La ripresa mondiale dovrebbe essere ripartita. Finalmente gli indicatori macro economici parlano di crescita e di sviluppo. Non uguali per tutti, sia chiaro, ma generalizzati con il segno “+”.
C’è un dato però sorprendente ed insidioso da non sottovalutare: l’aumento dei prezzi, in certi casi clamoroso, inatteso, spesso incomprensibile, di certi beni di consumo. La risposta degli esperti o dei produttori, accusati di speculare proprio sulla voglia di ripresa del mercato, è molto stringata: sono aumentate le materie prime. Dopo anni di prezzi bloccati alcune fonti sono esplose con pesanti ricadute sui prezzi di acquisto per le filiere industriali interessate.
Ragioni economiche o, di nuovo, astuta geopolitica? Dipende dai casi. A questo proposito, per capire meglio i razionali che sovraintendono a questo bizzarro contesto macroeconomico, è estremamente istruttiva la lettura del libro “Altre storie straordinarie delle materie prime” di Alessandro Giraudo (Add Editore).
Economista, Giraudo ha lavorato in diverse università e attualmente insegna Finanza internazionale a Parigi presso l’Istitut Superieur de Gestion. Secondo Giraudo, ma la sua opinione è condivisa da molti, la storia, anche più remota, ci insegna che scatenare guerre per ottenere il controllo di una risorsa è connaturato con l’esistenza dei primi esseri umani. Da migliaia di anni una gran parte dei conflitti è stata proprio innescata o dalla carenza di materie prime, o dal monopolio delle stesse da parte di pochi. Il volume analizza un gran numero di materie prime che l’uomo ha sfruttato nella sua storia nei modi più impensabili.
Pepe, talco, grafite, amianto, persino il guano animale: tutto sembra aver avuto un suo momento d’oro, come ha brillantemente scritto nella sua recensione allo studio di Giraudo, Danilo Zagaria su La Lettura.
“E tutto, prima o poi, sembra essere stato conquistato o difeso con le armi. Spesso è stata la stessa materia prima a foraggiare e allungare conflitti che altrimenti si sarebbero risolti più rapidamente”. Non vogliamo, né dobbiamo, fare del terrorismo dialettico, né del sensazionalismo da strapazzo, ma nello stesso tempo, non dobbiamo sottostimare cosa ci insegna il passato.
Il libro di Giraudo ci fa toccare con mano quante volte nella storia dell’umanità, la detenzione e/o disponibilità di certe materie prime abbia scatenato guerre fratricide tra i popoli. La storia recente ha visto il petrolio come grande protagonista di scontri tra nazioni armate. In tutto il ‘900 proprio il petrolio è stato la causa di numerosi conflitti militari, alcuni non sempre ufficialmente dichiarati.
Oggi, ad esempio, il coltan ha assunto il ruolo di protagonista del mercato. Stiamo parlando di una risorsa della quale i più ignorano ancora oggi l’esistenza, figurarsi i suoi utilizzi.
Eppure ciascuno di noi ha con sé un po’ di coltan, tutti i giorni, in quanto costituisce uno degli elementi fondamentali di ogni nostro smartphone. Formato dalla fusione di due minerali, la columbite e la tantalite, il coltan è una materia prima di fondamentale importanza in tutte le filiere delle TLC, dell’IT e della robotica. Dove si trovano le miniere dei due minerali necessari per la sua nascita?
Guarda caso in Congo, il paese dell’Africa che fin dagli anni ’50 è stato teatro di terrificanti conflitti militari tra diverse tribù o tra diverse nazioni. La provincia congolese del Kivu Nord è ricchissima di coltan motivo per cui la Repubblica Democratica del Congo è attualmente il vero e proprio Eldorado per i mercati.
Proprio all’interno di quel territorio, si sta giocando una guerra “a bassa intensità” molto sanguinosa nella quale bande di guerriglieri si combattono proprio per difendere o conquistare il controllo dei giacimenti di questi minerali, essenziali per finanziare le loro attività.
Probabilmente il tragico assassinio del nostro Ambasciatore Attanasio, in quella regione, deve essere inquadrato in questa permanente e silenziosa guerra civile causata proprio dall’impossessamento delle materie prime esistenti.
Più a nord, sempre in quella zona dell’Africa, la situazione non cambia di molto. In Niger e nel Mali, due paesi che sono spesso sulle prime pagine dei media internazionali a causa di scontri a fuoco tra diverse fazioni, si sta combattendo una guerra per presidiare o per conquistare i giacimenti di uranio che sono l’obiettivo primario delle azioni militari dei gruppi terroristici del Sahel.
Ma tali emergenze belliche hanno caratterizzato da sempre, come dicevamo, la storia dell’umanità. Sono innumerevoli i casi in cui le materie prime hanno giocato un ruolo fondamentale nello scatenare una guerra.
Il libro di Giraudo ci fornisce parecchi esempi: fin dalla seconda guerra punica, si lottò per le coltivazioni di sparto, pianta da cui si ricavava il sartiame per le navi. Nel 1540 Perugia si ribellò contro lo Stato Pontificio per via di una tassa sul sale. Nel ‘600 gli olandesi conquistarono e difesero le Molucche per ricavarne chiodi di garofano. Nel 1800, Cina e Gran Bretagna scatenarono una guerra proprio a causa del commercio dell’oppio. Gli stati confederati degli Stati Uniti d’America, a metà dell’800, cercarono di scatenare la secessione dal nord proprio per salvaguardare la loro economia fondata sulla produzione del cotone e del tabacco, attraverso lo schiavismo. E ancora, il Cile sconfisse Perù e Bolivia che gli contendevano pezzi di territorio ricchi di guano e salnitro. Il Brasile, ai primi del ‘900, strappò alla Bolivia la regione dell’Acre, ricca di caucciù. Per tornare ai nostri giorni, la Francia è impegnata militarmente nel Niger e nel Mali per le miniere di uranio che abbiamo già citato, mentre nel Messico il traffico di cocaina ha scatenato una vera e propria guerra civile.
Le recentissime crisi diplomatiche tra Francia e Gran Bretagna e tra Giappone, Cina e Taiwan nel Mare Cinese Meridionale, ci mostrano un nuovo ed interessante scenario: le dispute legate alle risorse ittiche nascoste sotto le onde degli oceani. Diritti di pesca e controllo di giacimenti di idrocarburi sono infatti i “driver” che stanno muovendo le diplomazie e le flotte di navi militari in quelle zone.
Sono esempi che segnalano un problema colossale per gli abitanti del nostro pianeta: il segnale di un mondo che sta iniziando a grattare il fondo del barile e che quindi è animato dall’angosciosa ricerca di accaparramento delle sempre più rare materie prime, da parte di numerosi paesi.
“La “caccia” ci sta progressivamente spostando – ha scritto Danilo Zagaria – in aree prima impensabili come le distese d’acqua a nord del Circolo polare Artico. Sempre più blu perché libere dal ghiaccio a causa del riscaldamento globale, sono lo scenario di una nuova epoca di sfruttamento e militarizzazione, segnale, questo, che nuovi fronti di attrito tra le potenze mondiali, si sono aperti laddove prima transitavano soltanto immense rompighiaccio”.
Come ci evidenzia giustamente Alessandro Giraudo nel suo libro, “alcune aree calde del mondo rappresentano situazioni che sarebbe davvero opportuno evitare di perpetrare o addirittura moltiplicare in futuro. La Striscia di Gaza è uno di questi luoghi, sovrappopolata e spesso a corto di fornitura di base, lamenta persino la mancanza dello spazio per gestire le tonnellate di rifiuti che ogni giorno i suoi abitanti producono. Il riacutizzarsi periodico del conflitto in questa regione è anche un problema demografico, di risorse e di spazio, e lo sarà sempre di più, ogni anno che passa”.
Insomma, cerchiamo di leggere il trend dei prezzi e degli aumenti delle materie prime non soltanto dal punto di vista dei rimbalzi dei costi sulle nostre economie e sui nostri portafogli personali, ma anche, come un indicatore di geopolitica per capire meglio cosa stia accadendo nel mondo della politica internazionale tra le nazioni.
Riccardo Rossotto