“Tagliandola grossa” si potrebbe dire che se il ’68 è stato l’anno degli studenti il ’69 è stato l’anno degli operai: poi quello slogan famoso “operai e studenti uniti nella lotta”. Lotta per il diritto allo studio, per la cultura che fosse sguardo e intervento sul mondo e non cieco nozionismo. Lotta per condizioni di vita, di salario e di lavoro migliori, per la casa, per i servizi. La Mostra fotografica “Rivalta ’69: la fabbrica, le lotte, le storie” (nel quadro della rassegna “’68-’69-Itinerari riBelli”) è aperta fino al 19 maggio 2019 al Castello degli Orsini di Rivalta.
Mauro Vallinotto – fotografo di spicco e di valore – ha estratto dal suo cappello a cilindro una serie di straordinarie foto dell’epoca in bianco e nero. Ma è un bianco e nero coloratissimo e palpitante “che parla”. Ogni foto è una storia. Una storia che merita di essere colta, raccontata, compresa. La realtà della fabbrica. Sembra di sentirli i rumori e gli odori della produzione ma anche della mensa, le voci, la fatica, il sudore. La dignità. Un universo di contadini e braccianti risucchiati dalla catena di montaggio, frutto dell’ingegno umano capace di trasformare una lastra di metallo in una automobile. Fiat. Mirafiori. Rivalta. Soprattutto Rivalta.
Il borgo con le sue strade di ciotoli. Qualche chilometro in là, nel quartiere “Tetti Francesi”, l’enorme stabilimento con quel ponte che scavalca Via Primo Maggio nel quale scorrevano le scocche dirette alla verniciatura e all’assemblaggio. Sullo sfondo i falansteri da “angoscia metropolitana”. E furono perfino una conquista perché quando arrivarono dal Sud i braccianti – poi operai divenuti “gente dei quartieri” – la casa non l’avevano e non l’ebbero per anni. Abitavano (per modo di dire) tuguri fatiscenti e “letti a turno”. Spremuti in fabbrica dai turni della catena “fordista” e taglieggiati fuori, da un Paese senza programmazione. E per di più guardati storto, i “terroni”. Sbaglio o questo passato, maledizione, non passa mai? Ecco un bambino che gioca in mezzo a una strada dissestata di periferia; ecco un corteo di tamburi-bidoni-striscioni-cappelli-guanti e sciarpe che esce dalla nebbia: epica e batticuore. Eccoli che dormono alla stazione. Eccoli che si aggrappano a un vagone. E poi lei, eccola, la reginetta di Rivalta, la 128 con quel fantastico motore “superquadro” e la trazione anteriore. ”Anche l’operaio vuole il figlio dottore” e vuole partecipare al banchetto del boom. Alcuni non si accontentano e vogliono un mondo in cui il denaro non sia metro del successo. ”La lotta continua”. ”Né servi né padroni”. Un pugno di anni dopo, quella canzone ”riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza”.
L’humus delle grandi riforme degli anni ‘70: lo Statuto dei Lavoratori; la legge sul divorzio; la legge di Tutela della Lavoratrici madri; la Legge sul processo del lavoro; l’istituzione del servizio civile con la possibilità dell’obiezione di coscienza; l’istituzione della CONSOB (tutela del risparmio e controlli più stringenti sui bilanci delle società di capitali);la maggiore età a 18 anni; la riforma del diritto di famiglia; la legge sul divieto di discriminazione sul posto di lavoro; la legge sull’equo canone; la legge sull’aborto; la legge Basaglia confluita nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Ma poi – raccontano i video proiettati nelle Scuderie del Castello – arriva la ristrutturazione, i 35 giorni di sciopero, Berlinguer imbarazzato davanti ai cancelli. E la marcia dei quarantamila a chiudere il decennio delle conquiste e aprire l’epoca del neocapitalismo. ”Disoccupate le strade dai sogni”.
Claudio Zucchellini