La “rivolta del grano” è la sollevazione popolare avvenuta l’11 luglio 1920 a Corleto Perticara (Potenza) contro il Regio Decreto 29 maggio 1920, che prevedeva la requisizione dei cereali (grano, orzo, segale e avena) raccolti nel 1920 e di quelli rimasti dagli anni precedenti. Prevedeva anche che la macinazione (molitura)  ei cereali, soprattutto del grano, fosse possibile solo con una apposita tessera che ne stabiliva di volta in volta il quantitativo consentito. Prevedeva inoltre il divieto di vendere i cereali nonché l’obbligo di denunciare la quantità dei cereali posseduti e di  versarli nei depositi controllati dall’Esercito. Il provvedimento colpì non solo la popolazione più povera, ma anche i mugnai addetti alla molitura dei cereali, ai quali era vietato farsi pagare in natura, percependo come compenso una parte dei cereali macinati, obbligando quindi i contadini a pagare con moneta (che molti non avevano)  il costo della molitura.

La mattina di domenica 11 luglio 1920, verso le 9,30, circa 300 persone, in maggioranza donne, si recarono  al Comune per portare all’attenzione del sindaco la protesta della popolazione contro la suddetta legge. Il sindaco, per placare i manifestanti, li accompagnò all’edificio nel quale erano conservati i cereali requisiti, all’interno del quale si trovava il sottotenente dell’Esercito Luigi Cucuraghi, di 32 anni, responsabile della requisizione dei cereali, il quale disse ai manifestanti che avrebbe portato all’attenzione dei suoi superiori la loro protesta. I manifestanti però non si accontentarono delle parole del sottotenente e lanciarono sassi contro di lui e contro l’edificio, rompendone i vetri delle finestre.

Poco dopo arrivò il maresciallo dei Carabinieri Matteo Salvo, di anni 47, comandante della locale stazione, con i giovani militi Vincenzo Milillo e Di Nardo Michele, e anche loro furono investiti da un fitto lancio di sassi da parte dei manifestanti. I due giovani carabinieri, impauriti e feriti dalle pietre lanciate contro di loro, reagirono scaricando le loro pistole contro i manifestanti, uccidendo la piccola Donata Maria Vicino, di 8 anni, figlia di un soldato morto nel 1918 durante la Grande Guerra, e poi si ritirarono dentro l’edificio adibito alla requisizione dei cereali. I manifestanti, raccolto il corpo esanime della bambina, si recarono alla Pretura, dove il pretore Colucci cercò invano di calmarli.

Nel pomeriggio, verso le 15, i tre carabinieri ed il sottotenente dell’Esercito, pensando che i manifestanti si erano dispersi, uscirono dall’edificio per andare nella caserma dei Carabinieri, ma furono ben presto assaliti dalle persone che erano rimaste nei paraggi. Per sottrarsi dalla folla inferocita, fuggirono verso la campagna. Il maresciallo dei Carabinieri Matteo Salvo dato che era un po’ attempato ed in sovrappeso ed inoltre era impacciato dalla sciabola, fu raggiunto a circa 500 metri dal paese, nella contrada Sarappo alle ore 15,30, dai manifestanti che lo massacrarono a bastonate e con lancio di pietre. Il sottotenente dell’Esercito Luigi Cucuraghi, visto il maresciallo in difficoltà, tornò indietro per cercare di difenderlo, ma fu anche lui massacrato a bastonate e a sassate. Invece i due carabinieri giovani riuscirono a scappare e si rifugiarono nel vicino paese di Guardia Perticara. 

I corpi del sottotenente dell’Esercito e del maresciallo dei Carabinieri furono ridotti, per le molte bastonate e sassate ricevute, ad una “poltiglia sanguinolenta”, come fu scritto in alcuni giornali. In particolare, i loro occhi furono infilzati con rami di peri selvatici ed i loro corpi furono ricoperti con escrementi, in segno di spregio. Nel pomeriggio il signor Sarconi, gerente dell’ufficio prefettizio di Corleto Perticara, inviò vari telegrammi alla Prefettura di Potenza, illustrando la situazione mano a mano che riceveva le notizie. Nel primo telegramma, inviato alle ore 16, riferì: “grave sommossa causa tesseramento farina…autorità civili militari bloccate… feriti gravi”. Nel telegramma inviato alle 17,00 scrisse: “Popolazione esasperata circondato carabinieri tentano linciarli avendo questi sparato sulla folla stop urgono numerosi rinforzi tutela ordine”. Nel successivo telegramma inviato pochi minuti dopo, alle 17,15, scrisse: “Maresciallo e tenente requisizione uccisi stop carabinieri fuggiti stop urgono rinforzi immediati”. Nel successivo telegramma inviato alle 17,39 riferì: “Una bambina uccisa tre feriti gravi sindaco scappato si temono stasera ancora turbamenti maggiori ritorno contadini dalla campagna”. Alle 18,55 scrisse: “Calma ritornata”.

Anche il Pretore Colucci inviò alle 19 il seguente telegramma alla Prefettura:”Moti popolari causa razionamento pane deploransi tre morti tra cui maresciallo Carabinieri et tenente requisizione oltre due feriti stop data assenteismo altre autorità avverto V.S. per provvedimenti evitare eventuali ulteriori disordini”.

Anche il sindaco di Guardia Perticara, dove si erano rifugiati i due carabinieri  giovani scappati da Corleto, inviò alla Prefettura il seguente telegramma: ”Informo V.S. oggi popolazione Corleto Perticara abbandonatasi violenta dimostrazione contro tenente requisizione cereali maresciallo carabinieri deploransi un morto popolazione civile due feriti due carabinieri scappati miracolosamente qui mi dicono che folla abbia ucciso tenente requisizione cereali maresciallo carabinieri urge Corleto Perticara senza indugio sufficiente forza evitare ulteriori incidenti”.

Allarmata da queste ripetute richieste di rinforzi, la Prefettura inviò subito a Corleto Perticara un reparto dell’Esercito, decine di carabinieri, alcuni funzionari di Pubblica sicurezza ed il questore Montalbano, i quali arrivarono nel paese all’alba, verso le 4 del mattino. Il questore avviò subito delle indagini ed alle 11,50 inviò alla Prefettura un resoconto dettagliato dei fatti accaduti il giorno precedente. Inoltre riferì che era stato ferito per le sassate ricevute anche il signor Blasi Giovanni, addetto alla requisizione dei cereali, e che due donne erano state ferite da colpi di arma di fuoco. Il questore inviò alla Prefettura alle 22,20 un altro telegramma nel quale illustrò in modo più preciso come si erano svolti i fatti. In particolare, riferì che il corpo della piccola Donata Maria era stato esposto prima sulle scale della Pretura e poi sul sagrato della Chiesa, dove altri cittadini erano accorsi in seguito al suono delle campane, e che insieme con i tre carabinieri ed il sottotenente dell’Esercito c’erano anche la guardia forestale Pietro Siniscalchi, la guardia municipale Vincenzo Stella e la guardia campestre Giuseppe Egidio Gallicchio. 

Inoltre, il questore Montalbano riferì che il sindaco di Corleto Perticara Luca Monacelli, di anni 40, sarto, non aveva “cultura alcuna né intelligenza”, anzi  era un “vero deficiente” perché non aveva fatto nulla per calmare gli animi, e che “preso dall’estrema paura andò nascondersi presso suo cognato e più non uscì”. Non propose comunque “provvedimenti amministrativi” nei suoi confronti dato che era ritenuto un uomo onesto. Le indagini  per accertare i colpevoli furono curate dal giudice istruttore Ciaccia e dal procuratore del re Faccini, aiutati dal tenente colonnello dei Carabinieri Castaldo, comandante dei Carabinieri di Potenza, e dal tenente dei Carabinieri Avitabile e dai vicecommissari Scola e De Vincentiis. Intervenne anche il maggiore dell’Esercito Bonetti, comandante della Commissione provinciale per la Requisizione. Nel paese, per mantenere l’ordine pubblico, furono impiegati 50 carabinieri e una compagnia della 29° Reggimento di Fanteria, armata anche con una sezione di mitragliatrici, al comando del capitano Corvo, dei tenenti Bucchieri e Soldo e del sottotenente Montesano.

In seguito alle indagini svolte dal questore Montalbano furono arrestate 26 persone (18 maschi e 8 donne), di età compresa tra 18 e 61 anni, delle quali 9 furono ritenute “responsabili della materiale soppressione del Maresciallo e del Sottotenente” mentre le altre furono accusate dei reati di “istigazione e violenza”. Il questore alle ore 11,56 del 13 luglio inviò un telegramma alla prefettura indicando come responsabili dell’omicidio del maresciallo Salvo e del sottotenente Cucururaghi una donna di 42 anni e due uomini di 20 e 36 anni.

Sempre il 13 luglio la Giunta comunale di Corleto Perticara approvò la seguente delibera con la quale il Comune:  “1. Deplora e stigmatizza il barbaro massacro di due benemeriti funzionari il sottotenente Cucurachi Luigi e il maresciallo dei R. Carabinieri Salvo Matteo vittime sacrificate nell’adempimento del proprio dovere; 2. Deplora l’uccisione della bambina Vicino Donata Maria; 3. Manda un commosso saluto alla memoria delle vittime; 4. Separa la propria e la responsabilità della cittadinanza dall’opera malvagia di pochi sconsigliati che pel feroce barbaro eccidio commesso non hanno diritto di cittadinanza; 5. Delibera di celebrare il funerale per i tre caduti alle ore 10 di domani a spese dell’Amministrazione comunale; 6. Delibera apporre al cimitero una lapide che ricordi il nome delle tre vittime”.

Singolare è però che la delibera di Giunta non è conservata nel Registro ufficiale degli atti deliberativi del Comune di Corleto Perticara, ma si trova solo nella documentazione dell’Archivio di Stato di Potenza.

Nel cimitero fu apposta, probabilmente alcuni anni dopo,  una lapide  molto semplice, che riportava solo i nomi delle tre vittime e la data dell’eccidio, come se si volesse rimuovere il ricordo di quei tragici fatti. Al riguardo, è singolare  che  la lapide non fu posta nel luogo dell’uccisione della piccola Donata Maria o dell’omicidio del maresciallo Salvo e del sottotenente Cucuraghi, dove sarebbe stato più opportuno collocarla.   La lapide,  comunque, in seguito fu rimossa e fu ricollocata nel cimitero del paese dopo molti anni (forse nel 1996), mettendola in modo poco visibile, sulla parete esterna, in basso, della cappella gentilizia della famiglia De Filippis. 

Il funerale solenne delle tre vittime si tenne, a spese del Comune, la mattina del 14 luglio, con grande partecipazione di popolo ed alla presenza delle associazioni e delle scuole di Corleto Perticara, dei rappresentanti istituzionali locali e provinciali.  Dopo la funzione religiosa nella parrocchia, si formò un corteo, che mosse dalla caserma dei Carabinieri verso il cimitero, dove presero la parola per il commiato pubblico alti funzionari del Ministero degli Interni, ufficiali dell’Esercito e rappresentanti dei Comuni di Corleto Perticara  e di Guardia Perticara.

Il 18 luglio il settimanale Giornale di Basilicata, edito  a Potenza, pubblicò l’articolo “L’eccidio di Domenica scorsa a Corleto. La rivolta della mala vita. Una bambina uccisa. Un tenente ed un carabiniere massacrati a colpi di randelli ed a sassate”, curato da un anonimo collaboratore inviato in loco, il quale riferì che i dimostranti avevano raccolto nei campi legna secca per dare fuoco all’edificio adibito alla requisizione dei cereali, nel quale erano nascosti i tre carabinieri ed il sottotenente dell’Esercito e che l’avvocato Pietro Bonelli (ex sindaco di Corleto), il quale, sfruttando l’autorità che aveva sulla popolazione, aveva cercato di calmare i manifestanti, definiti “belve umane”. Il cronista riferì anche che il maresciallo gettò la pistola carica, dimostrando di non volere sparare e che si mise in ginocchio implorando a mani giunte pietà in nome delle tre figliolette, ma le “jene umane” non ebbero pietà di lui e  ricevette una bastonata  che gli spaccò il viso. Il suo corpo e quello del sottotenente Cucurachi, accorso in suo aiuto e trucidato anche lui a bastonate ed a sassate, furono ridotti a “informe poltiglia”.

I fatti di Corleto Perticara riportati dalla stampa regionale, destarono molto scalpore  nell’opinione pubblica locale. Nell’estate 1921 si tenne davanti alla Corte ordinaria d’Assise di Potenza, presieduta da Vincenzo De Riso, il processo con 32 imputati (24 uomini e 8 donne), 8 dei quali provenienti da fuori Corleto. La stampa locale riferì particolari raccapriccianti relativi alla violenza esercitata sui corpi del maresciallo Salvo e del sottotenente Cucuraghi e sulla abnegazione di quest’ultimo che era accorso in difesa del maresciallo. In particolare, l’avvocato Sergio De Pilato, in un articolo sul settimanale Giornale di Basilicata, sottolineò che l’uccisione della piccola Donata Maria aveva trasformato “uomini pacifici in belve feroci”.

Il pubblico ministero, l’avvocato generale commendatore Eduardo Liguori, dichiarò che tutti gli imputati dovevano rispondere di “violenza e minacce a pubblici ufficiali”, di “danneggiamento dell’edificio destinato alla requisizione” con “lanciamento di sassi e sparo di armi”. 18 imputati (14 maschi e 4 donne), furono accusati dell’omicidio del sottotenente Cucurachi e del maresciallo Salvo.

La sentenza fu emessa il 14 agosto 1921. I condannati furono 16 (11 maschi e 5 donne). 7 imputati furono condannati per l’uccisione del sottotenente Cucuraghi e del maresciallo Salvo, con l’inflizione di pene di diversa entità, in base alle loro coinvolgimento nell’omicidio. A due uomini, di 38 e 63 anni, ed a una donna di 49 anni, responsabili di “omicidio qualificato con gravi sevizie”, fu comminata la pena di 30 anni di reclusione, di cui dieci di vigilanza speciale, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, e l’interdizione legale durante la prigionia. A favore dei congiunti delle vittime fu riconosciuto un risarcimento: 15mila lire, di cui 7mila per l’avvocato Leonardo Morlino, a Vito Cucurachi, padre del sottotenente, e 20mila lire, di cui 5mila per l’avvocato Antonio Tamburrino, alla signora Antonietta Cristiano, moglie del maresciallo Salvo, madre di 3 bambine.

Nessun risarcimento fu invece riconosciuto alla famiglia della piccola Donata Maria.

Contro la sentenza fu presentato il ricorso alla Corte di Cassazione che lo rigettò il 22 maggio 1922.

In seguito la salma del sottotenente Cucurachi fu trasferita nel paese natio di Caprarica (Lecce) dove gli furono tributati gli onori riservati ai caduti della Grande Guerra. Ricevette anche la Croce al merito di Guerra mentre alla madre Concetta fu consegnata la “Medaglia di gratitudine nazionale decretata alle madri dei caduti per la patria nella guerra 1915-18”. Per molti decenni di quel tragico fatto di sangue, anche se non è stato rimosso dalla memoria collettiva, non si è voluto parlare, probabilmente per il suo epilogo cruento, come se la popolazione se ne vergognasse. 

Solo nel 1989, dopo molti anni di oblio, Giuseppe De Bona, ufficiale medico dell’Esercito, pubblicò il volume Un amoroso incontro e altri racconti, nel quale, nel capitolo Un delitto annunciato, si cercò per la prima volta di fare luce sui fatti dell’11 luglio 1920. De Bona ricostruì i fatti, concordando in genere con quanto riportato  dai giornali e dalla sentenza di condanna. Affermò però che l’avvocato Bonelli non cercò di placare i dimostranti ma ne infiammò ancor di più gli animi e che i “due carabinieri che, con i loro moschetti, avrebbero potuto risolvere la situazione, se ne rimasero acquattati in attesa della notte e raggiunsero poi Guardia Perticara”.

Nel Capodanno 2003, a cura della Parrocchia Santa Maria Assunta e dell’Associazione ambientalista L’Umana dimora, è stato pubblicato il calendario 2003, nel quale, nelle pagine dedicate al mese di luglio, compare un lungo articolo dal titolo I fatti del 1920 a Corleto.

Nel 2005, il giornalista Vincenzo Lardo scrisse Un fatto di sangue. Lacrime e morte in una domenica di luglio, in L’Informatutti: un decennio di storia amministrativa (1995-2005), edito dal Comune di Corleto Perticara.

Nell’ottobre 2016 è stato pubblicato sul n.3 della rivista Nuovo Meridionalismo il lungo articolo intitolato Il grano, la falce, la rivoluzione. Antropologia storica di un eccidio nel Mezzogiorno d’Italia di inizio Novecento, curato dal professor Enzo Vinicio Alliegro, antropologo e docente dell’Università Federico II di Napoli, che illustra in modo molto dettagliato i tragici fatti dell’11 luglio 1920.

Il 6 luglio 2019 si è svolto a Corleto Perticara un convegno molto partecipato, organizzato da varie associazioni cittadine, nel quale si è cercato di ricostruire i tragici fatti dell’11 luglio 1920, in vista del centenario. Al riguardo, speriamo che finalmente il Comune intitoli una strada o una piazza alle tre vittime.

Ricordiamo anche che il 16 agosto del 1860 ebbe inizio a Corleto Perticara l’insurrezione lucana. Alle cinque del pomeriggio, Giacinto Albini, patriota e politico, definito da Crispi il “Mazzini lucano”, e i suoi uomini proclamarono ufficialmente l’Unità d’Italia, annettendosi  al Regno di Sardegna. Furono deposti gli stemmi e le insegne borboniche, sostituite dalle immagini di Vittorio Emanuele II,  re d’Italia, e dalle bandiere del Regno sabaudo. In particolare fu portato in giro per il paese il tricolore nazionale, con lo stemma araldico del paese, cucito a mano dalle donne di Corleto, che uscì da un angusto portico vicino alla piazza centrale, che oggi è chiamato “portico della Bandiera”.

Ricordiamo infine che Garibaldi fu eletto Deputato a Corleto nel 1864.

Giorgio Giannini

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