Saranno le più grandi elezioni politiche di quest’anno, di questo 2024 “ingolfato” di tanti appuntamenti elettorali in tutto il mondo. Certo, l’attenzione maggiore sarà sui risultati dell’elezione americana del prossimo novembre: quelle, però, che si stanno per svolgere in India tra il 19 aprile p.v. e il 1° giugno saranno sicuramente rilevanti in un mondo in cui si stanno profilando le nuove geo-mappe del prossimo decennio.
Saranno 960 milioni gli aventi diritto al voto, in India, nelle 7 fasi elettorali che permetteranno a tutti i 28 Stati indiani e a tutti gli 8 territori dell’Unione di offrire ai loro cittadini la possibilità di esercitare il loro diritto di voto. Sono in palio i 543 seggi della Lok Sabha, il Parlamento di New Delhi che determinerà poi il nuovo governo della più grande democrazia del mondo.
Gli ultimi sondaggi danno per vincitore il partito che può contare su 180 milioni di iscritti (il più grande del pianeta!) il Bharatya Janata, quello del Premier Narendra Modi, che attualmente ha un consenso di oltre il 75% degli indiani. In India si è già votato, seppur a livello locale, nello scorso dicembre in tre Stati del nord e il risultato elettorale ha dimostrato una spaccatura tra il nord del paese, in mano al partito di Modi e il sud del paese dove resiste l’opposizione di centro sinistra.
Queste elezioni politiche, come cercheremo di spiegare più avanti, vanno al di là degli interessi nazionali o locali: il risultato rappresenterà una fotografia politica dell’India ben diversa da quella dell’India che conquistò l’indipendenza nel 1947. Ormai il paese guidato da Modi ha consolidato un suo ruolo internazionale nel solco della tradizione che ha visto sempre l’India barcamenarsi tra i vari grandi del pianeta con una politica che ha sempre mirato a non allinearsi in maniera irreversibile con nessuno.
I governi che si sono succeduti a New Delhi hanno via via stretto alleanze temporali e con finalità soprattutto economiche sia con la Russia, sia con la Cina, sia con gli Stati Uniti, a seconda dei momenti storici. Oggi l’India di Modi è diventata una delle grandi protagoniste del nuovo multilateralismo internazionale. Soprattutto il suo ruolo di contrappeso all’influenza cinese è destinato ad essere determinante nella competizione con la Cina di Xi Jinping.
Pur non essendo formalmente un’alleata dei paesi del fronte occidentale, l’India di Modi è diventata la speranza per Washington e per le altre cancellerie occidentali di arginare le politiche espansionistiche di Pechino nel mondo. Anche dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’India ha cinicamente mantenuto i rapporti con Mosca strappando condizioni di fornitura e prezzi estremamente vantaggiosi del petrolio, del gas e di altre materie prime fondamentali per la sua economia.
Nel contempo ha continuato a partecipare a tavoli mirati alla sicurezza del Far East insieme ad Usa, Giappone ed Australia nell’ambito di quella alleanza transitoria e ben perimetrata denominata Quad. Modi ha capito che era il momento di candidare il suo paese alla leadership dei paesi del cosiddetto Sud Globale, partendo da una posizione rilevante all’interno del gruppo dei Brics con l’obiettivo di uscire dal vecchio bipolarismo o tripolarismo Washington, Mosca e Pechino per entrare in una nuova dimensione delle relazioni internazionali con i paesi del sud aventi una pari dignità nei consessi politici ed economici più importanti
Modi ha saputo gestire, in politica estera, con grande equilibrio e cinica visione delle alleanze, l’attuale complessità internazionale, assumendo un ruolo sempre più centrale nelle negoziazioni diplomatiche che stanno costruendo la nuova governance delle geo-mappe di questo terzo millennio. Alla vigilia di questo suo terzo possibile mandato, Modi vuole consolidare il suo potere interno per avere poi un forte mandato a valorizzarlo nei suoi rapporti internazionali. La domanda di fondo che tutti gli osservatori si pongono in questa importante vigilia elettorale che, come abbiamo detto, riguarda potenzialmente quasi un miliardo di cittadini del mondo, è se sia corretto chiamare l’India ancora la più grande democrazia del pianeta.
Secondo alcuni, al di là delle apparenze, la gestione del potere da parte del partito al governo è tutt’altro che democratica e rispettosa dei diritti delle minoranze. Un segnale della crisi del modello democratico è stata anche, per alcuni osservatori occidentali, l’espulsione dal Parlamento di Rahul Gandhi e la sospensione, seppur temporanea, di altri 141 parlamentari dell’opposizione. Si parla anche di possibili brogli e di rischi di violenze ai seggi soprattutto di alcuni Stati della federazione indiana in cui la contrapposizione tra i partiti di centro destra e quelli di centro sinistra è più evidente e forte.
Sarà importante anche il ruolo degli osservatori internazionali che le Nazioni Unite invieranno in India per monitorare la correttezza delle operazioni di voto. Un altro tema delicato è costituito dalla convivenza pacifica tra le diverse etnie e le diverse religioni che coesistono nel paese da sempre. Negli ultimi vent’anni, prima di Modi, si sono alternati un presidente mussulmano (Kalam), un primo ministro sikh (Singh) e l’italiana Sonia Gandhi, per anni figura centrale nel Parlamento di New Delhi.
L’80% della popolazione è di religione indù e la tolleranza e la dialettica tra le diverse etnie alterna momenti di pacifica convivenza ad altri di tragici scontri con violenze e stragi ai danni delle minoranze. La grande operazione strategica realizzata da Modi è stata quella di concentrare l’attenzione della politica su un miglioramento della qualità della vita degli indiani, riducendone il tasso di povertà e aumentando via via il tasso di crescita del paese che nell’anno passato è stato intorno al 7,5% di incremento.
Modi ha voluto investire nella costruzione di un forte spirito identitario nazionale che superasse i conflitti interni e puntasse al consolidamento di un’immagine e di una reputazione dell’India nel mondo, molto forte e riconosciuta. Questa sua politica, che ha avuto ripercussioni sia all’interno che nelle relazioni internazionali, è stata denominata “nazionalismo induista”, un movimento trasversale in cui l’egemonia indù degli affari indiani è rimasta tale coinvolgendo però anche nel progresso economico le altre etnie e le altre religioni. Questo percorso secondo le minoranze ha tradito lo spirito pluralista indiano e sta prendendo una piega tipica delle autarchie, proprio quei modelli politici che oggi si battono contro le democrazie occidentali.
Il primo ministro indiano, in piena campagna elettorale, sta promettendo al suo popolo di far diventare l’India un centro politico ed economico (non solo per l’informatica, ma anche per il settore manifatturiero) a livello delle più importanti leadership internazionali. In un recente viaggio in India, abbiamo constatato che a fronte di un pessimismo pigro e latente circa il futuro del paese che esisteva fino ad una ventina di anni fa (grandi diseguaglianze, una élite economico-politica inamovibile, una redistribuzione della ricchezza fallimentare) oggi, dopo un decennio di governo Modi, si può riscontrare un diverso stato d’animo degli indiani. Innanzitutto, sta nascendo una borghesia, soprattutto nelle regioni del centro nord che, con un approccio ottimistico, ha seguito con entusiasmo ed impegno le direttive provenienti dal governo di Modi.
Insomma, l’India che oggi va alla verifica elettorale, è un paese che ha forti ambizioni di un nuovo posizionamento internazionale che, sempre nella cinica gestione delle alleanze con gli altri grandi giocatori delle geo-mappe internazionali, deve assumere un ruolo sempre più rilevante nel mondo. La nostra Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha instaurato, anche per conferma diretta dell’entourage di Modi, un ottimo rapporto personale e istituzionale con il leader indiano. Ha già ragionato e definito alcune iniziative di rilevante contenuto economico, come per esempio il mastodontico progetto di un’alternativa alla “Via della Seta” lanciata da Pechino 10 anni fa. Un progetto in cui l’Italia dovrebbe avere un ruolo primario nel presidio e valorizzazione dei suoi porti nel Mediterraneo.
Indubbiamente con questa nuova e fibrillante India degli ultimi 10 anni, sarà importante per l’Italia diventare un partner politico e soprattutto economico di valore strategico, magari contribuendo allo sviluppo di una vera cultura democratica nella gestione politica del paese di Modi. Il risultato quindi delle elezioni sarà importante per capire “quanto” e “in che percentuale” gli indiani credano nel progetto del loro leader e “quanto” siano disposti a sacrificare tale sviluppo in termini di tutela dei loro diritti civili e costituzionali.
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