5 maggio 2020.
“Ei fu…” non vorrei che l’Ode manzoniana in onore di Napoleone, morto in esilio nell’isola di S.Elena il 5 maggio 1821, possa diventare l’epitaffio dell’Unione Europea.
Infatti lo scorso 5 maggio 2020, la Corte Costituzionale Federale tedesca, pur approvando l’operazione di acquisto di titoli pubblici emessi dagli stati membri, avviata dalla BCE nel 2015 (il Quantitative Easing), ha formulato alcuni Alert (secondo molti, ingiustificate e illegittime minacce!) alla prosecuzione di una attività di finanziamento degli stati membri in difficoltà, senza il rigoroso rispetto del principio della “proporzionalità” sia con riguardo agli effetti di politica economica e fiscale derivanti da tali interventi di acquisto, sia alle cause originarie e scatenanti l’intervento medesimo, sia, infine, con riferimento ai beneficiari dell’operazione medesima.
Per la prima volta nei suoi 70 anni di vita, l’Unione Europea deve registrare l’esistenza di un conflitto giurisdizionale tra la Corte di Giustizia Europea (unica istituzione comune degli stati membri legittimata a giudicare norme di interesse comune) e la Corte Costituzionale di uno stato membro, seppur fondamentale come quella tedesca.
Il tema sollevato è cruciale per il futuro dell’Unione Europea.
La questione messa sul tavolo, con rigorosa severità, dai giudici di Karlsruhe, la città del Baden-Wurttemberg che dal 1951 ospita la sede della Corte Costituzionale Federale tedesca, è in sostanza la seguente: la Banca Europea, presieduta da Christine Lagarde, risponde del suo operato alla Corte di Giustizia Europea che rappresenta la Corte superiore a livello europeo oppure alla Corte Costituzionale di ogni stato membro che le può imporre quindi il livello e le modalità di certi criteri dei suoi interventi finanziari sui mercati?
Siamo dunque di fronte all’innesco di un ordigno politico-legale che mira a sottolineare il ruolo confederale dell’Unione Europea, ammazzando quindi il sogno di un ruolo federale? Una manovra originata da quella parte della leadership politica e imprenditoriale tedesca che non vede bene una evoluzione dell’attuale UE in un vero e proprio stato federato?
La cronistoria dei fatti
Prima di entrare nel merito della decisione dell’Alta Corte di Karlsruhe, cerco di riassumere i fatti salienti affinché tutti abbiate cognizione storica e tecnica dell’accaduto.
– Il Quantitative Easing, il piano di acquisto di titoli, soprattutto di stato, della BCE, è stato avviato da Mario Draghi il 4 marzo del 2015: la prima fase si è conclusa a fine 2018 e il piano è stato riattivato dallo scorso mese di novembre.
– La Corte di Giustizia Europea, l’11 dicembre 2018, ha respinto il ricorso tedesco contro tale programma di acquisti di titoli di stato dichiarandone la legittimità e coerenza con il Trattato.
– A marzo 2020, all’inizio dell’emergenza Covid-19, la BCE ha lanciato il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), il programma di acquisti di titoli da 750 miliardi di euro con scadenza almeno a fine anno.
– La Corte Costituzionale tedesca, con la decisione del 5 maggio 2020, ha deciso che la BCE potrà continuare a comprare titoli di stato come ha fatto finora. Tale tipo di attività “non lede il divieto di monetizzazione del debito” stabilito dai Trattati Europei. I ricorrenti (economisti, imprenditori e politici tedeschi che avevano fatto ricorso contro il Quantitative Easing) sostenevano che la BCE finanziasse illegittimamente gli stati comprando nella sostanza il loro debito. D’altronde la BCE non compra mai i titoli direttamente alle aste, ma sul mercato secondario e cioè da banche o da altre istituzioni, proprio a causa di questo divieto.
– La Corte Costituzionale tedesca, nel considerare legittima l’operazione del 2015 avviata da Draghi, ha però imposto delle condizioni alla BCE, ritenendo, tra le righe, che la banca presieduta dalla Lagarde abbia in qualche modo esagerato. Poiché i giganteschi acquisti fatti dalla BCE (un’operazione da oltre 2.600 mila miliardi di euro) hanno “rilevanti conseguenze di politica economica”, l’Alta Corte tedesca evidenzia con puntiglio la necessità di una continua monitorizzazione del suo operato. Pur avendo la Corte di Giustizia Europea, nel 2018, dato via libera alle mosse della BCE, oggi la Corte Costituzionale tedesca pone delle precise condizioni alla sua legittimità.
– La BCE, secondo i giudici di Karlsruhe, dovrà sempre dimostrare di aver agito in modo “proporzionale”, senza esagerazioni. In caso contrario, la banca centrale tedesca, la Bundensbank, non potrà più partecipare ad operazioni come il Quantitative Easing.
Una vera e propria “picconata” all’Eurozona!
Le questioni aperte
Il tema scatenato dalla sentenza può essere letto da un duplice punto di vista: (i) l’Unione Europea è ancora e deve restare una confederazione, vale a dire una istituzione in cui la sovranità – come ha rilevato Sergio Romano – quando vengono in discussione questioni di ordine costituzionale, appartiene ancora collegialmente a tutti i suoi membri. Dunque l’intervento “a gamba tesa” della Corte Costituzionale tedesca dimostra che l’anima federale europea non è ancora patrimonio comune di una gran parte della classe dirigente tedesca; (ii) un paese come l’Italia, con un debito ciclopico sulle spalle, oggi ancora aumentato a causa dell’emergenza Covid-19, dovrebbe quindi porsi il problema che la BCE non potrà, in eterno, supplire ad una scelta di politica economica interna italiana di non attivare mai, nonostante le promesse e gli impegni assunti in sede istituzionale, alcuna strategia mirata realisticamente a ridurre tale debito, restituendo i soldi agli investitori e riportando il rapporto PIL-Debito a livelli accettabili.
La BCE, in altre parole, non potrà “coprire” in eterno le nostre omissioni o latitanze.
Il derby tra la Corte di Giustizia europea e la Corte Costituzionale federale tedesca
Sul primo tema la battaglia è in corso.
Esiste ormai anche in Germania un sovranismo tedesco, confermato dall’ingresso sulla scena politica di un partito, l’AFD, che non nasconde il suo nazionalismo con molti richiami nostalgici al passato nazista del paese.
Ogni iniziativa mirata esplicitamente al raggiungimento del progetto di una Europa federale trova a Berlino una forte resistenza politica e psicologica.
La Merkel e Macron hanno cercato, proprio nei giorni scorsi, di dare una risposta forte al rischio di questo ritorno del nazionalismo tedesco: “La sentenza della Corte Costituzionale sulla BCE – ha detto in una intervista Lars Feld, il capo dei consulenti economici della Cancelliera tedesca – ha sicuramente accelerato il progetto della Merkel e di Macron”. In ogni caso però, ha aggiunto Feld, non dobbiamo dimenticarci che “ci deve essere una maggior convinzione che non si possa lasciar fare tutto alla BCE, per salvare le economie degli stati membri. Bisogna che i singoli governi contribuiscano dal lato fiscale per garantire la stabilità. Dal punto di vista tecnico, i paletti che Karlsruhe ritiene essenziali perché non si scivoli nella monetarizzazione del debito, impediscono alla banca centrale di comprare titoli senza alcun limite”.
Dal punto di vista giuridico, per molti commentatori europei, la Corte Costituzionale tedesca ha invaso illecitamente il campo della Corte di Giustizia di Lussemburgo.
Questa è il massimo organo giudicante dell’Unione Europea, superiore quindi alle singole corti costituzionali dei paesi membri: l’unica Corte titolata a dirimere controversie che riguardano l’operato delle istituzioni della UE, come la BCE.
“La tesi per cui i singoli stati tramite le loro corti supreme – ha scritto Pier Gaetano Marchetti – possono essi giudicare se l’azione di una istituzione europea sia rispettosa del principio di proporzionalità o di altri standard, indipendentemente dalla valutazione della Corte di Giustizia europea, ha in sé una enorme potenzialità disgregatrice”.
Ha rincarato la dose un altro autorevole giurista, Antonio Padoa-Schioppa “La sentenza di Karlsruhe pretende ingiustamente di accreditare la legittimità di una interpretazione a livello nazionale di una pronuncia della Corte di Giustizia europea, che è la sola Corte legittimata a pronunciarsi sui Trattati dai quali è retta la BCE. Disattendere l’autonomia della BCE, che proprio la Germania ha voluto, appare comunque paradossale. Ma non penso che ciò accadrà. Anche a Berlino sono ben chiari a molti gli immensi vantaggi che sono derivati ai tedeschi dal mercato unico e dalla moneta comune”.
La sentenza dell’Alta Corte tedesca è stata anche interpretata come un regolamento di conti con la Corte di Giustizia europea: ciò proprio in un momento in cui la Corte di Giustizia dovrebbe essere fortemente legittimata da tutti i paesi membri nel suo ruolo di unico garante della conformità dei provvedimenti adottati rispetto ai Trattati, nell’ottica di difendere validamente, nei prossimi mesi, i numerosi provvedimenti assunti dalla Commissione Europea per arginare gli effetti della grave crisi economica conseguente al coronavirus e a forte rischio di ricorsi provenienti da molte capitale europee.
La politica economica italiano e il futuro della BCE
Sul secondo tema i nodi stanno venendo al pettine.
Gli acquisti dei titoli da parte della BCE dovrebbero essere eseguiti in proporzione al peso economico dei singoli paesi e l’Eurosistema non dovrebbe poter comprare più di 1/3 di ogni Bond emesso: dunque non più di 1/3 del debito totale di ogni stato membro.
Negli ultimi anni la BCE ha comprato molta più “carta” francese, spagnola e soprattutto italiana e se il vincolo di 1/3 fosse confermato, il nostro paese potrebbe essere costretto a non contare più sugli aiuti decisivi della BCE.
La Lagarde, dopo la brutta gaffe all’inizio del suo mandato, ha promesso che non ci saranno limiti al suo impegno a difesa dell’Euro, richiamando il celebre motto inventato da Mario Draghi.
Ma quel tetto del 33% può schiacciare l’Italia.
La BCE ha replicato subito alla presa di posizione assunta dalla Corte Costituzionale tedesca. Gli uomini della Lagarde hanno fatto sapere che non arretreranno e che per loro varrà sempre e soltanto la decisione favorevole della Corte di Giustizia europea.
Per noi italiani il discorso è però diverso e molto delicato.
Non possiamo più mettere la testa sotto il cuscino.
È ora che i governi nazionali – ha scritto Carlo Bastasin – condividano i costi di popolarità di aderire ad una politica di bilancio comune, indispensabile a contrastare la peggior recessione a memoria d’uomo.
“Tutti sappiamo che il mondo uscirà da questa crisi – ha scritto Bastasin – carico di debiti, alcuni dei quali non sostenibili, che tra i paesi europei crescerà la divergenza e sappiamo inoltre che i modelli sociali ed economici dovranno cambiare, ma per ora siamo paralizzati dallo shock della pandemia”.
L’emergenza sanitaria ed economica ha permesso al nostro governo di sospendere il tempo per una risposta decisiva ai fini della permanenza dell’Italia nell’Eurozona: quali sono le politiche che Roma deve attuare, senza ritardo, per ridurre l’immane fardello del debito che si troverà a gestire nei prossimi mesi?
Tutto ciò con l’aggravante, questa sì senza alcuna responsabilità diretta, di doversi immaginare una politica economica basata sul vincolo di una riduzione dello stock di debito in presenza di una sicura crescita negativa del PIL, causata proprio dal lockdown.
Un frullato di elementi che rende la posizione italiana difficile da spiegare agli stranieri ma soprattutto impossibile da risolvere per il governo in carica.
Il monito di Jean Monnet e l’esempio di Alexander Hamilton
In questo quadro fosco il progetto di una Europa federale, quello tanto per intenderci nato nelle prigioni di Ventotene, potrà andare avanti soltanto se l’Europa diventerà un sogno e una meta voluta dai popoli europei, non un’entità astratta gestita da burocrati non eletti.
La politica dovrà prevalere sull’economia: una Europa unita soltanto grazie alla BCE non reggerà all’urto di questa crisi economica mai vista prima.
E allora torniamo ad un punto cruciale del nostro futuro: la necessità di una classe dirigente adeguata a delle scelte strategiche complesse e non necessariamente ispirate al consenso a breve.
Tutto ciò in un contesto economico di crisi, di malessere, di difficoltà al mantenimento di una coesione sociale pacifica.
Una sfida apparentemente impossibile, che soltanto uomini della competenza, della tempra e della visione come l’Hamilton dell’America di fine ‘700, potranno cercare di risolvere.
Mi vengono in mente a questo proposito le parole pronunciate da uno dei padri fondatori dell’Unione Europea Jean Monnet, nel 1976: “L’Europa si farà attraverso le crisi, e sarà costituita dalla sommatoria delle soluzioni che saranno date a queste crisi”.
Speriamo davvero che l’indimenticabile Monnet abbia visto giusto.
Riccardo Rossotto