Ci sono avvenimenti fondamentali della nostra Storia che, per la loro lontananza, sembrano dimenticati dai contemporanei. Ed invece, anche come stimolo a credere sempre nel possibile miglioramento della situazione politica e sociale, è bene ricordare il passato al quale dobbiamo il nostro presente. Per l’Italia l’Ottocento’ fu il secolo del Risorgimento. Il secolo nel quale furono realizzate l’indipendenza e l’unità della nazione. Il secolo che vide gli Italiani battersi contro l’Ancien Règime e “risorgere”. Come ha scritto Giuseppe Galasso, gli Italiani vollero reinserirsi nell’Europa più colta, più avanzata, più civile, più potente e chiudere una lunga parentesi di infelice subordinazione ed emarginazione.
Roma nuova capitale del Regno d’Italia
Per completare l’unità della nazione, era necessario che Roma fosse la nuova capitale del Regno d’Italia appena nato. Cavour, in uno dei suoi discorsi del marzo 1861, che possono considerarsi il suo testamento politico, affermò: «Perché noi abbiamo il diritto, anzi il dovere di chiedere, d’insistere perché Roma sia riunita all’Italia? Perché senza Roma capitale d’Italia, l’Italia non si può costituire … L’Italia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per sciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa; ora, o signori, perché questa opera possa compiersi conviene che non vi siano ragioni di dissidi, di lotte. Ma finché la questione della capitale non sarà definita, vi sarà sempre ragione di dispareri e di discordie fra le varie parti d’Italia … E affermo ancora una volta, che Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia».
Ma il Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti, protetto dalla Francia cattolica del Secondo Impero di Napoleone III, si frapponeva alla realizzazione di questo sogno. E’ utile, dunque, ricordare le condizioni della città eterna sotto il dominio temporale dei Papi e la posizione del Pontefice nei confronti del nuovo Stato Italiano. La Roma del Papa – re, nonostante le immense bellezze spesso in rovina e la spontaneità del popolo che attraevano gli artisti da tutta Europa, era una città nel degrado. La campagna circostante, dal gigantesco latifondo incolto, entrava senza soluzione di continuità nel centro abitato con greggi di pecore che si aggiravano per le strade affollate di mendicanti. L’assolutismo del Pontefice era ancora intatto, sostenuto dalla nobiltà romana che con i suoi privilegi opprimeva la popolazione. Nel Seicento’ il busto di Pasquino (statua alla quale i cittadini appendevano dei fogli con satire in versi) aveva denunciato gli abusi commessi dalla famiglia nobiliare Barberini: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” (quello che non fecero i barbari, fecero i Barberini). Costoro, fra l’altro, sottrassero i marmi del Colosseo per adornare le proprie dimore.
Il Tribunale dell’Inquisizione era sempre all’opera
Lo era soprattutto contro la libertà di stampa, e l’abuso del potere delle autorità ecclesiastiche era diffuso, come rappresentato nella Tosca di Puccini. Nella Roma dell’antisemita Pio IX vi era l’ultimo ghetto ebraico della penisola, che verrà abolito solo con l’annessione della città all’Italia. E non vanno dimenticate neppure le stragi della popolazione compiute dalle truppe del Papa in occasione dei moti risorgimentali di Cesena e Forlì nel 1832, di Perugia nel 1859 e di Roma nel 1867. Pio IX fu inoltre ostile al nuovo Regno d’Italia, a causa dell’annessione italiana di parte del territorio pontificio, avvenuta nel 1860 e confermata dal successivo plebiscito della popolazione, e a seguito delle riforme adottate dal nuovo Stato italiano. Già il Regno di Sardegna nel 1850 con le “leggi Siccardi” aveva abolito i privilegi del clero.
Il Regno d’Italia andò oltre
Attraverso l’introduzione del matrimonio civile, la fine del monopolio scolastico cattolico, e la piena partecipazione dei non cattolici alla vita sociale e politica con il libero accesso alle cariche pubbliche. A tutto ciò il Papa rispose nel 1850 con la scomunica dei fautori delle leggi Siccardi e nel 1860 di tutti coloro che avevano contribuito all’unificazione. Poi, nel 1864 Pio IX fece pubblicare il “Sillabo degli errori del nostro tempo” con il quale venivano rifiutati, il liberalismo, il socialismo, la democrazia e la tolleranza. E nel Concilio Vaticano I del 1870 vennero ribaditi i tradizionali dogmi controriformistici con l’aggiunta, fra l’altro, dell’infallibilità papale. Anche altre questioni furono motivo di aspre tensioni con il Regno d’Italia. Negli anni 1862-66-67 furono votate infatti dal Parlamento italiano, per ridurre la potenza politica della Chiesa nemica dell’unificazione, leggi che abolivano gli enti ecclesiastici e disponevano la vendita dei loro beni. Le controversie più spinose, però, riguardarono i rapporti con i Vescovi. E furono la rivendicazione del Governo italiano del diritto di essere consultato per la loro nomina, che ora non veniva più riconosciuto dal Papa, e l’allontanamento di alcuni di essi, che si occupavano di politica, per comportamento ostile allo Stato italiano.
L’annessione di Roma era impellente
In questo clima infuocato di contrasti con la Chiesa era impellente annettere Roma. Nel corso dei decenni precedenti, vari erano stati i tentativi di liberare la città dal dominio temporale della Chiesa. Dalla Repubblica Romana del 1849 stroncata dai Francesi, ai tentativi di Garibaldi. La prima volta in occasione della spedizione dei Mille, bloccata dal re Vittorio Emanuele II nel celebre incontro nei pressi di Teano per evitare un intervento della Francia. Nel 1862, quando Garibaldi fu fermato in Aspromonte dall’esercito italiano, e i soldati dello Stato che aveva contribuito a creare gli spararono contro. E nel 1867, quando il Generale riuscì ad invadere lo Stato pontificio, ma fu fermato grazie ai Francesi a Mentana. Nel frattempo, il Governo italiano, guidato dalla Destra storica, aveva cercato nel 1864 una soluzione diplomatica e graduale alla “questione romana” attraverso la “Convenzione di settembre” con la Francia. Fu stipulato a Fontainebleau che la guarnigione francese stanziata nei pressi di Roma a protezione del Pontefice fosse ritirata e l’Italia desse garanzie sull’integrità territoriale di ciò che rimaneva dello Stato pontificio. Nell’accordo era compresa la scelta di Firenze come capitale, che si concretizzò e che significava la rinuncia a Roma. La Convenzione fu però spazzata via dall’azione di Garibaldi e dal rifiuto di qualsiasi accordo da parte del Papa che non voleva rinunciare al suo Stato teocratico.
La situazione internazionale favorevole all’Italia
Ancora una volta una situazione internazionale favorevole intervenne a favore dell’Italia. Il 19 luglio 1870 scoppiò un conflitto fra la Francia e la Prussia, e i soldati francesi a protezione del Papa ad agosto furono ritirati. Il 2 settembre Napoleone III fu sconfitto e preso prigioniero a Sedan. Il 4 settembre crollò l’Impero e venne proclamata la Repubblica, cui seguì a Parigi la celebre Comune. Per il Governo italiano, presieduto dal liberale Giovanni Lanza, era giunto il tempo di agire. Dapprima, con una richiesta di occupazione pacifica di Roma alla quale Pio IX oppose un rifiuto con la celebre frase “non possumus”. Poi, con l’incarico affidato al generale Raffaele Cadorna di conquistare Roma con un’operazione militare. Il 20 settembre 1870 i soldati italiani, al comando dei quali vi era anche Nino Bixio, accerchiarono la città difesa dall’esercito pontificio e cominciarono un fuoco di artiglieria su vari punti della cinta muraria. Sfondarono a cannonate le mura presso Porta Pia, obiettivo principale, ed invasero la città. Comandava la batteria di artiglieri che aprì la breccia nelle mura il capitano Giacomo Segre, fratello del nonno dell’avvocato Bruno Segre (fondatore e già direttore di questo giornale). Il militare ricevette l’incarico sia per le sue capacità balistiche, come risulta dalle testimonianze scritte dei suoi superiori, sia perché, essendo di religione ebraica, dava garanzia di non temere l’autorità del Papa.
Aperto il varco nelle mura, i Bersaglieri, seguiti dalla Fanteria, irruppero in città
Vi fu ancora un breve, ma violento, fuoco di fucileria e poi si sentì gridare “Viva l’Italia!”. Seguì un’immediata resa dei Papalini, come era stato ordinato dal Pontefice. Fra i soldati Italiani vi furono 49 caduti e 143 feriti, mentre fra i soldati del Papa i morti furono 20 e i feriti 49. Lo storico Ferdinand Gregorovius scrisse: «In altre circostanze questo avvenimento avrebbe scosso il mondo, oggi non è che un piccolo episodio nell’immenso dramma mondiale». In effetti, la copertura internazionale della stampa fu rivolta soprattutto all’assedio prussiano di Parigi. Furono comunque numerosi i giornalisti presenti, fra cui Edmondo De Amicis, corrispondente dell’“Italia Militare”, il quale scrisse che bandiere tricolori apparvero su finestre e balconi e che i romani si riversarono per le strade.
L’annessione del Lazio fu confermata da un successivo plebiscito
Il risultato fu quasi all’unanimità a favore dell’Italia e della fine dello Stato pontificio. La proclamazione di Roma capitale avvenne il 3 febbraio 1871. Il Parlamento approvò a maggio la “Legge delle Guarentigie” con la quale, secondo l’impostazione cavouriana, veniva sancita l’autonomia della Chiesa all’interno dello Stato italiano e veniva conferito al Pontefice il rango paragonabile a quello di un sovrano straniero, privo però di uno Stato territoriale. L’Italia si impegnava a non interferire nelle questioni spirituali, ma riaffermava la propria sovranità in relazione alle proprietà materiali della Chiesa. La legge non fu accettata dal Papa che confermò la scomunica del 1860, si considerò prigioniero in Vaticano e vietò ai Cattolici italiani, con l’espressione “non expedit” (“non conviene”), di partecipare alla vita politica nazionale. In ogni caso, Roma era finalmente la capitale d’Italia ed era cessato il potere temporale della Chiesa. Il trasferimento dei Ministeri da Firenze si ebbe il 30 giugno, l’ingresso del Re al Quirinale il 2 luglio. Il sogno di Guicciardini, Machiavelli e degli uomini del Risorgimento si era avverato. E con l’unificazione del Paese era cominciata anche la lunga e difficile marcia della libertà.
Lorenzo Bianchi