L’articolo apparso su L’Incontro il 29/1/u.s. a firma di Giuseppe Tipaldo, dal titolo “LegalShow: due lezioni e un auspicio”, merita una replica e alcune precisazioni. L’articolo non spiega, neppure in breve, gli antefatti. Inoltre si dilunga in osservazioni critiche alla classe forense ed ai suoi organi rappresentativi. Senza dar modo ai non addetti ai lavori di comprendere la situazione.
I fatti in breve. Due legali appartenenti al Foro di Torino hanno ritenuto di pubblicare su profilo di Instagram dc.legalshow le loro immagini, alcune delle quali espressione di atteggiamenti equivocabili. Rilasciando poi interviste nelle quali affermavano di non essere assolutamente dispiaciute del successo mediatico ottenuto, anzi. Ciò premesso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino decideva di agire per violazioni varie del Codice deontologico.
Il caso LegalShow non è solo un evento social
Sulla base di queste premesse l’Autore dell’articolo su LegalShow si dilunga solo sugli aspetti “social” della vicenda, come se qualunque cosa che viaggia nel web abbia diritto di cittadinanza. Di diffusione e di approvazione incondizionata. Anzi, viene criticata, anche in modo aspro, l’iniziativa del Consiglio che non comprenderebbe l’anelito di libertà che si diffonde sul web.
Deve essere chiaro che non è certo questa la sede per effettuare valutazioni di merito sulla vicenda, sulla quale, sino a che non vi sarà una pronuncia definitiva, è opportuno che nessuno si esprima.
Ciò che, viceversa, l’articolo totalmente ignora è proprio il quadro processuale, all’interno del quale verrà valutata la fondatezza dell’iniziativa, così come le legittime difese di chi è accusato.
I professionisti sono sempre soggetti alla deontologia
Va quindi ricordato con forza come tutti i professionisti (e non solo i legali) siano soggetti ad una responsabilità ulteriore, oltre a quella civile e penale. Quella deontologica, cioè quella che consegue ad una violazione delle norme di comportamento. Norme di comportamento a cui un legale deve attenersi per tutta la durata della sua attività- E in tutte le manifestazioni della sua professione: nei confronti dei Colleghi e dei Magistrati, così come nei rapporti con il proprio cliente.
Così, infine, come nei rapporti con gli organi di autogoverno della professione forense, quale è il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Tutti i legali debbono osservare tali norme. Posto che esse formano oggetto di una delle materie dell’esame di Stato per divenire avvocato. E, soprattutto, che tali norme sono state raccolte in un testo di legge che è stato promulgato nel 2014, che costituisce il “Codice Deontologico“.
Il ruolo del Consiglio Distrettuale di Disciplina
Quindi, neppure l’ignoranza della legge può essere assunta a scusante da chi assume comportamenti che non sono ritenuti dal legislatore consoni alla professione forense. Lo stesso Codice Deontologico, all’Art. 2 – “Norme deontologiche e ambito di applicazione”, è chiaro.
“Le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi; si applicano anche ai comportamenti nella vita privata, quando ne risulti compromessa la reputazione personale o l’immagine della professione forense“.
Un ulteriore elemento viene ignorato dall’articolo. Il giudizio su tale responsabilità deontologica non è più affidato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza dei legali coinvolti. In base ad un principio costituzionale di terzietà, è affidato al Consiglio Distrettuale di Disciplina, al quale possono partecipare solo legali estranei al Foro di appartenenza dell’incolpato.
LegalShow: non siamo in presenza di un giudizio morale
Non corrisponde quindi a verità che l’udienza avanti al Consiglio dell’Ordine di Torino si sia conclusa in un “nulla di fatto“. Lo stesso ha rimesso ogni decisione all’organo competente, cioè al citato Consiglio Distrettuale, che giudicherà nei tempi e nei modi opportuni. Non si è affatto in presenza di un giudizio morale. Ma bensì di una procedura giudiziaria che tutela il ruolo dell’avvocato, quale difensore del cittadino, in tutte le sedi ed in tutte le sue manifestazioni, anche private. Procedura che potrà giungere, come in tutti i procedimenti tesi ad accertare se un soggetto è responsabile o meno delle condotte che gli sono contestate, ad una assoluzione o ad una condanna. Con le relative conseguenze sotto il profilo disciplinare.
In conclusione non si possono condividere le affermazioni dell’Autore. Afferma di non voler avanzare giudizi morali e che, anzi, “il tempo dei moralismi è finito da un pezzo”. Che le piattaforme “hanno rotto gli argini” e ciascuno di noi può diventare “emittente o influencer“. Con la conseguenza che la valutazione di un legale sarebbe rimessa solo ai “dati quantitativi di gradimento“. Come se la professionalità, l’esperienza, il “curriculum”, la competenza, non fossero dei valori. E come se la scelta di un legale o di un ristorante fossero la stessa cosa!
Tutti i cittadini più avveduti sanno bene che nel momento in cui è necessario affidare i propri diritti primari (libertà, salute, beni personali) ad un legale affinché tali diritti vengano tutelati e riconosciuti, la scelta deve essere basata sui criteri di cui sopra. E non già dando la preferenza a chi si limita ad esporre la merce sui social.
Alessandro Re