Aristotele diceva che la vita consiste nel movimento e che in esso trova la sua stessa essenza. Rilke, il poeta preoccupato di essere ascoltato da qualcuno quando gridava agli angeli, diceva che ogni esperienza ha una velocità speciale secondo la quale deve essere vissuta. Se viaggiassimo con la luce, saremmo eterni. È un risultato affascinante. È la teoria della relatività – un nome che sembra una grande contraddizione, perché ci fornisce un assoluto. La velocità della luce nel vuoto, la velocità con cui annulleremmo il tempo stesso.
Non conosciamo la direzione del nostro viaggio
Il nostro ritmo è più lento. Viviamo nel tempo. E dobbiamo muoverci, sempre. Quando lo facciamo, quando prendiamo in mano il nostro destino, quando pensiamo di avere il controllo, scopriamo che non conosciamo la direzione del nostro viaggio. È una sorta di applicazione del principio di indeterminazione della fisica quantistica nella nostra vita. Quando conosciamo la direzione, non siamo più padroni di noi stessi; siamo guidati, smettiamo di essere creativi. Non siamo più artisti. Eppure siamo fatti – mi sembra – per creare nuovi mondi o nuovi modi di stare al mondo. Nuove vite, nuove cose nel tempo.
Il principio di indeterminazione (o di incertezza), enunciato dal fisico Werner Heisenberg nel 1927 (Zeitsschrift für Physik 43, 172-198), afferma che un oggetto non può avere una posizione e una velocità ben definite, simultaneamente. Se conosciamo con ottima precisione la velocità dell’oggetto, avremo una grandissima indeterminazione sulla sua posizione. Viceversa, se conosciamo con precisione la posizione dell’oggetto, minore sarà la nostra conoscenza (o maggiore sarà l’imprecisione) sulla sua velocità. L’indeterminazione fa parte ormai dell’interpretazione della realtà fisica (o della realtà fisica stessa) secondo la scienza contemporanea, ma non è meno vero che essa può essere considerata, seppur in altro senso, anche come il motore della democrazia. Vediamo.
L’incertezza è la chiave della buona scienza e della democrazia
L’astrofisico Carl Sagan, nel libro Il mondo infestato dai demoni (Baldini & Castoldi, 1997), affermava che gli esseri umani possono desiderare la certezza assoluta; possono aspirarvi; possono fingere, come fanno i partigiani di certe religioni, di averla raggiunto. Ma la storia della scienza – di gran lunga l’affermazione di maggior successo sulla conoscenza accessibile agli umani – insegna che il massimo che possiamo sperare è un miglioramento successivo nella nostra comprensione, imparando dai nostri errori, per mezzo di un approccio asintotico all’Universo, ma a condizione che la certezza assoluta ci sfuggirà sempre.
Secondo il filosofo tedesco Jan-Werner Müller, alla base della democrazia c’è “l’incertezza istituzionalizzata“. Questo si può illustrare cominciando dal simbolo più importante del sistema democratico, che sono le libere elezioni. Sappiamo che le elezioni non sono l’ultima parola. Rivelano solo il momentaneo equilibrio delle forze politiche nel gioco. Contati i voti, dopo i festeggiamenti dei vincitori e il mea culpa dei vinti, iniziano le discussioni per la formazione di un nuovo governo e per la formazione di un’opposizione democratica a quel futuro governo. Tutto ciò deve avvenire, però, senza delegittimare il sistema. Il nuovo governo ribadisce il ruolo dell’opposizione e cerca di ribaltarne le posizioni. I perdenti devono accettare la sconfitta come parte del giudizio degli elettori. Il governo deve accogliere responsabilmente l’opposizione, senza usare gli strumenti del potere per zittirla.
Tutto questo crea un’atmosfera di incertezza nel percorso
Queste regole basilari per la convivenza democratica sono state violate in modo quasi scandaloso in due delle più grandi democrazie (per numero di elettori) del mondo. Come sappiamo, il riconoscimento della vittoria di Joe Biden negli Usa è arrivato molto tardi e non senza spargimenti di sangue, con l’invasione del Campidoglio.
In Brasile, meno di un mese fa, un’elezione molto disputata è stata vinta dal candidato Lula da Silva. Finora, il partito perdente ha cercato di ribaltare i risultati, adducendo frodi inesistenti, promuovendo incitamento all’odio e terrore civico (sempre contro un presunto pericolo di “comunismo”). E minacciando delegittimare il sistema con l’idea di un colpo di stato. Le istituzioni brasiliane, nonostante la loro relativa giovinezza, hanno resistito fin qui e la maggior parte della società rifiuta questi metodi. Attualmente stiamo assistendo al famoso “diritto di reclamare”, concesso agli sconfitti, il cosiddetto jus sperniandis.
Quando il diritto alla rivolta diventa dannoso
L’espressione jus sperniandi è molto utilizzata nel mezzo giuridico brasiliano per esprimere la non conformità contro una decisione giudiziaria. Si tratta, infatti, di un falso latinismo, basato sul verbo “espernear” (muovere le gambe come fa un bambino capriccioso) nel senso di “rivolta”. Questo “diritto” diventa falso e dannoso per la democrazia quando la legge viene violata, quando un processo legittimo viene contestato da persone disposte alla violenza, ad atti incostituzionali. È ancora più grave quando tutto questo accade con la connivenza delle autorità costituite.
Dobbiamo ricordarci, però, che per il trattamento di questa malattia si conosce una difficile ma possibile e necessaria medicina. Bertrand Russell, quasi un secolo fa, la offre nel suo libro Education and the Good Life (1926), quando ci insegna che senza scienza la democrazia è impossibile. Questa medicina è amministrata da un tipo di educazione per il bene, nella quale la scienza applicata deve essere l’ingrediente principale. Senza fisica, fisiologia e psicologia, scriveva lui, non possiamo costruire il nuovo mondo. Come più tardi ha ribadito lo stesso Carl Sagan, la scienza è un modo per dichiarare il bluff di coloro che fingono solo di sapere. Solo la scienza può dirci quando ci stanno mentendo; solo la scienza fornisce una correzione intermedia ai nostri errori.
La scienza? E’ solo il meglio che abbiamo
E lui stesso ci ricordava che la scienza è tutt’altro che un perfetto strumento di conoscenza. È solo il meglio che abbiamo. Sotto questo aspetto, come in molti altri, è come la democrazia. La scienza di per sé non può sostenere i corsi dell’azione umana, ma può certamente illuminare le possibili conseguenze di corsi di azione alternativi. A parte questa medicina provveduta dalla scienza, non c’è altra ricetta, mi sembra. Per questo vorrei invocare qui un brano del greco Nikos Kazantzakis (Ascese), che diceva che il tempo è troppo breve, troppo stretto è lo spazio tra un falò e l’altro – che limitano la nostra precaria e corta esistenza. Dunque, dobbiamo sbrigarci. Ed è lo stesso Kazantzakis che ci invita a farlo e, allo stesso tempo, sembra volerci consolare dicendo che “in noi un’essenza superiore ci spinge senza pietà verso l’alto”.
Un’ascesa inevitabile
Questa ascesa è inevitabile, perché fa parte della nostra essenza, ma è più ricca e creativa soltanto se si effettua nella incertezza. L’incertezza con cui opera la natura; l’incertezza che è alla base dell’atto creativo poetico e scientifico. L’incertezza che definisce il processo democratico. Infine, l’incertezza che spinse Ulisse a chiamare i suoi compagni a lasciare il loro stato di bruti per seguire la virtù, per creare (scoprire) nuovi (e possibili) mondi, assumendosi il massimo dei rischi.
Luis Roberto Evangelista