Sui tragici fatti di Bronte dell’agosto 1860 non ci fu una discussione alla Camera dei deputati (allora insediata a Palazzo Carignano a Torino). Non furono neppure presentate interpellanze, previste dal regolamento della Camera. Invece le interrogazioni non erano previste dal regolamento.
Ne parlarono solo quattro deputati nel corso del loro intervento durante la discussione generale sul progetto di legge, tenutasi nelle tornate dell’8, 10 e 11 ottobre 1860, per dare al Governo la facoltà di accettare e di stabilire, con decreti reali, l’annessione al Regno di Sardegna di nuove province italiane, comprese quelle appartenenti al Regno delle Due Sicilie, abbattuto da Garibaldi con la spedizione dei Mille.
Nella tornata dell’8 ottobre 1860, tenutasi nel pomeriggio con la presidenza del presidente della Camera dei Deputati Giovanni Lanza, l’onorevole Riccardo Sineo afferma che in Sicilia le carceri erano piene di condannati e “tutto ad un tratto quella feccia puzzolente si spande per tutta l’isola, essendosi aperte le prigioni dai generali del Borbone. I forzati liberati trovano le armi e portano in ogni luogo la minaccia e il terrore”. Quindi riguardo ai tragici fatti di Bronte dichiara: “Una parte della Sicilia è ancora soggetta ad angherie feudali, contro le quali i popoli reagiscono…Vi citerò, ad esempio, il luogo solo di Bronte sull’Etna, Quel luogo era stato infeudato all’ammiraglio Nelson, d’infausta memoria, in compenso di un orribile tradimento, che la storia non lascerà dimenticare ai posteri. Questo feudo, pagato con sangue dei Caraccioli (Caracciolo – n.d.a), dei Cirillo, dei Mario Pagano, è ancora nelle mani dei successori di Nelson. Qual meraviglia che il povero popolo di Bronte fosse pronto a sollevarsi tuttavolta che si rallentava la ferrea pressione del governo borbonico?”. Giustifica quindi la dura repressione della rivolta popolare da parte di Bixio sostenendo che “quel paese (la Sicilia – n.d.a.) agitato dalla guerra, minacciato dalle bande dei grassatori, scosso in varie località da tradizionali disposizioni alla rivolta non si potesse diversamente governare salvo che con usare con non minore energia che sapienza tutta l’estensione del potere dittatoriale” di Garibaldi che “nei quattro mesi del suo glorioso soggiorno in Sicilia si trovò in straordinarie ed ardue circostanze”.
Nella tornata del 10 ottobre, tenutasi sempre nel pomeriggio con la presidenza del Presidente della Camera dei deputati onorevole Giovanni Lanza, interviene l’onorevole Giovanni La Farina il quale dichiara di distinguere “il generale Garibaldi dal suo Governo” ritenendo che nessuno “possa trovare sconveniente che si chiami a sindacato il Governo del generale Garibaldi”. Quindi afferma che: “in Sicilia non esistono ancora ordinati municipi, né colla legge antica, né con la legge nuova: e la ragione è semplicissima; perché, dal momento in cui un decreto del dittatore richiamò in servizio tutti gli impiegati, come trovavansi nel 1848, vale a dire dal momento che (il governo borbonico – n.d.a.) rinviò a casa tutti i magistrati municipali e giudiziari” per cui “tutto l’ordine amministrativo, tutto l’ordine giudiziario fu completamente disciolto”. Pertanto, in conseguenza di questo stato di cose sono accaduti “fatti gravissimi, dei fatti dolorosissimi” Quindi, riferendosi all’intervento dell’onorevole Sineo sui fatti di Bronte, dovuti all’esistenza di “diritti feudali”, dichiara che quei fatti non furono dovuti all’esistenza di diritti feudali dato che questi furono aboliti dal 1810 (nel 1806-1808 nel Regno di Napoli dal re Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e nel Regno di Sicilia con la Costituzione emanata nel 1812 – n.d.a.), ma da una “questione molto più grave… la ripartizione dei beni comunali… con un decreto, il quale accordò ai combattenti per la patria il possesso, senza sorteggio, di una quotità dei beni comunali. Che n’è seguito? Che le bande, le quali avevano combattuto, o dicevano di aver combattuto per la patri, ritornando nei lori comuni, hanno creduto di potersi mettere in possesso dei beni comunali, e la lotta che n’è derivata con coloro i quali n’erano in possesso… ha preso le proporzioni di una guerra civile. Sono seguiti fatti dolorosissimi a Bronti… 23 persone sono state uccise (in realtà furono 16 – n.d.a.)”. Afferma pertanto che in quelle situazione di “disordine il Governo della Sicilia si è trovato in condizione difficilissima, in condizione di non poter fare il bene, anche ardentemente desiderandolo… Il Governo credeva di dover impedire le manifestazioni annessioniste… il Governo si trovò in opposizione coll’opinione pubblica…e da quel momento, senza volerlo, divenne un partito che s’impone violentemente al paese”. Il Governo dittatoriale della Sicilia (istituito da Garibaldi con il Decreto emesso a Salemi il 14 maggio 1860 – n.d.a.) si è rivolto “ad uomini ragguardevoli, li ha chiamati ad alti offici nella magistratura e nell’amministrazione…ma questi uomini si sono rifiutati di servire” e pertanto ci sono stati “sei Ministeri in cinque mesi…da questo nasce la debolezza del Governo siciliano. I Governi deboli sono una grandissima sventura: per sussistere non possono permettere la libertà”. Infine chiede al Governo che “energicamente provveda affinché sia assicurata la libertà di voto dei popoli dell’Italia meridionale” nel Plebiscito per votare la annessione al Regno di Sardegna, perché non crede che sia assicurata “nelle condizioni in cui si trovano attualmente Napoli e la Sicilia”. Pertanto chiede al Governo di “provvedere in modo che il voto dei Siciliani e dei Napolitani possa manifestarsi colle debite guarentigie di libertà”. Conclude il suo intervento affermando che Garibaldi ed i volontari hanno trovato “ostacoli grandissimi”. In particolare quando sono partiti da Palermo per andare a Milazzo, dove trovarono una “terribile resistenza” da parte delle truppe borboniche, hanno avuto durante la marcia solo due gallette e un rancio. Inoltre, dopo la cruenta battaglia di Milazzo, i feriti stettero “lunghe ore prima di poter essere raccolti” e curati, perché mancavano le “ambulanze, i mezzi di trasporto, gli ospedali”. Pertanto i volontari garibaldini hanno “più bene meritato di quanto non si creda” per cui voterà a favore “dell’ordine del giorno che dichiara benemeriti della patria l’esercito ed i volontari”.
Nella tornata del 11 ottobre, tenutasi sempre nel pomeriggio e presieduta dal ‘residente della Camera dei Deputati Giovanni Lanza, interviene l’onorevole Agostino Depretis, che era stato prodittatore in Sicilia dopo la partenza di Garibaldi dall’isola per continuare in Calabria e nel napoletano la guerra di liberazione dalla dinastia borbonica, il quale dichiara che la “rivoluzione del 1860 … Riuscì a far libera la Sicilia… La riuscita della grande impresa debbesi al generale Garibaldi ed ai valorosi che lo hanno accompagnato nel glorioso cammino”. Quindi afferma che “in Sicilia per molte cause combinate e diverse… Succedettero dei delitti gravi, dei fatti deplorabili… Anche pei fatti di Bronte”. Nega però che quei fatti “siano la conseguenza di un decreto fatto dal generale Garibaldi col quale si dava ai soldati una parte delle terre comunali” anche perché questo decreto “non fu attuato”. Afferma inoltre che quando accaddero questi fatti “il paese (la Sicilia –n.d.a.) era mal sicuro, agitato”, per cui quei fatti “furono severamente repressi”. Al riguardo, ritiene che “il Governo della Sicilia ha fatto bene”. Conclude il suo intervento elogiando i volontari che hanno combattuto con Garibaldi, che erano sia “padri di famiglia che occupano una posizione distinta” che hanno abbandonato “la casa, la famiglia, gli affari per vestire l’uniforme del soldato per andare a combattere con Garibaldi” sia “giovani appartenenti a famiglie distintissime, patrizie”. Questi valorosi combattenti vennero anche da Paesi esteri, come l’ungherese Tukery, il francese De Flotte e l’inglese Dunn. Inoltre si deve avere “una immensa riconoscenza a Garibaldi perché è stato un grande educatore della nostra gioventù”.
Interviene quindi l’onorevole Giovanni La Farina per ribadire che in Sicilia non esistono “municipi ordinati… Non ne esistono neanco colla legge municipale del 1848, perché quella legge provvede soltanto alle elezioni ma non all’amministrazione… Furono richiamati i Consigli civici del 15 maggio 1849, e si diede facoltà ai governatori di escludere le persone che a loro dispiacessero, d’includervi quelle a loro gradite; cosicché i municipi sono amministrati attualmente da Commissioni create dai governatori”. Pertanto in Sicilia “municipi ordinati non esistono”.
Interviene quindi l’onorevole Giuseppe Ferrari il quale afferma che Garibaldi ha dato le terre ai volontari. Però “questo è disordine, misura che nessun Governo regolare avrebbe precipitata, nessun Parlamento sanzionata; ma se la rivoluzione non la decreta, la rivoluzione è perduta. Quindi ai militi le terre, quindi nuovi soldati sorgono da un suolo (la Sicilia n.d.a) dove si ignora la coscrizione e si aborre ogni servizio militare; quindi nasce terribile e confusa nelle moltitudini quest’idea, che comincia ormai la guerra del popolo contro i borghesi, Voi piangete sul disastro di Bronte, dove cadono pugnalati trenta cittadini (i morti furono 16- N.d.A.), prime vittime della guerra sociale. Piangete pure: ma dove vedrete voi in un Governo un progresso qualsiasi, senza disordine, senza spargimento di sangue, senza tragedie cittadine? Questa è una cosa umana. Il generale (Garibaldi n.d.a.) è giustificato, Voi mi direte: il generale atterrisce l’isola…gli onesti borghesi cercano uno scampo…i più ricchi tra i siciliani sono impazienti di veder cessare lo sconvolgimento…si tratta di una rivoluzione di un immenso rivolgimento compiuto con una magica rapidità…Bisognava marciare colla rapidità del fulmine per giungere a tempo (a Napoli n.d.a.). Chi accuserà Garibaldi di non aver trionfato?”.
In definitiva tutti gli interventi giustificano, in diversa misura, la repressione fatta da Bixio a Bronte.
Giorgio Giannini