Il corrispondente dall’Europa del New York Times dichiara che: “c’è qualcosa tra il fascino e la rabbia in Europa riguardo alle elezioni americane; un sentimento che gran parte della vita e della politica in Europa dipenda dagli elettori del North Carolina, della Georgia e dell’Arizona, poiché il presidente americano in un certo senso è il presidente di tutti”!
Se fosse vero – e purtroppo lo è – sarebbe umiliante. A noi del voto americano non dovrebbe interessare per niente. Per varie ragioni. Come cittadini e persone libere ci dovremmo rifiutare di dipendere dal voto di altri e dal governo di un altro Stato. Non si tratta di orgoglio nazionale, di cui mi importa meno di nulla. Piuttosto di orgoglio civico o civile o democratico. Una questione di principio.
In secondo luogo, a me il voto americano non interessa perché i due candidati non rappresentano un limpido processo di legittimazione democratica e le elezioni sono poco più che una farsa a cui parteciperà solo la metà dei cittadini. Per lo meno Trump ha fatto le primarie e ha una formale legittimazione popolare. Harris non ha fatto nemmeno quelle ed è stata scelta da un comitato elettorale che si è sbarazzato del candidato scelto dagli elettori sia pure solo formalmente.
In sostanza, entrambi sono stati scelti in altre sedi più o meno oscure: dalla finanza ai media, dai servizi segreti ai militari in un intreccio che con il passare del tempo si è fatto sempre più intricato. Il netto dualismo tra il liberismo dei repubblicani e l’interventismo sociale dei democratici, un tempo discriminante, si è molto attenuato nella politica interna che peraltro dipende ancora in gran parte dai singoli Stati.
Il popolo non c’entra nulla, in pochi votano e buona parte del voto popolare è controllata da rappresentanti di interessi organizzati.
È possibile che non emerga mai un terzo partito credibile? Se vivessi negli Stati Uniti e decidessi di votare, voterei Jill Stein dei Green di cui naturalmente nessuno ha sentito parlare, ma che pure sarebbe una candidata. Forse spererei che vincesse Harris che rappresenta un mondo e un linguaggio più congeniale a me come a gran parte degli europei. Poiché vivo in Europa, per quel poco che mi interessa, preferisco Trump. Tra i due candidati principali è il più imprevedibile e il più debole nelle relazioni internazionali, soprattutto in quelle con l’Europa e la NATO.
Sarebbe a dire che non vorrei mai Trump come socio nel mio club, ma lo assumerei volentieri come buttafuori. Con Trump è più probabile che si apra uno spiraglio per riguadagnare l’indipendenza dell’Europa.
La guerra crudele e senza senso in corso in Medio Oriente dimostra come il governo degli Stati Uniti sia diviso e incapace di seguire una politica univoca. Chiunque sarà il nuovo presidente le cose non cambieranno. Israele non è che un’appendice delle oligarchie euroatlantiche in lotta tra loro. Le incertezze e le lotte interne sono coperte dalla virulenza di una guerra priva di strategia che colpisce solo i civili fomentando ulteriori conflitti. Una guerra condannata dall’opinione pubblica mondiale e in cui non si risparmiano nemmeno le Nazioni Unite.
La fuga di notizie sui piani di guerra all’Iran apre al sospetto di lotte intestine all’impero euroamericano. Non si tratta di un cedimento strutturale del sistema, ma di crepe ormai evidenti e non più riparabili. In questo quadro si inserisce l’alternativa Trump che non a caso corre il rischio di essere assassinato.
In questo quadro l’Europa non esiste: o meglio, i suoi rappresentanti sono emanazione di quelli che governano gli Stati Uniti. Contro l’alleanza euroatlantica si sollevano solo poche voci alternative sfuggite al controllo. Talora si tratta di personaggi e partiti effettivamente discutibili che sono resi ancor più grotteschi da campagne di irrisione e criminalizzazione guidate dai media mainstream. In altri casi, vengono vilipesi e delegittimati movimenti e leader soltanto per il fatto che si propongono in alternativa. È legittimo sollevare il dubbio che viviamo in un regime persino più illiberale di quelli che disprezziamo? Forse non ancora, ma sicuramente il nostro regime appare più arrogante, armato e potente. Certamente ci siamo allontanati dall’idea di libertà e democrazia che perseguivamo e in cui credevamo.
All’Europa, e all’intero mondo, conviene un presidente un po’ meno radicato, manipolabile e instabile come Trump, il quale scopra alcuni arcani del potere e interrompa i legami tra le classi dirigenti euroatlantiche. Queste ultime, non riuscendo più a imporsi con la cultura e i principi, cercano di conservare l’egemonia con le armi in tutto il mondo.
Nella vicenda mediorientale (e ucraina) appaiono evidenti due (se non più) politiche contrapposte di cui nessuno riesce a fare una sintesi. E il potere euroatlantico non sembra così monolitico come lo è stato negli ultimi decenni. Le condizioni per una guerra civile covano e forse essa è già in atto sottotraccia. Ed è grottesco come i media mainstream già accusino i “nemici” di cercare di manipolare le elezioni americane e creare caos: è l’ammissione di una grave debolezza morale e istituzionale.
Ma noi siamo in Europa e non votiamo, quindi non possiamo farci niente se non cominciare a pensare e agire in modo autonomo.
Corrado Poli