Che grande scrittore il turco Ahmet Altan! Uscito dal carcere lo scorso 14 aprile, grazie a una sentenza della Corte Suprema turca che annullava la condanna all’ergastolo per aver sostenuto attraverso “messaggi subliminali”, in qualità di direttore del quotidiano “Taraf”, il presunto golpe del luglio 2016 contro Recep Tayyip Erdogan, ci ha consegnato un romanzo struggente Signora Vita, edito in Italia da Edizioni e/o per la traduzione dal turco di Nicola Verderame.
È un romanzo che ci parla d’amore, di tradimento, ma anche, soprattutto, in una chiave tanto trasversale quanto incisiva, della Turchia di oggi, dello stato di polizia, degli arresti arbitrari che rendono impossibile il ricorso allo stato di diritto, alla legge, dove anche gli avvocati della difesa corrono il rischio di essere arrestati, senza una precisa motivazione, semplicemente per esercitare la loro professione se questa si pone al servizio di un imputato inviso al regime. Ma questi sono gli aspetti politici che emergono nel cuore di una storia, anzi di due storie d’amore, attraverso le quali il Paese, la Turchia, si specchia in un coagulo di sentimenti, emozioni, riflessioni, poesia, che Ahmet Altan costruisce dando la parola al giovane Fazil che, in prima persona, racconta la sua storia.
Fazil è figlio di un ricco imprenditore agricolo diventato nullatenente nel giro di una notte, per un ingente raccolto di pomodori andati a male a causa di una contingenza economica della quale il regime porta la responsabilità politica. Una caduta sul lastrico che aveva procurato anche la perdita dei terreni, la chiusura dei conti in banca e, dopo una nottata d’angoscia, la morte per emorragia cerebrale del padre, lasciando soli Fazil e la madre. Ma, desiderio del padre, con le sue ultime volontà, era quello che il figlio non lasciasse l’università, continuasse gli studi, spingendosi fino a Istanbul dalla lontana provincia in cui si trovavano.
A Istanbul Fazil si sistemerà in un han, una sorta di ostello tipo alveare in cui convivono in camerette, con cucina in comune, povere persone, le più varie per estrazione e cultura. Tra queste, emergerà un vedovo con una figlioletta, un uomo soprannominato Poeta, perché tale lo credevano, in realtà era redattore di una rivista semiclandestina, un travestito, le cui vite, inevitabilmente, finiscono con l’essere promiscue, entrando così nella vita quotidiana del giovane ormai ridotto alla povertà.
Fazil fatica a mettere insieme il pranzo con la cena e, nel ricordo dell’abbondanza in cui viveva e che gli sembrava intramontabile, si arrangia con un pezzo di pane e un po’ di formaggio. “Nelle famiglie felici uno non riesce a imparare granché sulla vita, questo lo capisco adesso: è l’infelicità che insegna a vivere”. Ha poco o niente denaro con sé, per cui cerca un’occupazione che possa aiutarlo a sbarcare il lunario, mentre frequenta all’università intense lezioni di letteratura che lo aiutano a riflettere sulla letteratura, sul rapporto di questa con la vita reale, sul significato di libertà, chiedendosi se egli, Fazil, fosse un uomo libero, accorgendosi, mentre trascorreva i suoi giorni, di non avere “la forza di indirizzare la mia esistenza né chinando il capo né ribellandomi. Ero una nullità, la mia presenza al mondo non cambiava proprio niente”.
Un giorno, un amico gli dà l’indirizzo di una tv, dove fare il figurante, a pagamento, tra il pubblico di una trasmissione in cui donne belle e procaci, molto discinte, ballano e cantano. A un certo momento, il caso lo porta a conoscere e poi ad essere invitato a cena da una delle cantanti, molto più grande di lui, l’affascinante Hayat Hanim, della quale Fazil è rapito anche per una certa spontanea gioia di vivere che manifesta attraverso una sensualità della quale resterà presto prigioniero, prima in forma timida e imbarazzata poi andandoci a letto, trascinato dalla donna molto più esperta di lui e che con lui prenderà a comportarsi come una sorta di protettrice, al punto da aiutarlo economicamente e a prestargli l’auto per andare all’università.
Nel frattempo, Fazil ha fatto conoscenza con una bella ragazza, Sila, dalla quale apprende di condividerne il destino: anche lei proveniente da una famiglia ricca, caduta in disgrazia con il regime che ha provveduto a chiudere l’azienda al padre, a sequestrargli i conti e a cacciarli da casa. Racconta Sila:“Siamo usciti in piena notte con una valigia a testa, mio padre ha provato a opporsi alla polizia… Non gli hanno permesso di chiamare gli avvocati. Hanno persino sequestrato i cellulari dei miei… Vicino a casa c’era un piccolo parco, siamo andati lì”. Anche con lei Fazil darà vita a una relazione, che scorrerà parallela a quella con Hayat, situazione che getterà Fazil nella confusione, nei sensi di colpa per le menzogne a cui ricorrerà per nascondere il rapporto con le due donne. Sila, vedendolo una volta con Hayat, gli chiede chi fosse quella donna “anziana” e Fazil le mentirà dicendo che era la sarta della madre. “Mi sentivo profondamente legato a entrambe, e nei confronti di entrambe – anche se non ci eravamo promessi niente – provavo un forte senso di colpa. La reticenza sotto cui celavo ciò che accadeva, il non rivelare tutta la verità era per me una pesante colpa. Dal mio silenzio imparavo che nel non detto poteva nascondersi un tradimento…”
Ma la vita degli amanti non è chiusa nelle rispettive monadi, per le incursioni della politica nella vita di ciascuno: ecco il padre di Sila arrestato e Fazil che si alterna con lei per quattro giorni e notti fuori della centrale di polizia in attesa di vederlo uscire, ecco il Poeta che, per aver scritto articoli non graditi al regime, si vede la polizia armata buttare giù a spallate la porta della sua cameretta, e che per fuggire si getta in strada dal balcone, pur nel vano tentativo di Fazil di convincerlo a non farlo, poi, ancora, il travestito, Gülsüm, che sarà vittima di pestaggi da parte delle bande di integralisti che lo hanno visto passare vicino alla moschea, le stesse bande che irromperanno nella trasmissione televisiva, considerata scandalosa, in cui Hayat canta e Fazil fa il figurante, e poi la guerra tra poveri, le camerette dello han lasciate temporaneamente vuote subito occupate abusivamente da altri, in un’atmosfera di oppressione.
Situazione generale che spinge Sila a proporre a Fazil di andarsene dalla Turchia, di raggiungere insieme il Canada, dove lei ha dei parenti, e lì finire l’università e sistemarsi. Fazil la illude di seguirla, lo dilania però l’angoscia di abbandonare Hayat: un dilemma che lo travolgerà, portandolo a misurarsi con il grande tema della libertà e della felicità, che lo porrà a confronto con il tema dell’amore, della libertà, della felicità. Con il tema, cioè, della “Signora Vita” che dà il titolo al libro e le cui riflessioni, legate al diverso comportamento e sentire delle due donne, costituiranno le ultime sorprendenti pagine, non prive di poesia, che chiuderanno questo romanzo del quale lascio al lettore la inaspettata conclusione, non tacendo però, se vale l’emozione del recensore, sul fatto che Signora Vita è uno tra i più belli e intensi letti negli ultimi mesi.
Diego Zandel
Ahmet Altan, Signora Vita, edizioni e/o, pag. 213, €. 17,00