 a 59, effetto soprattutto dovuto all’aumento degli omicidi delle donne del mese di gennaio 2020”.
Insomma, mentre gli omicidio tendenzialmente scendono e con loro anche i numeri delle vittime maschili, le vittime di genere femminile restano costanti, di fatto segnando un’incidenza maggiore dei cosiddetti “femminicidi”. E su questo sono ancora i numeri a spiegare il fenomeno.
“Una chiave di lettura in termini di violenza di genere è fornita dall’esame della relazione tra gli attori dell’omicidio – concludono i ricercatori -. Delle 111 donne uccise nel 2019, l’88,3% è stata uccisa da una persona conosciuta. In particolare il 49,5% dei casi dal partner attuale, corrispondente a 55 donne, l’11,7%, dal partner precedente, pari a 13 donne, nel 22,5% dei casi (25 donne) da un familiare (inclusi i figli e i genitori) e nel 4,5% dei casi da un’altra persona che conosceva (amici, colleghi, ecc.) (5 donne). Per oltre la metà dei casi le donne sono state uccise dal partner attuale o dal precedente e in misura maggiore rispetto agli anni precedenti: il 61,3% delle donne uccise nel 2019, il 54,9% nel 2018 e il 54,7% nel 2014”.
Alessandro Cappai