Il termine “rottamazione”, benché storicamente relativo alle automobili, ha avuto una certa diffusione in ambito politico per opera di Matteo Renzi, ma ha trovato ancor più fortuna in ambito fiscale. La rottamazione delle cartelle esattoriali, infatti, è notoriamente uno dei provvedimenti più “in voga”, a prescindere dalla stagione politica e dalla maggioranza di governo. Inaugurate sempre da Renzi circa nove anni fa, le rottamazioni delle cartelle hanno avuto un successo bipartisan (benché ci siano parti politiche particolarmente “innamorate” di queste misure, per così dire).
Per dare un’idea del fenomeno, sul Sole 24 Ore Marco Mobili e Gianni Trovati quantificano in 95,8 miliardi i debiti condonati dagli ultimi sei governi, una somma – scrivono gli autori – che vale quattro manovre di bilancio di media dimensione, e in 118 milioni le iscrizioni a ruolo finite nel nulla[1]. Ad uscirne rottamata, probabilmente, è anche la fiducia nel sistema fiscale, più che le cartelle esattoriali in sé – tant’è vero che gli ultimi provvedimenti di stralcio delle cartelle non sono stati propriamente un successo.
È evidente come i contribuenti “fedeli” (per intenderci, i contribuenti che hanno una posizione sostanzialmente regolare con l’Erario) non possano che sentirsi a disagio, per usare un eufemismo, all’interno di un dibattito pubblico e politico che si avvita quasi sempre sui soliti temi delle rottamazioni, degli stralci, dei condoni, della “pace fiscale” e così via.
In termini un po’ più scientifici, possiamo osservare che – come si era già scritto nel 2019 a proposito della lotteria degli scontrini – sarà difficile che il contribuente italiano sia motivato a pagare le imposte (o meglio, a non evaderle qualora si presenti l’occasione) fintantoché avrà la percezione che, ad esempio, i soldi versati all’Erario finiranno per essere sperperati, che la qualità dei servizi pubblici sia troppo bassa, o che il sistema fiscale lo tratti in maniera ingiusta e discriminatoria rispetto ad altre categorie di contribuenti. Per cui in sostanza il problema principale, anche in questo caso, rimane la qualità della spesa pubblica e l’equità del sistema fiscale[2].
Al cittadino è stato raccontato per anni che “se paghiamo tutti, pagheremo tutti meno”; poi però lo stesso cittadino si ritrova a leggere sui quotidiani che, nonostante vi sia stato negli ultimi anni un recupero record dell’evasione, la pressione fiscale è aumentata rispetto all’anno precedente. E sempre questo cittadino, che magari ha sempre pagato puntualmente le sue imposte, legge sui giornali che chi non ha pagato, in fondo, può rottamare le cartelle, o fare una definizione agevolata, o una “pace fiscale”. Come può un sistema fiscale del genere essere credibile?
Intendiamoci, non si sta dicendo che i contribuenti che rottamano le cartelle o beneficiano di sanatorie varie siano evasori conclamati o altro, anzi, una semplificazione del genere sarebbe grossolana. Nemmeno si sta mettendo in discussione l’utilità dello strumento, che insieme ad altri fattori può senz’altro contribuire ad alleviare alcuni stati di crisi in cui versano non poche fasce di contribuenti italiani – e non sarebbe nemmeno corretto, del resto, criticare l’utilizzo di questo strumento senza conoscere il contesto concreto in cui esso si inserisce. Tra l’altro, in materia di obblighi fiscali noi Italiani siamo senz’altro soliti, ancor più che in altri ambiti, guardare la pagliuzza nell’occhio altrui invece che la trave nel nostro, per cui è evidente che ogni considerazione sotto il profilo etico-morale normalmente lascia il tempo che trova.
Il discorso è ovviamente più generale e slegato dalle singole fattispecie. E il discorso che qui si intende portare avanti è che la credibilità di un sistema fiscale, la sua equità, e la fiducia che i contribuenti ripongono nelle regole che lo governano e nell’utilizzo che lo Stato fa dei loro versamenti non sono meri orpelli da “addetti ai lavori”, ma temi cruciali per ogni discussione che riguardi il sistema tributario e il gettito fiscale.
Come rilevava Vincenzo Visco nel suo libro Colpevoli evasioni, “people do what other people do”, cioè un clima favorevole al pagamento delle imposte (o per lo meno un contesto non negativo, dove gli evasori sono i “furbi” e i contribuenti onesti i “fessi”) tenderà a diffondersi e ad influenzare i comportamenti di tutti[3]. Sulla stessa linea Ernesto Maria Ruffini, già direttore dell’Agenzia delle Entrate, sottolinea bene come pagare le imposte sia una azione collettiva, e soltanto se sono chiari i benefici di tale azione la gente inizia ad agire. ”Un po’ come un club: nessuno aderisce e paga la quota, se non ne ha un tornaconto personale”[4].
Ma il sistema fiscale, come ci ricorda sempre Ruffini, non è un prodotto di mere scelte tecniche. È un prodotto politico, è una questione politica[5]. Ebbene, in quanto frutto di scelte politiche, il sistema tributario sembra risentire dei medesimi problemi che la politica italiana ha avuto almeno dalla fine della Prima Repubblica in poi.
Abbiamo peraltro già visto in precedenti contributi su questa testata che i contribuenti su cui si “basano” gran parte delle entrate fiscali sono circa il 15% (in sostanza, chi dichiara più di 35mila euro lordi), e che per effetto della politica dei bonus e del perverso meccanismo del “meno dichiari e più avrai dallo Stato” questi soggetti non hanno beneficiato in alcun modo del recupero dell’evasione e di una maggior spesa pubblica – anzi, in media si sono visti pure ridurre le detrazioni fiscali negli ultimi anni.
Questo dato fa il paio con il fatto che, dei circa 10 milioni di contribuenti destinatari ogni anno di cartelle e simili, circa il 77% risulta già avere avuto una iscrizione a ruolo negli anni precedenti. Altra dimostrazione del fatto che in ambito fiscale ci troviamo ad avere a che fare con un Paese sostanzialmente spaccato in due.
In tutto ciò, le grandi discussioni in tema di rottamazione forniscono la percezione che gli unici spazi nel dibattito siano riservati alle “ragioni”, se così si può dire, della parte che meno contribuisce al gettito erariale, mentre i contribuenti “fedeli”, che dovrebbero in qualche modo essere incentivati (o semplicemente non scoraggiati) nell’adempiere ai loro obblighi, non sembrano avere pressoché nessuna attenzione nel dibattito pubblico e politico.
Insomma, l’impressione di fondo quando si esamina il rapporto tra lo Stato e i contribuenti, soprattutto nei confronti di quella classe media che – abbiamo visto dai dati di cui sopra – è chiamata a sobbarcarsi, volente o nolente, la grande parte della spesa pubblica, è che più di rottamare sia urgente ricostruire. Ricostruire una fiducia nei confronti di un sistema fiscale equo e di una spesa pubblica che consideri realmente le risorse pubbliche come “soldi di tutti” e non come “soldi di nessuno”. Dopo anni di Superbonus, incentivi a pioggia e sperperi vari, sarebbe già un primo passo.
[1] M. Mobili, G. Trovati, I colpi di spugna del Fisco: condonati 100 miliardi di euro, Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2025.
[2] A. Franco, Lotteria degli scontrini, ecco perché la mossa anti-evasione del governo potrebbe non funzionare, La Repubblica, 5 novembre 2019
[3] V. Visco, Colpevoli evasioni, Università Bocconi Editore, 2017, 25.
[4] E.M. Ruffini, L’evasione spiegata a un evasore, Ediesse, 2013, 52.
[5] Id., 18.
Alberto Franco