Innumerevoli e differenziate sono le raffigurazioni pittoriche e scultoree di Maria Vergine madre di Gesù Cristo, diffuse in tutto il mondo. Essa è rappresentata, nella quasi totalità, come simbolo di amore e di pace e le sue raffigurazioni armate costituiscono un rarissimo “unicum” nell’iconografia cattolica. Le sue immagini infatti la presentano generalmente in stati di amorevoli atteggiamenti verso il proprio Figlio o verso l’umanità.
Esse sono presenti in tutte le Chiese cattoliche del mondo eccetto che in alcune italiane nelle quali è rappresentata armata di spada o bastoni. Si tratta di quadri, pannelli, statue che si trovano in chiese, cappelle, santuari situati per la maggior parte nell’Italia meridionale ai quali si è voluto dare anche un significato politico. Ricordiamo fra questi i quadri e le statue della Vergine nella Chiesa di San Biagio a Avigliano (Potenza) ove è posto un quadro del 1642 di F.G. Bruscianino. Nel Santuario di Monfalco (Perugia) ove si
trova un quadro del 1510 di Tiberio d’Assisi. E poi altri nella Chiesa di Santa Lucia a Cingoli (Macerata), nel Santuario di Canna (Caserta), a Forio d’Ischia (Napoli), a Lamezia Terme (Catanzaro) e a Caltavuturo (Palermo). Tutti riportano effigi di Madonne in atteggiamento guerriero.
La Madonna del cavallo di Scicli
Fra questi, sono assai interessanti – per la loro storia e il
significato che venne loro attribuito – la “Madonna del cavallo” di Scicli (Ragusa) e la “Madonna del manganello” di Monteleone calabro (Vibo Valenza) ritratte entrambe armate di spada o randello. Esse vennero “adottate” dal Fascismo che ne fece un simbolo della “comunione di intenti” vigente all’epoca tra Chiesa cattolica e Governo fascista. La prima (Madonna del cavallo) è nota anche come “Madonna delle Milizie” (“Madonna ri Murici”) dalla località “ Milizia” della piana di Donnalucata (Ragusa) dove la Madonna a cavallo era apparsa.
Vergine a cavallo a difesa degli insulani
Essa è raffigurata in una statua e in un quadro che si trovano entrambi in Sicilia, nella stessa Chiesa madre di S. Ignazio di Scicli. Entrambi appresentano la miracolosa apparizione della Vergine nel corso della battaglia che ebbe luogo, nel 1091, tra siciliani e normanni contro i saraceni che avevano invaso la Sicilia e che vennero scacciati a seguito della miracolosa apparizione sul terreno della Vergine a cavallo a difesa degli insulani. La statua è di autore ignoto e la sua esecuzione viene fatta risalire alla seconda metà del XVIII secolo. E’ realizzata in legno e cartapesta colorata e rappresenta , a grandezza naturale, la Madonna in sella a un cavallo bianco bardato e impennato. Ella appare vestita con una gonna rossa, una camicia bianca, una corazza argentea, un manto celeste, e una corona lucente sul capo. Impugna e brandisce nella mano destra una spada rivolta in alto. Il quadro ripete l’iconografia della statua.
Stendardi, vessilli e militari in combattimento
E’ opera di Francesco Pascucci (1748/1803) , eseguita nel 1780 a olio su tela , delle dimensioni di metri 2,63 per 2,33. Vi è raffigurata la Madonna in sella a un cavallo bianco impennato, vestita con una una veste rossa e un manto azzurro , nell’atto di brandire con la mano destra una spada sollevata in alto. Alla sua sinistra compaiono truppe con aste, stendardi, vessilli e alla sua destra gruppi di militari in combattimento, interpreti della battaglia di Donnalucata. Sul petto del cavallo un cordoncino riporta il nome del pittore del quadro. Nella Chiesa è conservata anche una pietra , rinvenuta in località Milizie, nella quale è impressa l’impronta di uno zoccolo di cavallo, attribuita alla cavalcatura della
Madonna. La statua e il quadro sono stati assunti come portafortuna dalle Divisioni Camicie nere italiane nella guerra d’Etiopia del 1935.
Con il manganello di cartapesta
La seconda (Madonna del Manganello nota anche , in Calabria, come Madonna della Mazza) rappresenta anch’essa la Madonna in una statua in cartapesta colorata. Era stata realizzata nel 1936 dallo scultore leccese Giuseppe Malecore (1876/1967) come arredo per la Chiesa di San Michele a Monteleone calabro (Vibo Valenza). Pare che la statua fosse stata commissionata da due gerarchi fascisti monteleonesi, Mario Bianchi e Luigi Razza, in celebrazione dei primi gruppi fascisti calabri, ma non ebbe mai il riconoscimento ufficiale da parte della Archidiocesi di Reggio Calabria. La statua rappresenta la Madonna in piedi , con una veste rossa e un drappo azzurro. Con il braccio sinistro, sostiene il Bambino Gesù e con la mano destra brandisce in alto un nodoso bastone (manganello) a protezione di un fanciullo che appare a destra in basso, aggrappato alla sua veste.
Madonna del fascio
Il fascio littoreo offerto da due angeli
E’ opera di Leopoldo Battistini, marchigiano di Jesi (65/1936) che la eseguì –
con l’aiuto del portoghese Virato Silva – nel 1927 in Portogallo ove si era trasferito nel 1889. Nel pannello la Madonna appare seduta in trono con una veste rossa e un ampio mantello azzurro. Il suo capo è circondato da una aureola dorata con cinque stelle. Con il braccio sinistro sostiene il Bambino Gesù in piedi sulle sue ginocchia. Ai piedi del trono, fra due grossi vasi di fiori, vi sono, inginocchiati, due angeli, uno vestito di rosso e uno di verde, che offrono alla Vergine un grosso fascio littorio. Ai due lati del trono sono raffigurati gruppi di angeli musicanti e, dietro di loro, appaiono stendardi, insegne, aste
con fasci, aquile e corone. L’opera è racchiusa in una cornice istoriata che riporta, in cima, l’iscrizione “Madonna del Fascio”.
esporre il pannello a Roma a Palazzo Braschi (sede Ministero delle Comunicazioni ) e quindi lo fece trasferire nella sua residenza a Rocca delle Caminate (Forlì). Nel 1938 Mussolini lo regalò alle Suore Orsoline di Predappio per la Scuola d’Infanzia del loro Asilo Oratorio della Chiesa di Santa Rosa (era stato costruito tra il 1925 e il 1928 in omaggio a sua madre Rosa Maltoni). Nell’aprile 1945 squadre di partigiani fecero irruzione a Predappio nella Scuola delle suore con l’intenzione di distruggere il simbolico pannello
della “Madonna del fascio”.
Il quadro venne salvato grazie all’intervento di una coraggiosa orsolina, suor Natalia. Essa, subito prima dell’arrivo dei partigiani, aveva coperto il quadro con un mazzo di fiori, occultandolo alla loro vista e preservandolo dalla
distruzione. La “Madonna del fascio” non rientra fra quelle che la mostrano armata con armi in pugno: tuttavia viene assimilata a quelle in quanto il fascio littorio che le viene offerto dai due angeli è un inequivocabile esempio della ideologia violenta del regime che, con quel simbolo, aveva raggiunto il potere.
Tutte queste Madonne (e segnatamente quella col manganello) vennero fotografate, all’epoca, e riprodotte su santini religiosi sul retro dei quali furono stampati preghiere o sonetti a favore del Duce, diffusi successivamente in tutta Italia.
La colluzione tra Chiesa cattolica e il fascismo
Le vicende delle Madonne armate (con le connesse implicazioni politiche) sono state riportate anche in alcune opere letterarie. Asvero Garavelli (1902/1956) giornalista del regime fascista, direttore del periodico “Antieuropa” scrisse nel 1938 una serie di stornelli sotto forma di preghiere per il Duce che vennero riprodotti sul retro dei santini della” Madonna del fascio”. La nota poetessa e scrittrice intellettuale fascista Ada Negri, vincitrice nel 1931 del Premio Mussolini per la carriera, scrisse, nel 1943, una poesia sulla “Madonna del Fascio”, adeguatamente pubblicizzata all’epoca in campo letterario.
Ernesto Rossi (1897/1967) scrittore e storico, fu autore, nel 1958, del libro “Il manganello e l’aspersorio” sulle collusioni fra Chiesa e fascismo.
Biagio Gamba ha pubblicato il libro “Il fascio e la Croce – Viaggio nell’iconografia religiosa fascista” ed. Formentis 2020. Maria Cristina Gori (1954/2006) fu autrice della ricerca su “Asilo e Oratorio di Santa Rosa. Restauro della Madonna del Fascio” ricordata nel Convegno 2011 “L’arte in Romagna ”. Corrado Guzzanti è stato il regista del film del 2006 “Fascisti su Marte” nel quale si fa cenno alla “Madonna del fascio”.
Gustavo Ottolenghi