Nella primavera 1920 i minatori delle miniere di Monteponi, San Giovanni e Campo Pisano nell’Iglesiente manifestano e scioperano più volte per ottenere l’aumento del salario, a malapena sufficiente a sopravvivere, la revoca del tesseramento dei generi alimentari e migliori condizioni di lavoro, che sono molto critiche con il continuo rischio di incidenti gravi.
La mattina di sabato 8 maggio 1920, alcune centinaia di minatori lasciano il lavoro nella miniera di Monteponi e decidono di recarsi a Iglesias per chiedere al Sottoprefetto l’abolizione del tesseramento dei generi alimentari e l’aumento a 200 grammi della razione individuale giornaliera del pane. Il Sottoprefetto Cav. Farina assicura il suo intervento affinché sia aumentata la razione del pane.
I minatori, rassicurati dalle parole del Sottoprefetto, ritornano alla miniera di Monteponi e riprendono il lavoro. In seguito i sorveglianti della miniera fanno sapere che la direzione ha deciso il taglio di una lira e 40 centesimi, equivalente al salario per la mezza giornata di lavoro persa per andare a Iglesias. A questa notizia i minatori si ribellano e chiedono alla direzione della miniera di ritirare il provvedimento. Purtroppo le trattative falliscono e quindi i minatori decidono di ritornare a Iglesias, accompagnati anche da molte mogli, per chiedere al Sottoprefetto di ordinare alla direzione della miniera il pagamento del salario per la mezza giornata di sabato 8 maggio. Costringono il vice direttore della miniera, ingegner Andrea Binetti, ad accompagnarli. La moglie dell’ingegnere, temendo per l’incolumità del marito, telefona al Sottoprefetto, al quale racconta l’accaduto, ed il Cav. Farina dispone l’invio di un reparto di Carabinieri che incontra il corteo di circa tremila persone, in via Satta, vicino al Municipio. I rappresentanti dei minatori chiedono di andare a parlare con il Sottoprefetto affinché persuada la direzione della miniera a disporre il pagamento della mezza giornata di lavoro di sabato 8 maggio. Ad un certo punto, il vice direttore Binetti riesce ad uscire dalla folla dei manifestanti e ripara oltre lo schieramento dei Carabinieri. La situazione in pochi attimi degenera. Dalla folla dei manifestanti si levano urla ed insulti verso l’ingegnere Binetti ed alcuni lanciano sassi verso i Carabinieri. A quel punto il comandante dei Carabinieri ordina di aprire il fuoco sui manifestanti. Sopraggiungono il Sindaco Angelo Corsi ed il Cav. Pietro Fontana che invitano i Carabinieri ad abbassare le armi. La tragedia si compie in pochi minuti. Sono da poco passate le dieci del mattino. Sul selciato di via Satta rimangono cinque morti. Altri due manifestanti muoiono in seguito per le gravi ferite riportate. Le vittime sono Raffaele Serrau di 23 anni, Pietro Castangia di 18, Emmanuele Cocco di 37 anni, Attilio Orrù di 40, tutti di Iglesias, Efisio Madeddu di Villaputzu, di 40 anni, Salvatore Melas di Bonacardo, di 50 anni e Vittorio Collu di Sarroch di 18 anni. Ci sono anche 26 feriti.
Ai funerali delle vittime, il 12 maggio, partecipano migliaia di persone. Il Sindaco proclama il lutto cittadino e tutti i negozi rimangono chiusi. Il Corteo funebre, con migliaia di partecipanti, partito dall’ospedale di Santa Barbara, si snoda lentamente per la città e dopo due ore arriva al cimitero, dove il Sindaco Angelo Corsi ed il dottor Ruggero Pintus tengono il discorso funebre.
L’eccidio dei sette minatori è stigmatizzato sulla stampa progressista, in particolare dal quotidiano socialista Avanti!. Molti ritengono che l’eccidio era ‘premeditato’.
Infatti, il Sottoprefetto di Iglesias aveva inviato il 28 gennaio 1920, al Comando di Compagnia dei Carabinieri il seguente dispaccio, conservato nell’Archivio Storico di Cagliari: “In previsione delle eventuali necessità è opportuno che i comandi di stazione interessati si abbocchino coi cittadini più autorevoli e più fidati e prenotino il numero dei cittadini che reputino necessari e più adatti, volenterosi e sicuri e vedano di informarli della cosa e predispongano un programma di servizio”. In pratica, il Sottoprefetto invitava i comandi locali dei Carabinieri a servirsi di “cittadini fidati” che dovevano tenersi pronti per reagire alle manifestazioni ed agli scioperi dei lavoratori, naturalmente in accordo con i proprietari delle miniere, che temevano che i minatori volessero occuparle, costituendo i ‘soviet’, sul modello russo, per la loro gestione.
I minatori proseguono la lotta ed il 9 dicembre 1920 l’associazione degli esercenti le miniere firma l’accordo con il quale si riconoscono ai minatori non solo l’aumento del salario e l’indennità di carovita, ma anche la costituzione di ‘commissioni interne’, elette liberamente dai minatori.
In ricordo dell’eccidio è stata posta una lapide sul muro del Municipio. In seguito nel cimitero è stato collocato un monumento.
Le proteste dei minatori e l’eccidio di Iglesias sono raccontati nel libro di Angelo Corsi, Socialismo e Fascismo nell’Iglesiente, Edizioni Della Torre, curato da Francesco Manconi, edito nel 1979.
Dal 2007 gli studenti dell’Istituto Comprensivo Eleonora D’Arborea rievocano, vestiti con gli abiti del tempo, nella piazza Municipio, la manifestazione dei minatori e l’eccidio. Al termine della rievocazione storica si forma un corteo fino al cimitero, dove viene reso un omaggio alle vittime che lì riposano.
Nel 2016 hanno partecipato alla rievocazione storica anche gli studenti dei Comuni piemontesi della Valle Anzasca e della Val d’Ossola, ospitati dalle famiglie degli studenti di Iglesias. In precedenza, nella sala consiliare, era stato fatto il gemellaggio dei Comuni piemontesi di Pieve Vergonte, Bannio Anzino, Calasca Castiglione, Cappo Morelli, Macugnaga e Piedimulera con il comune di Iglesias per condividere le comuni radici minerarie tra le popolazioni del Sulcis Iglesiente e quelle della Valle Anzasca.
Un eccidio analogo era avvenuto a Buggerru, nell’Iglesiente, il 4 settembre 1904, quando l’esercito intervenne per reprimere la protesta di circa 2000 minatori, causando 4 morti e 11 feriti.
Il 2 settembre l’ingegnere Achille Georgiades, direttore della Societé des mines de Malfidano, con sede a Parigi, aveva emesso una Circolare con la quale veniva ridotta di un’ora, dal 3 settembre, la pausa tra il turno di lavoro mattutino e quello pomeridiano. I minatori protestarono subito e iniziarono le trattative con la direzione della miniera per il rigiro della Circolare.
Domenica 4 settembre, mentre la delegazione sindacale conduceva le trattative e circa 2.000 minatori erano riuniti fuori della sede della direzione della miniera, il direttore chiese la presenza dell’esercito nella miniera per mantenere l’ordine. I militari dovevano alloggiare nella falegnameria, trasformata in camerata. Il direttore chiese ai minatori di eseguire il lavoro, ma la maggior parte di loro si rifiutarono. Alcuni però accettarono di fare il lavoro ed appena iniziarono a lavorare ci fu una forte protesta da parte degli altri, alcuni dei quali lanciarono sassi contro di loro. A questo punto i soldati spararono, causando 4 morti e 11 feriti.
L’11 settembre, la Camera del Lavoro di Milano decise lo sciopero generale, che si svolse dal 16 al 21 settembre ed al quale aderirono i lavoratori di tutte le categorie.
Giorgio Gannini