C’era parecchio fermento a Torino in via Garibaldi al numero 13.
Si entrava in un cortile acciottolato malamente e di fronte (dietro a una vetrata) c’era la sala per le assemblee del Partito Radicale del Piemonte, con una cinquantina di sedie assortite.
Sulla sinistra, in un grande stanzone soppalcato, montagne di manifesti e tavoli da imbianchino accatastati vicino a fustini di detersivo vuoti che contenevano i kit per la raccolta firme. Le penne BIC, il materiale da distribuire ai tavoli, il megafono RCF e i moduli prefincati.
Sulla destra si apriva una porta che dava in una piccola saletta divisa in due da una parete con un vetro a doppia camera.
Era tutto rivestito da portauova in condizioni pietose. Avevano però il pregio di isolare dal freddo e dal rumore, oltre a trattenere la polvere. Le aveva regalate a Radio Radicale un grossista di uova e pollame di via Barbaroux, a un isolato di distanza. Qua e là qualche piumetta incrostata di tuorlo ancora visibile, testimoniava la provenienza ruspante di quella regalia.
L’odore di fumo dentro a quel locale era terribile, come la polvere che nessuno levava.
ERA L’ESTATE DEL 1976 ED ERA RADIO RADICALE 90 E 300 CHE TRASMETTEVA IN MODULAZIONE DI FREQUENZA.
Pochi mesi prima in un bilocale, nei pressi di Villa Pamphili, era nata Radio Radicale a Roma. La cabina di regia torinese e lo studio di registrazione occupavano meno di venti metri quadri e il collegamento tra l’antenna trasmittente e lo studio, avveniva con una connessione telefonica a 300baud attraverso un acoustic coupler. La qualità del segnale era miserrima, ma la voce si riusciva a distinguere. E ciò bastava.
Si metteva la cornetta telefonica in un alloggiamento dotato di due morbide membrane, che isolavano dai rumori esterni, e sotto la guida di un grande esperto in telecomunicazioni come Albanese, il segnale tra la regia e l’antenna veniva stabilito.
La prima collocazione del trasmettitore e dell’antenna fu il tetto di un condominio dalle parti di Corso Francia, da cui si dovette sloggiare dopo pochi mesi.
Le interferenze generate rendevano impossibile la visione del secondo canale Rai e l’assemblea condominiale intimò a Delfina, che ci aveva ospitati sul tetto del suo attico, di eliminare la causa accertata di tutta quella neve sui cinescopi dei proprietari.
Delfina era la figlia di Armando Testa, l’indimenticabile genio creativo del pianeta Papalla, di Carmensita e del logo Punt&Mes. Era stata Titti Muratore (la prima direttrice di Radio Radicale) a coinvolgerla per collocare l’ingombrante trasmettitore dotato di valvola da ben 100watt e di un palo d’antenna di 3 metri con un unico dipolo striminzito.
Radio Maria non c’era ancora, ma si doveva fare già i conti con le radio commerciali, assai più dotate sul fronte delle apparecchiature di alta frequenza. La bassa frequenza era rappresentata da due giradischi Lenco, un mixer Teac a 6 piste e 4 microfoni Sennhaiser, uno in regia con il paravento giallo e 3 in studio collocati ai lati del tavolo. I dischi provenivano dalle case degli operatori che si avvicendavano alla consolle. Molti erano miei con cantautorame assortito, c’erano quelli di Bobo con i suoi chansonnier, Dante e la sua collezione di Blues. Le interviste le facevo io con un vecchio registratore portatile che si mangiava le cassette, ma con quel ferro vecchio intervistai Paola Borboni, Paolo Poli e Lucia Poli, Eugenio Finardi che mi parlò del suo desiderio di entrare nella “meccanica della dinamica della Storia”, Gianna Nannini che venne in Radio, da absolute beginner a presentare il suo primo LP (quello con il vibratore in copertina) uno sconosciuto Renato Zero, quasi anoressico, e una star come Francesco Guccini, intercettato dietro al palco del Palasport.
Venivano a trovarci giornalisti incuriositi come Ezio Mauro che a quel tempo scriveva per la Gazzetta del Popolo, avvocati non ancora famosi come Mittone e Gianaria, venne anche Zagrebelsky, non ancora assiso sugli alti scranni.
E poi (ovviamente) Marco Pannella che impestava di Celtique i 25 metri cubi foderati di portauova che rilasciavano poi l’inconfondibile lezzo per settimane.
Nei primi anni di vita ogni Radio Radicale locale aveva una sua programmazione e una propria regia indipendente. Le trasmissioni centralizzate da Roma arrivarono qualche anno dopo. Gli ascolti aumentavano: politica, dibattiti, musica senza pubblicità. Eravamo una voce dissonante dal coro partitocratico, come lo definiva Marco con uno dei tanti neologismi che si diffusero rapidamente.
NEL 1978 SI DECISE DI FARE IL SALTO DI QUALITÀ.
L’ antenna venne trasferita sulla collina torinese, che garantiva quei 400 metri in più per coprire Torino e i paesi a nord che vennero “illuminati” da ben 4 dipoli collocati su un palo strallato di 8 metri sul tetto di una stalla di maiali.
Avevo trovato quel sito dopo aver chiesto a un compagno di scuola di poter utilizzare il ristorante paterno con una cucina a base di funghi a 15 minuti di vespa dalla Gran Madre di Dio. Si prendeva la strada ripida che saliva nell’ombra di Villa della Regina per arrivare 300 metri più in alto in località Fontana dei Francesi. Nonostante le rassicurazioni, Il padre aveva opposto un netto rifiutò, ma ci aveva suggerito di chiedere al “porcaro”, che aveva occupato abusivamente una cascina a un tornante di distanza. Si mormorava che fosse ai domiciliari comminati dalla Procura di Palermo.
Con l’aiuto di Pino, che capiva la lingua, la trattativa fu veloce. Il “porcaro” parlava siciliano stretto ed era un tipo tosto (pure troppo) con il quale era stato necessario stabilire un rapporto inquietante: fummo cooptati (presumo per puro sadismo) nell’uccisione di un suo maiale. Un’esperienza che avrebbe spinto al veganesimo più radicale chiunque, ma una infanzia a salsiccia e gramigna, oppose argine invalicabile a quella scelta scellerata.
Era il tempo del Far West nelle radio che sorgevano come funghi dopo la pioggia notturna.
La campagna referendaria esigeva una copertura migliore e allora, con mezzo milione, raccolto in autofinanziamento, andammo a prendere una nuova valvola dal rappresentante milanese di una ditta tedesca che produceva valvole over 1000watt.
Con quella potenza e i 4 dipoli collocati in collina, riuscimmo a raggiungere Lanzo (quasi quaranta chilometri a nord)
Ma ancora non era sufficiente.
Adelaide Aglietta, Giovanni ed Elena Negri volevano una copertura più vasta, più regionale. Avevamo bisogno di un posto alto, molto alto, che coprisse ciò che era a sud della collina torinese e magari anche il resto del Piemonte.
Paolo Vigevano al tempo era il Tesoriere nonché direttore di Radio Radicale, mosse le sue conoscenze e trovammo ciò che cercavamo. La Madonna Nera di Oropa era l’ideale. Alta, senza trasmettitori intorno, strategica.
E fu la volta di Hans Fisher un signore di Zurigo che ci portò, con un autoarticolato, un traliccio di quelli tosti che posizionammo sulla collina di Oropa. Eravamo solo in tre a issarlo: Io, Pino e Hans ma fummo in grado di piazzare un traliccio di 25 metri di altezza su cui troneggiava un solo dipolo tostissimo.
Il trasmettitore usato era stato rilevato da una radio Comasca che trasmetteva musica classica e tutto il materiale complementare lo prelevammo in un magazzino della Elettronica Industriale di proprietà di tale Geom. Adriano Galliani (che al tempo aveva pochi capelli e nessuna ambizione politica).
Oropa illuminava il Piemonte e arrivava alle porte di Milano.
SUL FINIRE DEL 1979 SI VERIFICÒ LA SVOLTA CENTRALISTA CHE NON VENNE PRESA BENISSIMO DA COLORO CHE ASCOLTAVANO RADIO RADICALE.
Gli ascoltatori fissi erano abituati a una edizione locale piuttosto caotica, ma assolutamente interessante per la varietà dei contenuti che venivano proposti:
Spazi autogestiti di qualunque natura vi possa venire in mente: Fuori, Autocoscienza, medicina alternativa, macrobiotica, Collettivo Trans (il prodromo LGBT), Nucleare No Grazie, il Ghiottone, I Dubbi del Sabato Sera, Bob&Jack, Antivivisezionisti, LIPU, WWF
Sì iniziò a trasmettere da Roma con una linea dedicata che collegava tutte le emittenti sparse sul territorio nazionale.
Eravamo in diretta costante, e i lavori parlamentari iniziarono ad essere trasmessi sistematicamente. La parte musicale era sempre stata piuttosto compressa, in favore dei dibattiti, delle interviste, dei fili diretti che contraddistinguevano le trasmissioni rispetto a quelle delle radio concorrenti.
Rubriche autogestite e trasmissioni decisamente sperimentali come “I dubbi del Sabato Sera” dove in realtà si attaccava alle 23:00 e si finiva alle 5:00 con l’aiuto di una cassa di birrette Moretti (piccole però).
Arrivò poi la svolta “classica”.
Sigle con messe da requiem e pezzi classici piuttosto severi, in modo da rendere il segnale sempre riconoscibile quando si scansionava l’etere. Si vociferava che questa impostazione fosse stata suggerita da Roberto Cicciomessere a Pannella e che Marco si fosse convinto all’istante.
Una notazione a parte merita il “Filo Diretto” che nacque nella Radio Radicale di Torino da un’idea di autofinanziamento. Quella che poi diventò “radio parolaccia” fu una intuizione che consentiva a chiunque di poter dire la propria per due minuti senza alcuna interruzione. Conquistammo spazi nei giornali che commentavano esecrati la tracimazione volgare del popolo becero e villano. Eh sì… Perchè gli interventi erano spesso sequenze ottundenti di bestemmie e termini da trivio.
Fino a quel momento esisteva una sorta di censura che poteva essere esercitata da parte del conduttore, durante i fili diretti. Era capitato di azzerare l’audio nel momento in cui l’interlocutore all’altro capo del filo trascendeva e offendeva.
Attivammo una segreteria telefonica che doveva essere scaricata costantemente in quanto i messaggi entranti erano centinaia.
Venivano trasmessi puntualmente, e questo modus operandi fece balzare gli ascolti della radio come mai prima di allora.
La cronaca mancanza di soldi contraddistingueva le iniziative radicali allora come ora. Iniziavano le trasmissioni radio votate alla autofinanziamento consentendo ai cittadini di intervenire in diretta e senza filtri. Più il conduttore era trasgressivo è più piovevano le telefonate per lo più di coloro che godevano nello scaricare ogni tipo di contumelia (in certi casi sordide minacce) nei confronti del diverso di turno. Molinengo (uno dei più noti membri del FUORI) era il bersaglio preferito. Al delicato “cupio” si alternava “Frocio di Merda sappiamo dove abiti” dopodiché arrivavano telefonate che annunciavano il sostegno economico.
Più le ingiurie erano disgustose e becere e più aumentava l’importo delle donazioni.
Una volta appreso quel meccanismo mediatico confesso di aver simulato qualche telefonata particolarmente becera per dare il via al ciclo virtuoso, ma ero giovane e speranzoso e mi autoassolvo per aver cavalcato la tigre mediatica con una metodologia discutibile.
Per salvare Radio Radicale dalla chiusura arrivammo anche a mettere all’asta i nostri dischi e nel corso della trasmissione in diretta un mio disco “Io se fossi Dio” di Giorgio Gaber venne aggiudicato per mezzo milione di lire.
Andammo a portarlo al compratore che stava in una bella casa di via Po. Ci venne ad aprire una governante arcigna che ci introdusse in un salotto di legno e tappeti con un pianoforte a mezza coda.
Era un musicista in pensione, quasi cieco, che non si muoveva più di casa e che ascoltava solo Radio Radicale. “Siete diventati la mia famiglia e non posso pensare di perdervi”.
Frasi che rimangono in testa per la vita.
Giulio Galetti