Dal 2020 ad oggi sono stati sette i colpi di Stato che hanno scosso l’Africa centro-Occidentale, sette episodi che portano a 214 i putsch attuati nel continente nero a partire dal 1950. Su 54 Paesi, 45 ne hanno fatto esperienza… di almeno uno. “Un’epidemia di colpi di Stato”, così nel 2011 Antonio Guterres, l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, aveva definito quel costante sovvertimento dell’ordine statale.

I colpi di stato in Africa rappresentano un fenomeno complesso con radici storiche, politiche ed economiche profonde. Essi sono stati prima di tutto una conseguenza dell’eredità coloniale. Il colonialismo ha lasciato confini arbitrari e strutture politiche fragili, che spesso non riflettevano le realtà etniche e culturali dei vari stati. Queste divisioni hanno contribuito a instabilità politica e conflitti interni, creando un terreno fertile per i colpi di Stato.

Altri fattori che possono essere indicati come cause scatenanti dei golpe sono: il malcontento generato dalla diffusa povertà e dalla disuguaglianza economica; una corruzione endemica e un generale malgoverno che hanno spinto le popolazioni a cercare la soluzione in cambiamenti radicali; la mancanza di istituzioni democratiche solide; i capi dell’esercito, una delle poche istituzioni organizzate e funzionanti, che hanno individuato in se stessi la capacità di stabilizzare il paese.

La comunità internazionale è spesso intervenuta, attraverso sanzioni o missioni di pace, col dichiarato obiettivo di stabilizzare la situazione; interventi che spesso hanno esacerbato le tensioni interne, occultando dietro “il generoso aiuto” intenti di sfruttamento delle risorse locali: oro, petrolio, uranio, diamanti, platino, cobalto, rame, gas naturale, cacao, caffè, cotone, tè

Perché interessarsi dei colpi di Stato in Africa in una fase storica in cui l’Occidente sta attraversando il momento più delicato a partire dal dopoguerra? Perché essi sono parte integrante di questa “delicatezza” geopolitica. Analizziamo il problema da un’altra angolazione.

Che il mondo stia cambiando è un concetto che viene ormai condito con le salse più disparate. Ebbene, anche l’Africa sta cambiando! Diversi studi e rapporti hanno indicato una crescita significativa della classe media in molti paesi africani. L’Africa sta attraversando una serie di transizioni di grande rilievo che definiranno il futuro del continente e che includono cambiamenti demografici, economici, tecnologici, socio-politici e ambientali. Il trend generale è positivo, ma variabile tra i diversi Stati e al loro interno. Nulla di trascendente, ma la palpabile sensazione del concreto avvio di un processo di crescita che contiene una certezza: sta nascendo un mercato africano! E questo spiega il perché dell’abbozzo di una corsa agli investimenti internazionali in Africa!

Cambia l’Africa, dunque… E cambia anche la natura dei colpi di Stato che continuano a verificarsi. Lo confermano i golpe che si sono verificati nel triennio 2021-2023: Mali, Guinea, Burkina Faso, Gabon e Niger. Un filo rosso lega questi ultimi cinque colpi di Stato, ma esso non è più rappresentato dalle divisioni etniche, dalle disuguaglianze, da una governance inefficiente, dalla ridistribuzione autoctona della ricchezza, bensì dalla dichiarata intenzione di allontanare le potenze occidentali dall’area per volgere lo sguardo verso nuove alleanze. Che si chiamano Cina, Russia e anche Turchia.

Qualcuno ha voluto vedere in questi eventi l’inizio di una Primavera africana, un rivoltarsi contro il colonialismo, per quanto camuffato. La cautela è d’obbligo, perché spesso si impiega la retorica antimperialista per ottenere il sostegno della “strada”. Tuttavia, è vero: c’è stato il sostegno della “strada”, l’unità del popolo, in questi ultimi colpi di Stato. La spiegazione è condensata nel proverbio africano che recita: “Il capretto morto non teme il coltello”, chi non ha niente da perdere accetta anche un colpo di Stato se li aiuta a stare meglio!

Dall’ultimo colpo di Stato, quello in Niger, arriva anche un altro segnale: a Namey, la capitale, la gente è scesa in piazza a sostegno del rovesciamento, sventolando la bandiera del proprio Paese e anche quella della Russia. Le truppe francesi sono state invece rimandate a casa, sostituite da quelle russe, segno del progressivo tramonto dell’influenza atlantica nel continente africano. Sostanzialmente gli africani non vogliono più basi straniere fuori dal loro controllo: per essere accettati, bisogna lavorare con loro, senza ignorarli. Sorprende che gli americani non l’abbiamo compreso, come dimostra il loro comportamento dopo il golpe, quando hanno addirittura smesso di condividere le informazioni anti-terrorismo raccolte con i loro droni. Ecco un altro segnale forte: Russia e Cina occupano lo spazio che non hanno saputo tenere la Francia e altre potenze occidentali! Cresce a vista d’occhio l’ingerenza di questi due Paesi che fanno promesse, in buona parte mantenute, attraverso la costruzione di infrastrutture e attività commerciali, senza esigere sottomissione politica, come invece hanno sempre fatto i francesi e gli angloamericani, per lungo tempo i pupari del continente.

Va da sé che le risorse naturali di cui dispone l’intero continente vengano viste come un ghiotto boccone non solo dalle insaziabili bocche delle potenze occidentali, che per la verità spadroneggiano sempre meno, ma anche dai nuovi partner che si presentano come i paladini di un nuovo credo: basta socializzare la povertà e privatizzare la ricchezza, bisogna collaborare in un’ottica di parità e reciproco rispetto! Un nuovo credo che consentirebbe al Niger, per esempio, di vendere a prezzi di mercato il proprio uranio senza essere saccheggiato dalla Francia. Corretto, senza alcun dubbio, ma questo obiettivo sembra contenere un potenziale aspetto inquietante: l’intenzione di vendere yellow cake, cioè materiale non raffinato contenente uranio, agli iraniani. Se questa fosse la verità, e non un ballon d’essai, c’è da chiedersi se sarà consentito ai nigerini vendere uranio a un Paese che la propaganda occidentale colloca tra i peggiori nemici.

L’Africa ha grandi potenzialità di sviluppo. Cina e Russia vogliono partecipare a questo sviluppo. In particolare, nel processo evolutivo già in atto, la Cina intende spostare le produzioni di beni a basso contenuto tecnologico verso Paesi che le accetterebbero volentieri, come i Paesi africani.

Cinesi e russi si sono proposti ai Paesi africani come partner concentrati sulle questioni economiche e intenzionati a fare affari insieme, sulla base di equità e reciproco rispetto e non come una prodiga entità che distribuisce beneficenza a fronte del cambio di abitudini culturali e, magari, di governo. Gli africani si sono resi conto della diversità di comportamento degli occidentali rispetto a cinesi e russi, e hanno scelto i secondi. I cinesi sono riusciti a far capire che senza industrializzazione, urbanizzazione e modernizzazione, l’Africa rischia di rimanere inchiodata sulla linea di partenza. Questo spiega perché la Cina stia dedicando gran parte dei suoi prestiti all’Africa per finanziare lo sviluppo delle infrastrutture. Forse lo fa ricordando il monito di un antico proverbio secondo il quale si può andare ovunque, anche verso la ricchezza, ma prima bisogna costruire la strada.

La Cina sta procedendo passo dopo passo, senza strombazzamenti propagandistici, verso la costruzione di infrastrutture di base – strade, ponti, dighe, ferrovie, centrali elettriche… – in modo che, quando le fabbriche si apriranno, la logistica e le catene di approvvigionamento saranno a disposizione degli africani per permettere loro di entrare nel ciclo della ricchezza. L’Occidente può rimanere indifferente a tutto ciò? Può girare la testa dall’altra parte per non vedere che, a seguito dei colpi di Stato del triennio 2021-2023, i soldati francesi vengono rinviati a casa, sostituiti da milizie russe? È forse per distogliere l’attenzione dei francesi da questa espulsione che Macron si è fatto portavoce della necessità di inviare truppe europee in Ucraina?

Può l’Occidente continuare a ritenere non importante l’invasione pacifica di un milione di cinesi che stanno costruendo piccole imprese ovunque in Africa, seminando una cultura imprenditoriale senza la quale è impossibile sconfiggere lo spettro della fame? Qui non si sta parlando della rinascita del colonialismo, ma della costruzione di una cultura della cooperazione che non ha bisogno di missili e carne da macello per svilupparsi. Può l’Occidente continuare a ignorare che nel Sahel è in netto calo la credibilità europea dopo la guerra del 2011 contro la Libia e l’assassinio di Gheddafi, la cui scomparsa ha spalancato le porte all’Isis, che non si è fermato in Libia ma vuole conquistare il Centrafrica? Gli interessi di questo calo di credibilità li stanno riscuotendo Russia e Cina!

L’Africa può diventare una potenza grazie alla sua crescita demografica ed economica? In un mondo in cui altri continenti si avviano al suicidio demografico, la risposta potrebbe essere affermativa, ma bisogna avere i piedi per terra… Se si vogliono vincere le Olimpiadi nelle gare di corsa! L’Africa non può limitarsi a “produrre” nuove generazioni, ma deve dare ad esse una formazione culturale e professionale adeguata, deve costruire lo stato di diritto, un’economia di mercato funzionante e una qualche forma di unità economica e politica. Deve darsi una governance in grado di curare, con capacità proprie e senza interventi esterni, la piaga della corruzione. E deve prevalere, con l’aiuto della tecnologia, sulle due barriere naturali difficili da superare: il Sahara e il Rift. E, infine, ha bisogno di partner… Che forse ha trovato!

Mario Grasso

Mario Grasso

Mario Grasso, laureato in Scienze Sociali, giornalista pubblicista, un passato da manager aziendale e saggista, un presente da scrittore di narrativa

Discussione

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *