Tutto per me è cominciato nel settembre 2018: uno scambio di battute con un amico docente universitario. Mi ha proposto di tenere una lezione all’Università Statale di Milano sulle Leggi razziali. La lezione ha avuto successo e così l’ho trasformata in evento formativo per gli Avvocati in alcuni Fori lombardi.

Più si studia, più si capisce

Poi l’abbiamo proposto con alcune modifiche modulari anche con altri colleghi in formazione variabile nelle scuole e nell’ambito della società civile. Più si studia, più si capisce. In questo caso, più si capisce più si inorridisce. Nell’ultimo decennio opportunamente l’argomento è stato oggetto di vari e interessanti studi che hanno superato il mantra autoassolutorio degli “Italiani brava gente”. L’opinione corrente, quella che tutti abbiamo studiato a scuola, consolidata nel corso degli anni, era, infatti, quella secondo cui le Leggi razziali fossero state un atto di compiacenza del Regime fascista. Non solo. Veniva fatta passare l’idea che qui, nel Bel Paese, tutto fosse avvenuto “all’acqua di rose”.

Non fu così

Ormai gli storici che si sono dedicati all’argomento sono compatti e univoci.
Ed in effetti basta avere la pazienza di andare a leggersele, le Leggi razziali, per comprendere quale spietato, capillare meccanismo di oppressione, esclusione e persecuzione fosse stato escogitato dal Regime. Si è iniziato nelle Colonie dell’Impero nei confronti dei nativi. Poi di soppiatto con alcune circolari dall’inizio del 1938 sono iniziati dei censimenti degli Ebrei in singole amministrazioni dello Stato. A seguire è iniziata la pubblicazione di riviste come “La difesa della razza”, “Il diritto razzista”, etc… Nei Comitati di Redazione e nell’elenco dei collaboratori spiccavano alti magistrati, intellettuali di regime e giornalisti che ebbero poi un lungo corso anche nell’Italia repubblicana come Giorgio Almirante. Giusto per fare un “ripassino” ricordo che Almirante fu il leader carismatico del Movimento Sociale Italiano da cui derivarono prima Alleanza Nazionale, poi Fratelli d’Italia.

Spero che le chiare posizioni assunte dal Presidente del Senato e dal Presidente del Consiglio in occasione dell’ultima Giornata della Memoria siano condivise da tutti i loro sostenitori e che non si tratti di tatticisimo. Nell’estate del ’38 viene pubblicato il “Manifesto della razza”, detto anche “Manifesto degli scienziati razzisti”, con il decalogo che scolpisce il teorema della differenza razziale fra gli Italiani ariani e gli Ebrei.
Si dice correntemente che i dieci firmatari fossero tutti insigni scienziati, ma in realtà così non è. Di scienziati di spicco ce n’era uno solo ed era Nicola Pende. Il “Manifesto” era accompagnato da alcune centinaia di firme di sostenitori, personaggi più o meno noti.
Risaltano ovviamente i vertici del Partito Fascista, intellettuali allineati al Regime, ma anche Amintore Fanfani e padre Agostino Gemelli. La svolta ufficiale e definitiva avvenne con il discorso tenuto da Mussolini a Trieste nel settembre 1938.

Un discorso agghiacciante

Lo possiamo ascoltare ancora adesso su internet quel discorso. E’ agghiacciante.
Il Duce negli anni precedenti aveva tenuto una condotta ondivaga nei confronti degli Ebrei. In talune occasioni ne aveva apprezzato apertamente il contributo di sangue reso nella Prima Guerra mondiale, in altre aveva escluso la rilevanza di una questione ebraica nel nostro Paese. In altre ancora era stato, però, più sfumato sull’esistenza di una questione razziale ebraica. Ricordiamo come abbia intrattenuto per lunghi anni una relazione con una Ebrea, grande intellettuale di spicco, Margherita Sarfatti.
Si legge anche che per un periodo il Duce abbia coltivato l’idea di sostituire l’Italia agli Inglesi nel ruolo che essi avevano in terra di Palestina e anche questo spiegherebbe taluni ammiccamenti. Poi, non si capisce bene come, da una parte la strategia in Palestina non andò in porto; dall’altra finì la storia con la Sarfatti. Fatto sta che si arriva al fatidico discorso di Trieste.

Autunno 1938: inizia la caccia agli Ebrei

Dall’autunno del ‘38 inizia la raffica di provvedimenti che via via falcia l’erba sotto i piedi agli Ebrei. Sono espulsi gradualmente dalle scuole ed Università, dalle Amministrazioni dello Stato e del parastato, dall’esercizio di una amplissima serie di attività anche di scarso impatto sociale e strategico. Se non fosse una tragedia, verrebbe da sorridere a leggere il divieto persino dell’allevamento di piccioni viaggiatori, dell commercio di stracci e poi della detenzione di apparecchi radio; l’esclusione dagli elenchi telefonici e persino dagli annunci funebri. L’elenco è lunghissimo e progressivamente sempre più stringente. Di fatto, alla fine gli Ebrei non poterono fare più nulla. Le proprietà ed industrie che non potevano più essere esercitate in quanto di dimensioni eccedenti quelle consentite, venivano poste all’asta od amministrate da un ente (EGELI) costituito “ad hoc” in cambio di certificati di limitatissima negoziabilità.

Espulsi dalle libere professioni

Il clima terribile di quegli anni rivive anche nei racconti e nelle interviste del nostro Fondatore, Avv. Bruno Segre. Il culmine dell’aberrazione concettuale fu raggiunto con l’istituto della cosiddetta “discriminazione”. Eh, sì, anche questo fu fatto. Gli Ebrei, discriminati rispetto a tutti gli altri cittadini, potevano richiedere di essere “discriminati” dagli altri Ebrei in presenza di particolarissimi presupposti. Sostanzialmente si trattava di meriti di valore riportati nelle guerre precedenti o per la causa fascista.  Un particolare indice di meritevolezza era costituito dall’aver aderito al Partito Nazionale Fascista dopo il giugno 1924, cioè dopo il delitto Matteotti. Pazzesco.

Dalla persecuzione dei diritti  alla persecuzione della vita

La “discriminazione” doveva essere verificata dalla Commissione demo-razza caso per caso e suggellata da provvedimento del Ministero degli Interni (Mussolini) non ricorribile in nessuna sede e per nessuna ragione. Invocata ed ottenuta la “discriminazione”, alcune limitazioni alle attività e proprietà venivano attenuate. Con l’avvento della Repubblica di Salò alla persecuzione dei diritti è seguita la persecuzione della vita. Beni confiscati senza sbocco, Ebrei considerati alla stregua di cittadini di Paese nemico belligerante. Si ritrovarono in balia dei Tedeschi zelantemente coadiuvati dai Fascisti nostrani. La deportazione. La morte. E per i superstiti non era ancora finita. Il riscontro delle disposizioni emesse dopo l’8 settembre e persino dopo la fine della guerra non è meno stupefacente. Il recupero dei beni perduti da parte degli Ebrei è stato nella sostanza ampiamente intralciato e limitato. La nostra Repubblica ha protetto la situazione di fatto determinatasi a seguito delle Leggi razziali.

Insigni giuristi che le avevano applicate hanno poi ricoperto posizioni apicali nella magistratura, nella politica e anche nella Corte Costituzionale della nostra Repubblica.
La Commissione d’inchiesta che si rese necessaria per indagare sull’operato dell’EGELI ha concluso ben poco – si legge – anche per la scarsa collaborazione dei vari soggetti coinvolti. Ma perché è avvenuto tutto questo? Davvero agli Ebrei era connaturata una vena internazionalistica in conflitto con il nazionalismo del Regime? No, perché numerosi erano gli Ebrei fascisti e avevano ricoperto anche cariche importanti, pur essendo circa 50.000 (un Italiano su mille). O forse gli Ebrei costituivano un centro di potere economico che poteva condizionare il Regime fascista? Neanche questo, perché, come ha messo in luce anche una recente pubblicazione di Michele Sarfatti (“ ”) i numeri lo smentiscono. Le industrie possedute da Ebrei erano davvero poche.

I Professionisti in fondo si riducevano a poco più di quattrocento medici e poco più di cinquecento avvocati in tutta Italia. Quattordici magistrati su quattromiladuecento. Circa novecento insegnanti, circa centosessanta Professori universitari. Quindi “di che cosa stiamo parlando”? No, non è questa la ragione. C’era la volontà di compiacere l’alleato tedesco? Neppure questo, perché i tempi e i contenuti della legislazione razziale italiana non sono in linea con quelli tedeschi. Del resto il Duce, proprio nel Discorso di Trieste, ha rivendicato con forza e orgoglio l’originalità della politica razziale italiana annunciata.

E quindi che cosa rimane?

Stringi stringi, la sensazione che ne ricavo è di un “bullismo” di Regime. Un “bullismo” che ha trovato terreno fertile in quel clima generale contrassegnato da un conformismo indotto in una opinione pubblica guidata e inquadrata, minuziosamente controllata. I valori di solidarietà, di uguaglianza, di pari dignità sociale senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali avevano forza ed efficacia eversiva di un Regime totalitario che si era affermato con la violenza e la sopraffazione, manifestatesi già con la Marcia su Roma (e i suoi antefatti) e poi anche nelle elezioni del 1924. Prima del Fascismo non erano affermati né tutelati neppure nel quadro di una Società che si proclamava liberale. Questi valori sono stati trasfusi nei principi fondamentali della nostra Costituzione e ne costituiscono ancora oggi l’ossatura.
Teniamoceli stretti, abbiamone cura.

Claudio Zucchellini

Claudio Zucchellini

Avvocato, Consigliere della Camera Civile di Monza, attivo in iniziative formative per Avvocati, Università, Scuole e Società Civile.

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