Passeggiando nel bel centro di Rovereto per raggiungere il Museo dedicato alla Grande Guerra (imperdibile) ci si accorge di targhe su palazzi del centro con i nomi degli irredentisti (primi tra tutti Damiano Chiesa ed i fratelli Fabio e Fausto Filzi) che vi abitavano. Belle case del centro allora. Belle case del centro oggi. Irredentismo ed intellighenzia. Certo: per immaginare un Trentino diverso, svincolato dalle “pietrificate” logiche dell’Impero austroungarico, una Italia diversa, occorreva una “visione”. E una visione senza cultura è difficile. E la cultura era un privilegio. Lo studio un lusso. È quindi normale che gli irredentisti di sentimenti italiani fossero persone baciate dal privilegio della possibilità di studiare. Attenzione: non intendo “saper leggere, scrivere e far di conto”, perché fin dai tempi di Maria Teresa l’Impero Asburgico prevedeva “saper leggere, scrivere e far di conto” per gli abitanti anche dell’ultima valle, anche dell’ultimo maso. L’analfabetismo là non esisteva da oltre un secolo, contrariamente al Regno d’Italia che all’inizio del ‘900 (per la verità fino agli anni ’60) aveva ampie sacche di miseria e analfabetismo assoluti. Mi riferisco a una cultura di livello superiore.
Al Museo di Rovereto bisogna dedicare almeno una mezza giornata. C’è di tutto. E quando sembra di essere alla fine della visita, zacchete, la sala dedicata alla propaganda, italiana e nemica. Avvincente. Verso l’uscita si trova la ricca libreria nella quale per l’equivalente di un cappuccino si possono acquistare datate ma interessantissime pubblicazioni realizzate dal Museo. Non bisogna trascurare la sezione dedicata alle artiglierie, che si trova a pochi passi, in una galleria che durante il secondo conflitto mondiale fu utilizzata come rifugio aereo. All’esterno un grosso obice Skoda da 305 e la lapide commemorativa degli irredentisti. Dall’altra parte della strada ricordo lo Studio dell’Avvocato Sandro Canestrini, bella figura umana e professionale di Avvocato e intellettuale, mancato qualche settimana fa.
Visitato il Museo si può salire in auto verso il Monte Zugna seguendo le chiare indicazioni stradali. Ben presto dalla strada si scorgono grotte, tracce di insediamenti e casematte con bacheche illustrative. In prossimità di una curva si può parcheggiare e addentrarsi a piedi nel bosco per raggiungere un minuscolo, struggente cimitero militare dismesso (segnalato da una bacheca sulla strada). All’interno di una curva sulla sinistra il gigantesco cratere ancora oggi (cento anni dopo) ben visibile provocato da un colpo di obice da 305. L’occhio allenato non fatica a scorgere su entrambi i lati della strada, nel bosco, i segni di trincee e dei colpi di artiglieria. Ecco una curva a destra e la strada si fa meno ripida, la vegetazione si dirada, una “s” su quello che sembra un semplice prato e davanti, dietro una curva improvvisamente il trincerone italiano, ricostruito, in muratura. Siamo nella “terra di nessuno”, grondante di sangue. Poche decine di metri dietro di noi le trincee austroungariche perfettamente ricondizionate dai volontari degli Alpini e della Società degli Alpinisti Tridentini (la “mitica” SAT). Ai lati gli avamposti delle forze contendenti: quei ragazzi potevano praticamente guardarsi negli occhi. Il Monte Zugna (Zugna Torta, Coni Zugna) è stato duramente conteso in varie fasi della guerra con scontri sanguinosi, soprattutto nella primavera del 1916 durante la “spedizione di primavera”, offensiva austroungarica in grande stile, una “spallata” dimostratasi ben più insidiosa di quelle italiane sul fronte Isontino.
Saliamo ancora in auto lungo la strada asfaltata. Le bacheche illustrative sono sempre più frequenti, ci sarebbe da fermarsi in continuazione per visitare grotte, postazioni, trincee, tracce di insediamenti e fortificazioni. Si arriva dopo qualche chilometro al Rifugio Zugna, con comodo parcheggio, sulla destra. L’ultima volta che ci sono andato era gestito da una affabile famiglia originaria di Ferrara: abbiamo scherzato sul fatto che avessero comunque inserito in menù il cotechino e non la “salama ferrarese”. Poco più avanti l’Osservatorio astronomico. Prima per strada bianca e poi per sentiero ci muoviamo verso la vetta del Monte Zugna. Circa a metà percorso si apre un pianoro con resti di costruzioni, una grande vasca di raccolta per l’acqua e fortificazioni che costituivano base dell’insediamento militare, perno della difesa militare.
Stiamo sulla sinistra, ultimo strappetto e in breve arriviamo sulla vetta. Croce di ferro e pannello di orientamento: la vista è grandiosa. A Ovest la Valle dell’Adige e il Monte Baldo (dove combatterono con molta enfasi i futuristi). Poi il Monte Altissimo di Nago: la vetta fu raggiunta quasi subito e senza resistenza dalle truppe al comando del General Cantore (sì, quello ucciso dalla schioppettata in fronte sulle Tofane due mesetti dopo, con tutte le polemiche che ne seguirono). Anziché procedere con l’affondo verso Trento sfruttando l’effetto sorpresa, gli italiani si fermarono per il consolidamento consentendo così l’arrivo dei rinforzi nemici. E fu tutta un’altra storia… Lo sguardo procede sul Gruppo dell’Adamello, delle Dolomiti di Brenta e poi del Cevedale. A Est il Corno di Vallarsa (oggi Corno Battisti), il Pasubio con il Dente Austriaco e quello Italiano. Sotto scorre la Vallarsa e a sud le piccole Dolomiti e il Gruppo del Carega. Sempre a sud, ma più vicino, nel verde, oltre i Coni Zugna, Passo Buole. È lì che andremo subito.
Ritorniamo infatti sui nostri passi e arrivati all’insediamento sul pianoro restiamo sulla sinistra, superiamo i resti di un piccolissimo cimitero e seguiamo il sentiero verso il ghiaione, ripido, in discesa. Aprire gli occhi e silenzio, ci sono camosci anche in pieno giorno. Breve sosta per ammirare la Val d’Adige dai Coni Zugna. In falso piano, su sentiero in mezzo al verde, si arriva a Passo Buole, denominato in un noto comunicato “Termopili d’Italia”. Bacheche illustrative, cippi commemorativi, cimiteri e trincee. Per la verità, quando ci sono stato, meno ben tenuti che altrove.
Ritornando per lo stesso tragitto prima a piedi e poi in auto si può, volendo, tornare a Rovereto, visitare l’ossario di Castel Dante (se agibile, ci sono spesso lavori in corso) con i resti di una trincea in muratura proprio di fianco all’accesso pedonale. In pochi minuti a piedi si può raggiungere la gigantesca campana dei caduti.
Possiamo riprendere l’auto e percorrere la “strada degli artiglieri” con le lapidi dedicate ai militari del Corpo di Artiglieria insigniti della medaglia d’oro e raggiungere la Caverna Damiano Chiesa, il luogo dove fu catturato. Siamo, in sostanza, tornati sulle pendici dello Zugna sul versante nord-ovest. Una bocca da fuoco è ancora puntata sulla città di Rovereto ma la vista è impedita dalla vegetazione ormai cresciuta. Volendo strafare possiamo, in auto, muoverci verso la pianura seguendo il corso dell’Adige in direzione Ala sulla Statale 12. In località Serravalle rallentare e aprire gli occhi: a bordo strada, sulla destra, un cippo segna il luogo in cui la delegazione austroungarica si presentò con le credenziali per avviare la trattativa per l’armistizio.
Claudio Zucchellini
Leggi qui le prime tre puntate di Storia e storie camminando lungo il fronte, dal Tonale al Carso: